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July 11, 2014

La carne del legno e il legno del corpo. Intervista a Abbondanza e Bertoni su “Duel”
@ Bolzano Danza

Bianca Maurmayr
Intervista a Michele Abbondanza ed Antonella Bertoni sulla loro nuova creazione "Duel", in scena a Bolzano in prima assoluta il 16 luglio nell'ambito di Bolzano Danza 2014. Creazione coprodotta da Bolzano Danza, è uno spettacolo di teatrodanza in cui le sculture lignee dell’artista ladino Adolf Vallazza sono molto di più di una semplice presenza scenografica.

“Duel? Due! Soggetto e Oggetto. Uno di fronte all’altro, nell’ascolto, nell’azione. Incontro, scontro.” Nel leggere queste parole della presentazione allo spettacolo “Duel” della compagnia Abbondanza/Bertoni, riecheggia in me la voce di Erri De Luca, e il suo considerare la sinergia della coppia, del numero due come “il contrario di uno e della sua solitudine sufficiente” (Il contrario di Uno, Il Narrativo, 2003). Sì perché, sebbene possiamo bastare a noi stessi ed essere autonomi, il racchiudersi in un bozzolo che ci protegge dal mondo esterno e che ci isola non può che limitare la nostra possibilità d’espressione. A volte è nel confronto, seppur estemporaneo, con l’altro, che realizziamo pienamente noi stessi.

Coppia simbolo del teatrodanza italiano, attiva dal 1989, Antonella Bertoni e Michele Abbondanza sono due unità, complementari tra loro: lei, composta, seria, ma con un sorriso aperto e rassicurante; lui, un istrione, vivace e autoironico. Nella danza, lei leggera e morbida nelle braccia ma saldamente ancorata al terreno; lui, come sospeso, come sfiorasse il suolo nonostante quel suo corpo possente.

La tematica del “due”, della compresenza, dell’accettazione e anche del rifiuto dell’altro scaturisce con forza da questa nuova creazione e dalle parole che la accompagnano: in scena, nell’ambito di Bolzano Danza 2014, il 16 luglio alle 21 nel Teatro Studio del Teatro Comunale di Bolzano in prima assoluta, “Duel è un lavoro di teatrodanza ispirato ai totem dello scultore altoatesino Adolf Vallazza, che cerca di creare un confronto fra corpo del danzatore e legno della scultura, anche a livello trascendente. La scena diventa quindi luogo d’incontro e di scontro tra artisti e artigiani, tra interpreti di diverse età e le opere, eterne, tra l’umano e lo spirituale.

Com’è nato il desiderio di questo progetto, in collaborazione con un grande artista nostrano, Adolf Vallazza?

Antonella Bertoni:Duel” è nato da un’intuizione di Fabio Zamboni, grande estimatore delle opere di Vallazza, e direi anche estimatore nostro, nel senso che ci ha sempre seguito fin dall’inizio. Due anni fa ci ha voluto incontrare con urgenza perché voleva assolutamente che conoscessimo Adolf Vallazza e che in qualche modo cercassimo di fare qualcosa insieme. Va anche detto che il progetto è poi stato possibile grazie alla collaborazione di Francesca Leonelli e Dalia Macii, responsabili dell’ufficio stampa e dell’organizzazione della compagnia, e di Andrea Gentili, responsabile tecnico e lighting designer dal 2009.

Michele Abbondanza: Sì, Fabio aveva visto un nostro spettacolo, “Scena Madre”,  con scenografie e atmosfere particolarmente diafane e candide e si era chiesto quale sarebbe stato il risultato artistico, installando i totem di Vallazza, così scuri, così rugosi, in un ambiente così asettico, così bianco.

A.B.: Poi da lì ci si appassiona: conoscere Adolf è stato un onore, un piacere, una meraviglia; un novantenne con spirito bambino e luminoso.

M.A.: D’altronde come tutti quelli che invecchiano bene e che finiscono per assomigliare alle opere che fanno.

A.B.: Esatto! Poi è un uomo di una disponibilità assoluta, di grande semplicità.

