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July 17, 2014

“Joseph_kids” di Alessandro Sciarroni @ Bolzano Danza, un gioco tra corpo reale e immagine virtuale

Bianca Maurmayr
Alessandro Sciarroni propone questa domenica a Bolzano Danza uno spettacolo a misura di bambino: la rivisitazione del suo celeberrimo assolo "Joseph" (2011) in una versione "kids" e interpretato dal recente Leone d'Argento, Michele Di Stefano. "Ho la speranza - ha detto Sciarroni nel corso dell'intervista - che il teatro e la danza inizino a proporre un evento dal vivo che sia accessibile e venga percepito come uno scambio d'energia tra il pubblico e il performer".

Nei miei anni di formazione e di ricerca universitaria, ho scritto spesso della relazione della danza contemporanea con le nuove tecnologie. Mi è più volte capitato di chiedermi le ragioni e le conseguenze dell’uso dei nuovi media nella danza, nello spectacle vivant: mi interessava in particolare indagare la pluridimensionalità della percezione per lo spettatore, la frammentazione scenica in più tableaux nei quali guardare, la perdita della presenza carnale dell’interprete contro la riproduzione della sua immagine su di uno schermo, a volte all’infinito, sempre bidimensionale, disincarnata. Ho sempre sottovalutato, però, quel risvolto giocoso che può essere o meno insito nella creazione coreografica accompagnata dalle nuove tecnologie, per individuare appunto una concettualizzazione della stessa creazione e un’astrazione del corpo e delle sue qualità fisiche – massa, volume, sonorità, respirazione – che forse io stessa volevo vedere, “dall’alto” della mia posizione di studiosa. Riscopro quindi con piacere e curiosità questo “senso ludico perduto” nelle parole di Alessandro Sciarroni, performer, coreografo e regista pluripremiato (miglior artista emergente secondo la rivista Danza&Danza nel 2012) con alle spalle una formazione non solo nelle pratiche sceniche ma anche nelle arti visive. Le rivedo nei video disponibili della sua performance “Joseph” (2011), da cui è stata tratta una versione per bambini nel 2013, “Joseph_kids“, interpretata dal nuovo Leone d’Argento Michele Di Stefano, e che sarà in scena a Bolzano domenica 20 luglio alle ore 10 presso il Teatro Studio, nell’ambito di Bolzano Danza

L’iter delle due creazioni è simile: un uomo, solo in scena, davanti ad un computer portatile, la webcam accesa, i movimenti che produce di fronte a quest’oggetto ormai protagonista del nostro quotidiano proiettati in tempo reale su di uno schermo in scena. Nasce dunque una danza tra corpo reale e immagine virtuale, tra performer in carne e ossa e la sua immagine animata dagli effetti video, deformata, raddoppiata o scomposta. “Joseph_kids” è un viaggio alla scoperta di sé e del diverso da sé, tra curiosità, stupore, diffidenza e autoironia, a cui partecipa anche il pubblico, testimone più o meno silenzioso (come scopriremo dall’intervista con Sciarroni) di un gioco divertito e divertente di autocontemplazione e di riflessione su di sé e sulla società odierna.futuraTittaferrante-mkSciarroni-JOSEPH-6669

Lo spettacolo “Joseph_kids” è un riadattamento del celebre assolo “Joseph” (2011). Perché ha sentito il bisogno di lavorare di nuovo su questa creazione, per un fruitore molto diverso – i bambini?

In realtà l’idea di trasferire e di ricreare l’assolo “Joseph”, che ho sempre interpretato io in prima persona, per un pubblico di bambini, non è stata mia, ma di una programmatrice di un centro di danza di Londra che si chiama The Place: vedendo lì il mio assolo, lungo 30 minuti, trovava che i primi 25 minuti della performance fossero particolarmente efficaci così com’erano per essere guardati dagli occhi di un bambino, mentre gli ultimi 5 minuti andavano riadattati. Nella prima parte c’è un uomo in scena che usa il computer portatile in maniera creativa, che vede la sua immagine attraverso la webcam, e inizia a guidare degli effetti video per giocare, per danzare, per trovare un altro da sé. Si tratta di un lavoro ludico di ricerca particolarmente interessante per i bambini. Il finale andava però modificato: nella versione per adulti, mettevamo in campo un sito web che si chiama chatroulette.com, che è praticamente un sistema di videochat random e totalmente aleatorio, dove non si può decidere chi sarà il tuo interlocutore. Il pubblico riusciva quindi a vedere, attraverso uno schermo molto grande, una persona in chat con il performer (io stesso); ma questa persona è sostanzialmente libera di fare tutto quello che vuole, volendo anche esporre parti del suo corpo nude o quant’altro. Per i bambini non era davvero il caso di proporre qualcosa del genere e abbiamo deciso quindi di sostituirla con una chiamata skype tra il performer in scena e un secondo performer online, e i due fanno una danza insieme nei panni di… È un finale a sorpresa che non svelerò qui e che lascerò scoprire al pubblico.

