Culture + Arts > Architecture

May 22, 2014

Trento e la sua Wunderkammer

Anna Quinz
Inaugura venerdì 23 maggio "Wunderkammer collezione di immaginari urbani", un'azione artistica su e con la città di Trento. Noi che la città - con il nostro progetto Rosengarten - la indaghiamo da tempo, non potevamo non desiderare di dare una sbirciatina nel gabinetto delle meraviglie del vicino Trentino.

Giusi Campisi l’ho conosciuta qualche tempo fa, impegnata a lavorare sul progetto del quartiere di San Martino a Trento. Luca Bertoldi era uno dei nostri residenti della Rosengarten Residency. Dunque, quando ho scoperto che insieme lavoravano a un nuovo progetto, non potevo non drizzare subito le orecchie e metterci in ascolto. Il progetto in questione è Wunderkammer Trento collezione di immaginari urbani, che già solo a sentirne il nome, apre il pensiero a visioni e suggestioni, come fa e da sempre ha fatto ogni wunderkammer che si rispetti. Come recita wikipedia, la wunderkammer è una “camera delle meraviglie o gabinetto delle curiosità o delle meraviglie, è un’espressione appartenente alla lingua tedesca, usata per indicare particolari ambienti in cui, dal XVI secolo al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti conservare raccolte di oggetti straordinari per le loro caratteristiche intrinseche ed estrinseche“. E dunque, anche dal progetto trentino di Giusi e Luca, ci aspettiamo meraviglie e curiosità. Legate a doppia mandata alla camera o gabinetto che sia, allargato all’intera città, come palcoscenico, museo, archivio, spazio di lavoro e ricerca. 

Per capire meglio di cosa si tratta, ho sentito Giusi e Luca. Qui il loro racconto della loro wunderkammer, che inaugurerà domani venerdì 23 maggio – a Trento – a partire dalle ore 17.30 (maggiori dettagli, li trovate qui).

 Ciao Giusi, ciao Luca. Parlateci di Wunderkammer: cos’è? Quale la genesi del progetto? Idee che ci stanno dietro e dentro?

Wunderkammer Trento collezione di immaginari urbani è un’azione artistica che propone una messa in discussione dei rapporti di potere che attraversano la città. La messa in scena dell’istituzione è la forma della nostra azione, un corto circuito che permette di aprire una riflessione critica sul conflitto tra l’ istituzione e la città, tra le politiche territoriali e gli immaginari individuali. Un discorso politico quindi, che interroga la relazione tra pubblico e privato nel tempo del capitalismo cognitivo, in cui la dimensione privata è continuamente messa a valore. L’ invito ai cittadini di proporre un’acquisizione al museo intende mettere in luce l’ambiguità delle raccolte/mappature frutto della partecipazione; nel nostro caso la donazione dell’ esemplare assume una doppia significazione, da una parte è un gesto di appropriazione del patrimonio pubblico da parte del donatore, e dall’altra, è la consegna del proprio sguardo e dei contenuti soggettivi al pubblico, che li mette a valore. Quando ci siamo incontrati a discutere questi temi, nell’autunno dello scorso anno, eravamo solo in due, Giusi e Luca, l’attuale Comitato scientifico, ma per realizzare il progetto articolato della costituzione di un museo, il gruppo si è immediatamente allargato andando a formare lo staff : Layla Betti, Cristina Dal rì, Carlo Maiolini, Gianluca Manzana, Matthias Gutsch. Molti di noi lavorano nei musei o nelle istituzioni culturali della città, altri sono professionisti che ci collaborano da tempo. La scelta di formare uno staff di questo tipo, di lavoratori della cultura, aggiunge un altro elemento al dibattito, anche noi infatti offriamo un’occupazione precaria e gratuita.

