Music

May 23, 2014

Tribute to Django @ MusikaDop. Manuel Randi: “Django fu un visionario”

Marco Bassetti
Sette musicisti e un narratore rendono omaggio al mito del grande chitarrista e compositore Django Reinhardt. Appuntamento lunedì 26 maggio presso la Sala Polifunzionale di Piazza Angela Nikoletti a Bolzano, nell’ambito della quarta edizione di MusikaDop, rassegna promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Bolzano per valorizzare la scena artistica locale.

Ci sono musicisti che, con la loro storia, la loro personalità e la loro influenza, oltrepassano i confini della musica e diventano simboli universali. Tra questi, certamente, Django Reinhardt, leggendario chitarrista di origine sinti, iniziatore del jazz manouche (detto anche gipsy jazz), all’incrocio tra tradizione musicale zingara e jazz amaricano. Uno capace di inventarsi, in seguito ad un incendio che divorò la sua roulotte provocandogli gravi ustioni, una nuova tecnica che gli permettesse di continuare a suonare la chitarra con l’uso di sole due dita della mano sinistra (indice e medio, con il pollice ad afferrare il manico). Un innovatore, un genio, un visionario, uno per cui “i soldi, la fama, la carriera non avevano nessuna importanza, perché per lui l’unica cosa importante era la musica”. Così ce lo racconta Manuel Randi, il grande chitarrista bolzanino conosciuto e apprezzato anche all’estero, fine conoscitore dell’opera del compositore zingaro, nonché protagonista della serata Tribute to Django presso la Sala Polifunzionale di Piazza Angela Nikoletti (lunedì 26 maggio a partire dalle 20.30). Ad accompagnarlo per l’occasione sarà presente la crème della scena musicale locale: Franz Zanardo (chitarra), Mike Ometto (chitarra), Fiorenzo Zeni (sax), Gianni Casalnuovo (contrabbasso), Beppe Pilotto (contrabbasso), Mattia Martorano (violino) ed Emilio Insolvibile (voce narrante).

Manuel, dove nasce la tua passione per Django Reinhardt?

La prima volta che ascoltai Django non ne rimasi particolarmente colpito: la chitarra si sentiva a malapena e lo stile mi sembrava obsoleto. Dopo ripetuti ascolti, però, mi resi conto della genialità e modernità dei suoi soli, così originali, spontanei, tecnicamente incredibili. Il suo suono e la sua classe mi conquistarono totalmente, con quel sapore mitteleuropeo e quella ingenuità ed ironia tipicamente zingara. La coesistenza di spensieratezza, allegria e profonda tristezza nelle sue esecuzioni è paragonabile al blues afroamericano: è l’espressione di un popolo perseguitato ed oppresso che lotta per la sua emancipazione.

Django Reinhardt è uno di quei pochissimi artisti in cui biografia e mitologia, storia e leggenda, si legano e si confondono. Quali sono a tuo parere i tratti più significativi che fondano – e rendono ancora oggi vivo – il mito di Django?

Django è un caso unico. Chiunque legga la biografia di Michael Dregni (Django: Vita e musica di una leggenda zingara, EDT/Siena Jazz 2012, n.d.r.) si rende conto che le sue “imprese”, sia musicali che di vita, sono leggendaria realtà. Era uno zingaro con una grande autostima ma profondamente ingenuo, come un bambino. I soldi, la fama, la carriera non avevano nessuna importanza per lui. L’unica cosa importante era la musica e, se si considera la sua evoluzione nel corso di una purtroppo breve vita, ci si rende conto di quanto sia stato innovatore, quasi visionario.

Il suo stile chitarristico-compositivo (all’incrocio tra musica classica, jazz e tradizione gitana), ha fatto scuola. In cosa consiste la sua unicità?

Lo stile di Django è un mix di valse musette, musica dei caffè viennesi dei primi del Novecento, musica classica (soprattutto Bach, Ravel e Debussy, venerati dal chitarrista) ed il primo Jazz americano (Louis Amstrong, Bix Beiderbecke ed Eddie Lang). La sua unicità consiste nell’aver fuso questi stili ricavandone un “minestrone” mai sentito prima, mai noioso ed estremamente vario. Successivamente fu molto influenzato dal bebop, arricchendo il suo linguaggio con elementi più jazzistici d’avanguardia.

Da un punto di vista più tecnico, cosa significa per un chitarrista suonare oggi Django Reinhard? 

Significa sudare sangue! Django, rimasto solo con due dita nella mano sinistra in seguito ad un incendio al suo carrozzone, fu costretto a sviluppare una tecnica fatta di arpeggi, sweep-picking, tremoli vari e ornamenti zingari che richiedono molto pratica. Personalmente tendo non tanto a copiare le singole frasi, quanto ad imitarne l’intenzione, il suono. Il fulcro della stupenda tecnica di Django è la mano destra che riusciva a muovere liberamente su tutte le corde con una potenza inimmaginabile per un chitarrista odierno. Aggrediva letteralmente le corde, spinto dalla necessità di farsi sentire nelle sale da ballo vicino a strumenti  come la fisarmonica o il sassofono, che hanno un volume di suono molto maggiore rispetto alla chitarra.

Se dovessi scegliere un brano e uno soltanto, il più rappresentativo o per te significativo, del suo repertorio, quale sceglieresti?

Probabilmente la sua composizione più significativa è anche la più conosciuta, cioè “Minor Swing”, un brano molto semplice in cui però si cristallizza la fusione tra il ritmo hot del jazz e gli accordi minori tipicamente zingari, europei, dando vita allo stile “Gypsy Jazz” o “Jazz Manouche”. Fu un grande successo, un sound nuovo, suonato solo da strumenti a corda, mentre fino ad allora il jazz era considerato una musica per fiati suonata da musicisti neri. Limitarsi a questo pezzo sarebbe comunque un errore fatale, dato che Django fu un prolifico compositore con più di ottanta titoli originali, tra cui gemme come “Rythme Futur”, “Nuages”, “Stockholm” e molti altri.

Tags

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.