Come tanti lavori di riadattamento, si tratta di un lavoro anche di autocritica. Quanto è importante saper ritornare sui propri passi e saper riadattare il proprio linguaggio coreografico?

È assolutamente  importante! Questo è un assolo che, nel momento in cui è stato prodotto, non è stato messo in discussione, anche perché ha avuto un discreto successo del quale siamo molto felici (“Joseph” è stato presentato e continua ad essere prodotto in tutta Europa, n.d.r.). Doverlo quindi rendere accessibile e doverlo tradurre per un altro genere di pubblico è stato un impegno che all’inizio avevamo forse un po’ sottovalutato e che in fase di lavoro ha invece richiesto tante riflessioni. Ad esempio, dal punto di vista etico, ci siamo posti molte questioni, poiché quello che il bambino vede è un uomo adulto, da solo in una stanza, che si diverte davanti ad un mezzo tecnologico; ma se un pubblico di adulti può cogliere anche il senso di rassegnazione davanti alla presenza di questi mezzi, un pubblico di bambini deve invece cogliere un messaggio positivo, deve intuire che non si tratta di sola alienazione, ma di un evento dal vivo. Va detto che per fortuna abbiamo trovato la giusta formula per far vivere ai bambini un’esperienza molto serena e molto divertita, anche grazie all’interazione che proponiamo loro con i nuovi media e alla creatività che ne possono trarre. E i genitori, che spesso incontriamo dopo lo spettacolo, sono in generale molto contenti.

Veniamo appunto all’uso delle nuove tecnologie: se da un parte esse condizionano le nostre vite, e a volte possono alienarci dal mondo reale, possono anche essere usate con intelligenza. È questo il messaggio che volete trasmettere ai giovanissimi?

Anche qui, la questione è molto controversa in realtà, nel senso che non abbiamo mai cercato di dare un messaggio preciso: l’intenzione è stata piuttosto quella di lasciare al pubblico una serie di livelli di lettura, senza dare alcun tipo di giudizio. Soprattutto nella versione per adulti, in cui chiunque, in qualsiasi momento, attraverso la videochat e una connessione, può apparire in scena davanti ad un pubblico reale, sono emerse diverse questioni: la solitudine di queste persone, che magari stanno dall’altra parte del mondo e necessitano di un incontro, quand’anche virtuale; il fatto che questa persona venga proiettata in maniera totalmente inconsapevole davanti a degli spettatori, quindi l’uso che il coreografo fa dell’inconsapevolezza dell’altro; il carattere aleatorio del risultato finale. Lo spettacolo può infatti essere divertente, perfino esilarante, qualora chi è online sta al gioco, ma può anche essere profondamente malinconico, proprio per questo livello di solitudine che può venir fuori. Per questi motivi lo spettacolo non è mai prevedibile: a volte le persone si fermano e iniziano a dialogare con il pubblico in sala, il che può essere allo stesso tempo divertente o inquietante; a volte nessuno si ferma, ci sono solo delle facce che appaiono per qualche secondo e poi spariscono, lasciando un vuoto e mostrando tutta la solitudine di queste persone. Ma c’è un’altra dimensione importante, quella della fascinazione di fronte alla potenza del clic del computer, per cui puoi accedere da casa a migliaia di autoritratti, a quelli che abbiamo rinominato selfie. E questo è di una bellezza folgorante.futuraTittaferrante-mkSciarroni-JOSEPH-6659

Il suo intento nell’avvicinarsi ai giovani e ai giovanissimi è quello di formare una nuova massa critica, sia verso l’arte sia verso la società odierna?

Più che un intento, la mia è una speranza… Da bambino ho vissuto il teatro e gli eventi performativi come qualcosa di difficile, di complicato, di completamente separato dalla vita reale, retto solo da leggi che sono incomprensibili per chi non pratica queste arti. Ho la speranza quindi che il teatro e la danza inizino a proporre un “evento dal vivo”, uno spectacle vivant che sia accessibile, che venga percepito come uno scambio d’energia tra il pubblico e il performer, e non come una produzione letteraria e complessa; insomma un evento dal vivo che rimarrà in vita, nella memoria e nel corpo degli spettatori. Svecchiare il teatro e renderlo di nuovo un valore, questo potrebbe essere un mio desiderio e un mio obbiettivo.