2Un museo degli immaginari urbani… Ma si tratta di un luogo fisico? La parola “museo” mi fa pensare a dei muri, mentre la parola “immaginari” a visioni mentali…

Il museo può coincidere con un’intera città, come sappiamo di Venezia o Evora patrimonio dell’umanità, con un’ intera regione, le Dolomiti ad esempio ma, come dice Agamben, tutto oggi può diventare museo, perché questo termine nomina semplicemente l’esposizione di un’impossibilità di usare, di abitare, di fare esperienza. Quindi non si tratta di designare un luogo, “ma la dimensione separata in cui si trasferisce ciò che un tempo era sentito come vero e decisivo, ora non più”, ciò che sottratto all’uso, viene consegnato al consumo e all’esposizione. prendiamo ad esempio un attività sempre più diffusa tra le istituzioni culturali, la residenza d’artista. gli intellettuali e gli artisti si sono sempre spostati per lavorare, approfondire le loro conoscenze, i rapporti con la comunità artistica e con singoli colleghi e amici. La residenza d’artista sottrae questa azione all’esperienza, separandola, creando format con delle regole e un’economia controllata e inserendola a pieno titolo nel circuito del consumo e dell’esposizione. Wunderkammer in questo caso, con Grand Tour, invita alla riappropriazione dell’esperienza, deregolamentando i rapporti tra gli artisti e gli intellettuali che vengono a trovarci e a lavorare con noi. La nostra collezione è costituita da immaginari, in sostanza è una raccolta di rappresentazioni della realtà, che rimandano ad altre immagini, e ad altre ancora. Sono frammenti prodotti dalle tensioni e dalle relazioni che abitano la città, e che si proiettano sui muri del nostro museo, una storia che si accumula e che agisce. Non c’è museo che non abbia costituito la sua collezione a partire dagli immaginari, dai musei storici che propongono un racconto della storia e dell’identità in accordo con il potere politico, ai musei scientifici che sostengono un’ideologia tecnologica.

Come si svilupperà nel futuro il progetto? Quali obiettivi si pone e vi ponete?

La nostra proposta al donatore e al visitatore del museo è di prendere possesso del patrimonio pubblico attraverso la pratica dello sguardo rapace che può originare una personale significazione in un dialogo serrato tra pubblico e privato, tra individuale e collettivo. Si costruisce così una collezione di luoghi presenti nel tessuto urbano e interpretati dagli abitanti della città che li segnalano. In questo modo crediamo di poter dare vita a un fantastico assortimento di immaginari, ad un discorso collettivo, in antagonismo con la costruzione di rappresentazione della città che rispondono a logiche economiche e politiche.

1Perché avete scelto proprio il nome (molto suggestivo) Wunderkammer?

Ciò che ci interessa rimandando direttamente all’immagine della wunderkammer è, da una parte il suo specifico valore sperimentale e multi-culturale, soprattutto in secoli nei quali arte, scienza e filosofia della natura si confondevano, e dall’altra il suo essere considerata uno dei luoghi d’origine del museo. La diffusione del fenomeno delle wunderkammer tra il XVI e XVIII secolo, le vede trasformarsi da regno indiscusso del collezionista, a meravigliose stanze destinate a visitatori selezionati, dove la raccolta di naturalia e artificialia una volta catalogata e ordinata, viene esibita. Ci serviamo dunque del suo essere a cavalcioni tra il passato che rimanda al sacro, alla raccolta della reliquie, e il presente della catalogazione scientifica; tra il privato della camera, e il pubblico dell’esposizione.

Sempre più spesso artisti, creativi, curatori, lavorano con la città, sulla città. Che palcoscenico, base, strumento, è la città e perché anche voi avete scelto di “usarla”?

La città è complessa e, nonostante tutti gli sforzi totalizzanti, continua a sottrarsi ad una rappresentazione univoca, costruendosi per stratificazione di immaginari. La descrizione di un singolo fatto urbano è sempre relativa alla conoscenza, all’uso e all’affetto di chi lo vive. In questo senso nella città si può ancora fare esperienza del conflitto, ad esempio quello tra il tempo del nomade e la finitezza dello spazio. Dunque si tratta per noi di ragionare sulla costruzione della città e di contestare la progressiva museificazione del mondo.

 

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.