M.A.: Dicasi un artista, un artigiano, da ars-artis che si traduce con “mestiere”. Un mestiere che Adolf fa con le mani, quasi come il nostro: noi ci aggiungiamo i piedi… e tutto il corpo.Bolzano Danza-Duel3.Fontanella

Materia corporea e materia (apparentemente) inerme, portata a nuova vita grazie alla scultura di Vallazza. Qual è la relazione che è nata tra questi due oggetti artistici nel corso della creazione? Altrimenti detto, vi siete ispirati alle forme e ai vuoti scultorei di Vallazza per coreografare, o le due arti sono rimaste autonome, a sé stanti, seppur interdipendenti?

M.A.: In realtà pensiamo che l’importante non sia accostare due arti vicino, darne la sintesi allo spettatore, ma sia piuttosto cercare di fare un lavoro di creazione, che le impasti preventivamente. Per questo progetto siamo andati alla ricerca del legno che c’è in noi e della carne che c’è nel legno: siamo andati ad indagare il corpo del legno, il corpo delle carni, il corpo dei nostri danzatori e dei nostri bambini, senza fare differenze. Abbiamo avuto la necessità di abbracciare il legno (non senza riempirci di schegge le prime volte), di salirci sopra, di mettere anche alla prova la resistenza nostra e delle opere, sperando che Adolf non soffrisse troppo di questa creativa dissacrazione, della quale prendevano comunque parte i nostri stessi corpi. Siamo addirittura arrivati, con il beneplacito del maestro, a dare la cera alle opere e a trasformarle, per renderle carnali, mentre noi ci siamo incalliti e induriti. Chissà se si riconoscerà qual è il totem e qual è il corpo del danzatore…

A.B.: Sì, direi che le due materie si riconoscono e si distinguono perché sono due corpi molto differenti. Non c’è stata alcuna ricerca di simbiosi, come diceva Michele, anzi. Il titolo stesso dello spettacolo lo sottolinea: si è trattato più di uno scontro, di un duello, che diventa poi un incontro. È naturalmente uno spettacolo di azione, come è il nostro specifico, dove si relazionano il corpo-opera di Vallazza, fatto di ruvida pelle e ricco di memoria, con il corpo del danzatore, fatto di carne, campo fertile e privilegiato della creazione.

Veniamo appunto al titolo dello spettacolo, ”Duel”. Esso evoca la coppia e lo scontro, la sinergia e la tensione, la dicotomia e la relazione dialettica. Ci potete spiegare meglio quali elementi si incontrano, o si scontrano, in questo spettacolo?

M.A.: Assumendo a priori che il totem abbia in sé qualcosa di magico, di spirituale e trascendentale, lo scontro si è verificato in primis tra l’umano e il magnifico. Può essere sia un incontro sia uno scontro, poiché possiamo relazionarci al divino o tradirlo, voltargli le spalle, travolgerlo. È da qui che nasce la necessità di ispirazione  e di rilettura del primo libro della Genesi, dall’Eden all’omicidio di Caino fino all’Arca dell’Alleanza, in cui l’uomo si relaziona, si scontra e si ritrova con Dio, con l’altro da sé. Un’altra sinergia importante che sorge in “Duel” è quella tra la materia oggetto del legno e le diverse generazioni che partecipano allo spettacolo e il loro modo di manipolarla e di appropriarsene. Abbiamo voluto chiudere lo spettacolo con lo speciale rapporto che è nato tra i bambini e questi antichi legni, i totem. Con loro si possono anche trasformare in nave, torre, regalo da scartare e trono da scalare su cui magari essere infine anche incoronati. Ma lo spettacolo è anche una storia di uomini, di donne, di amore, che vuol dire proprio due. Perché la vita è un duello dalla mattina alla sera, da quando scendi dal letto, da quando nasci e credi di essere uno, monos, e poi diventi due, poi tre, poi mille…

Avete evocato la correlazione tra i totem di Vallazza, leitmotiv della sua opera, e la storia biblica. Qualcosa di più su questa relazione tra umanità, creazione e spiritualità che volete trasmettere attraverso questo spettacolo?

A.B.: È stato quasi necessario appoggiarsi al mito, e in particolare alla Bibbia e alla Genesi. La prima impressione, che è poi quella che non tradisce mai, che abbiamo avuto quando siamo stati messi davanti ai totem di Vallazza, nel suo studio, è stata quella di essere davanti a qualche cosa di estremamente simbolico, depositario quasi di una saggezza atavica, di qualcosa che ha abitato il tempo e continua ad abitare il tempo, che è stato molto prima di noi. Questo ci ha fatto venir voglia veramente di andare ad attingere a qualcosa che fosse universalmente condivisibile, che avesse da sempre pervaso la nostra cultura e non solo, e cioè il mito, la favola, in particolare Adamo ed Eva, Caino e Abele e il Diluvio Universale, di cui ogni occidentale è stato comunque, volente o nolente, impregnato.

