Music

June 26, 2014

“Il suono del segno – Il segno del suono” @ Portobeseno, Mauro Graziani: “Produciamo paesaggi sonori-visivi”

Marco Bassetti
Nell’ambito del Festival Portobeseno, venerdì 27 luglio la Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio Bonporti di Trento presenterà “Il suono del segno – Il segno del suono”, serie di composizioni/improvvisazioni che utilizzano come punto di partenza immagini tratte da diversi luoghi del pianeta. Ne abbiamo parlato con Mauro Graziani, docente presso il Conservatorio Bonporti e ideatore del progetto insieme ai suoi studenti.

Nato a Verona nel 1954, Mauro Graziani, dopo un diploma in Informatica Musicale presso il Conservarorio B. Marcello di Venezia (1982), ha lavorato per anni presso il Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di Padova occupandosi di sintesi e trattamento digitale del suono. Compositore, sperimentatore multimediale, manipolatore del suono, è approdato al Conservatorio Bonporti di Trento come docente di musica elettronica.  Collaboratore da 4 anni del progetto Portobeseno, quest’anno presenta – accompagnato dagli studenti del suo corso – un set dal titolo  “Il suono del segno – Il segno del suono” (venerdì 27 giugno, Castello di Beseno, ore 21): serie di composizioni/improvvisazioni in cui l’elemento unificante è la connessione immagine-suono, l’esplorazione profonda del tessuto sonoro e visuale. Ma partiamo dalla genesi del progetto… 

Le composizioni di “Il suono del segno – Il segno del suono” nascono dal suo corso presso la Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio Bonporti. Ci racconta brevemente la genesi del progetto?

Essendo interessato allo studio del paesaggio sonoro, due anni fa ho fatto partire un progetto chiamato “Comporre con i suoni del mondo”, in cui gli studenti erano invitati a realizzare delle composizioni basate su suoni naturali elaborati via computer. Questo progetto ha prodotto dei brani che abbiamo portato a PortoBeseno 2013. Quest’anno, come parte del terzo anno del corso di musica elettronica, ho aggiunto anche l’elaborazione delle immagini e la ricerca di una connessione fra il suono e l’immagine.

Punto di partenza delle diverse composizioni sono suoni e immagini tratti dai molti luoghi del pianeta. Come è avvenuto l’incontro con questi suoni/immagini?

Devo distinguere fra il progetto nella sua totalità, che si svolge in due anni e il punto a cui siamo ora. Per quest’anno abbiamo lavorato principalmente su immagini tratte dai film documentaristici di Herzog perché abbiamo ricevuto un invito in tal senso da parte del festival Scirocco di Pergine, a cui abbiamo partecipato. Le immagini di quest’anno, quindi, provengono da Iraq, Antartide e Africa.

Alla radice di questo tipo di sperimentazioni è corretto collocare la “musique concrète”?

Non esattamente. Certamente alcune idee derivano dalla musica concreta, ma ormai le correnti degli anni ’50 sono patrimonio storico e le tecniche che hanno generato vengono utilizzate, ma non costituiscono un’ideologia. Inoltre la tecnologia ha prodotto nuove tecniche che incrociano l’elaborazione di suoni naturali e la sintesi di suoni nuovi. Così noi usiamo sia l’una che l’altra (elaborazione e sintesi) nei nostri brani.

L’obiettivo di questo lavoro è quello di esplorare nel profondo il tessuto sonoro e visuale, fino a svelare il paesaggio che si nasconde all’interno del singolo elemento. Immagino che a parole sia molto complesso, ma ci parli di questo “paesaggio reale” dietro l’elemento?

Sì, a parole è più complesso che all’ascolto o alla visione… Faccio un esempio. Anni fa ho realizzato, in un giardino di Mantova, un’installazione audio/video in cui l’audio era costituito unicamente da suoni di insetti. Per la parte video ho chiesto a un fotografo, esperto in macro-fotografia, una serie di immagini riprese dal punto di vista di un essere piccolo come un insetto. In tal modo, un sasso diventava una collina rocciosa piena di anfratti e un piccolo pezzo di terra con sassetti, erba e piantine sembrava una savana con rocce a alberi. Il cambio di scala rivela paesaggi diversi sia nel visuale che nel sonoro. L’isolamento di parti di un suono rivela altri suoni che possono essere utilizzati per costruire paesaggi sonori diversi.

Ma anche nella ricerca sonora più radicale e profonda il suono è pur sempre un segno, quindi un veicolo mai perfettamente trasparente del “reale”. La sperimentazione musicale ha maggiori possibilità espressive nel significare il “reale” rispetto alla riflessione e al linguaggio?

Abbiamo un vecchio detto “Una immagine vale 1000 parole”. Per quanto riguarda il suono, il nostro lavoro è anche un invito ad ascoltare con maggiore attenzione e con un atteggiamento analitico. La sperimentazione musicale non ha maggiori possibilità, ma rivela cose diverse e complementari rispetto alla visione e al linguaggio. La speranza è che anche quest’aspetto venga tenuto in maggiore considerazione da chi progetta o interviene sul paesaggio.

Foto: www.maurograziani.org

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