Come ha coinvolto Michele Di Stefano in questo progetto e quali sono stati i suoi apporti alla coreografia?

“Joseph_kids” in realtà è stato proprio pensato con e per Michele. Innanzitutto volevo trasferire questo ripensamento dell’assolo su qualcun altro e restare osservatore esterno. Si è quindi presentata l’opportunità di lavorare con Michele, il cui lavoro mi stimola e mi colpisce sin dagli anni ’90. Per me era un’occasione anche per sfatare alcuni cliché sulla danza di ricerca che viene definita “concettuale” ponendo l’accento sul fatto che questo tipo di operazioni hanno un potenziale comunicativo molto grande. Ringrazio ancora Michele per aver accettato di gettarsi in quest’avventura un po’ folle…così come ringrazio Marco D’Agostin, che appare nella seconda parte della performance. Sono stati davvero degli incontri interessanti. Poi va detto che abbiamo cercato di fare in modo che anche Michele trovasse la sua dimensione in questo spettacolo, che non fosse costretto a imparare le mia danza, ma che trovasse la sua, assieme alla possibilità di divertirsi. È stato quindi molto interessante osservare come si possa trasmettere lo stesso messaggio con un corpo diverso, con un’età diversa, una fisionomia diversa… E mi piace pensare che queste vie di trasmissione non siano finite, ma che trasferiremo la partitura su altri artisti, su altri cervelli.

Ha in progetto altre creazioni che coinvolgano i bambini, magari anche come interpreti?

Devo essere sincero, per ora no, l’abbiamo già fatto in passato (“We are not here”, 2008, n.d.r.)… Al momento siamo molto impegnati con la nostra nuova produzione che prenderà tutte le nostre energie fino a Ottobre 2015; si tratta di un progetto ancora in costruzione e che si rivelerà molto delicato, perché molto probabilmente gli interpreti saranno dei non vedenti. Come potete intuire, è proprio una nostra volontà quella di coinvolgere diverse comunità. Questo non vuol dire, ad ogni modo, che non ci piacerà tornare a riflettere insieme ai bambini.futuraTittaferrante-mkSciarroni-JOSEPH-6682-2

Qual è la reazione più bella di un pubblico di bambini?

La prima realtà sorprendente è che i bambini amano molto questo lavoro, nel senso che il pubblico è in tribuna e non in un teatro all’italiana, e si può specchiare nello schermo. I bambini riescono poi ad interagire con il performer molto più facilmente di un pubblico di adulti: da un pubblico adulto ti aspetti che resti in silenzio e rispetti l’energia della performance, mentre nel caso di un pubblico di bambini il silenzio ti porta a chiederti se c’è qualcosa che non va. La reazione più bella per me è quindi proprio quando mi accorgo che i bambini si vedono nello schermo ed iniziano ad interagire con loro stessi, con il perfomer, con la performance, quando si sentono tutt’uno con quello che sta accadendo.

Due domande personali per concludere: ci può dire lei che bambino era? E che rapporto ha con l’infanzia?

Potremmo parlarne per delle ore, ma cercherò di essere sintetico. Ero un bambino molto silenzioso, un bambino che ha voluto sempre giocare da solo, un bambino che si è stancato in fretta del circo tradizionale perché si è accorto che nessun coltello finiva nel petto della ballerina e nessun acrobata cadeva dal filo [ride]. Un bambino che però, per inciso, ha pagato la pena del contrappasso, poiché la nostra ultima produzione era con un gruppo di giocolieri (UNTITLED_I will be there when you die, 2013; n.d.r.). Un bambino anche lucido, direi. Un bambino che non poteva che essere artista, che non poteva che indagare la perdita dello stupore, di quello sguardo meravigliato di fronte ai virtuosismi dei giocolieri. Un bambino, che da adulto, ha voluto colmare un po’ questa frattura.

Vorrei poter vedere con occhi diversi questo spettacolo. Vorrei poter eliminare i miei preconcetti libreschi, la formattazione accademica del mio sguardo, e interrogarmi sulla performance in maniera nuova, più ingenua, più spensierata, più bambina insomma. So che non sarà completamente così. Eppure resto convinta che quest’incontro con Sciarroni – che è avvenuto sul serio? la voce che sentivo via skype era davvero la sua? – mi abbia infuso un tipo di curiosità e un sorriso che avevo forse perso. Domenica vorrei essere tra le prime file, e ritrovarmi riflessa in uno specchio deformante, a stretto contatto con l’immagine di Michele, e giocare.

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