M .A.: Sì e poi c’è il legno, materia tanto primitiva quanto lo è il libro della Genesi per noi. Come spesso nelle nostre creazioni, sentiamo la necessità di una drammaturgia, storia o filo conduttore che dir si voglia… Avremo potuto lavorare parimenti sull’Odissea o il Mahabharata, ma per quanto riguarda quest’ultima ipotesi abbiamo preferito restare su un testo più vicino alla nostra cultura.Bolzano Danza-Duel4.Fontanella

Nello spettacolo partecipano interpreti di età diverse. Quali difficoltà avete potuto riscontrare nel costruire un linguaggio coreografico comune a bambini e ad adulti professionisti?

A.B.: In realtà lo spettacolo è composto di tre parti diverse: il maschile e femminile all’inizio, il duo solo maschile nel secondo atto e i bambini alla fine. Abbiamo lavorato in tre periodi separati, prima con le due coppie di adulti e dopo la fine dell’anno scolastico con i piccoli. Naturalmente il linguaggio può sembrare profondamente diverso ma, di fatto, metodologia ed espressione poetica sono esattamente identiche. Possiamo solo aggiungere che con i bambini è tutto molto più magico-meraviglioso e anche molto più faticoso.

M.A.: Possiamo anche confessare che un nostro sogno sarebbe stato avere il grande maestro Adolf Vallazza in scena, a rappresentare una delle tre generazioni. Ma nonostante sia un ragazzo,  abbiamo voluto evitargli lo stress delle prove e di rubare del tempo alle sue preziose creazioni. Comunque abbiamo ovviato al problema mettendo in scena un altro anziano… [Michele Abbondanza non smentisce mai il suo essere ironico, visto che si riferisce a se stesso, n.d.r.].

Pur sapendo di incorrere in un riduzionismo provocatorio, o comunque scomodo, vi chiedo dieci parole che possano racchiudere il senso di “Duel”.

A.B.: Su questa domanda io vado in crisi, perché credo che lo spettacolo debba ancora parlare, quindi lascio il testimone a Michele.

M.A.: Mah, risponderei alla provocazione con una battuta e direi i 10 comandamenti: non ammazzare, non rubare… “Duel” potrebbe essere racchiuso in queste semplici parole. Ma “Duel” è anche la ricerca della verità della relazione tra gli interpreti e i legni. Troppe volte ho visto l’uso di oggetti in scena come un abbellimento di quello che succede; noi invece volevamo trovare una storia da raccontare attraverso questi totem, attraverso questi corpi, cercare l’impasto magico della scena e i mezzi del teatro e della danza e di creare un piatto saporito, profumato, che portasse poesia e facesse parlare e santificare, in quanto sacrificare (rendere sacri),  i danzatori. “Duel è la voglia di lasciare una speranza, è la ricerca, forse utopica, della felicità (in questa cosiddetta “valle di lacrime”) che è poi, probabilmente, lo scopo ultimo dell’arte. Chiuderei sui totem di  Adolf Vallazza. Loro sì che sono eterni, nella loro superba e dinamica struttura, felici. Lo dico invidiandoli: sopravviveranno alle nostre carni; ma chissà che tutto questo sudore che ci abbiamo messo dentro non li abbia in qualche modo impregnati e che quindi portino anche un po’ di noi nella loro perennità.

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Nel lasciare Michele ed Antonella capisco che non si può riassumere il senso di “Duel” solo con parole o scritti. Sono troppi gli elementi in gioco per poter ridurre lo spettacolo ad una semplice enumerazione di idee: il linguaggio corporeo di Michele Abbondanza ed Antonella Bertoni, i muti legni di Vallazza, le voci e i gesti di tre generazioni di artisti, e la relazione, personale e comunitaria, al divino; elementi che a loro volta contengono sfumature, colori, sensibilità differenti. Si intuisce dallo sguardo dei due autori che sono emozionati nel parlare di una loro creazione, di un loro figlio in un certo senso. Se l’hanno portata alla luce, devono anche lasciare che questa trovi la sua voce, e sappia parlare da sé al pubblico. La parola dunque allo spettacolo!

Foto: Rosario Fontanella

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