Music

May 22, 2014

Eugenio Bennato a Bolzano, con “Briganti camminanti” al Festival del Camminare

Marco Bassetti
Il grande cantautore napoletano sarà tra i protagonisti del Festival del Camminare, rassegna di tre giorni (23-25 maggio) dedicata al camminare come strumento di benessere e di conoscenza. Il suo spettacolo dal titolo “Briganti camminanti” andrà in scena sabato 24 maggio presso l’Auditorium Haydn di Bolzano alle ore 21.

Se il camminare è un’esplorazione lenta e attenta del territorio, delle sue trame profonde e dei suoi racconti, Eugenio Bennato è senza dubbio un grande camminatore. Il suo percorso musicale rappresenta, infatti, un lungo peregrinare, un viaggio alla riscoperta delle radici, delle tradizioni, dei ritmi e delle musiche della cultura popolare meridionale. Un viaggio di scoperta, di conoscenza, ma anche di resistenza rispetto al mondo globalizzato, rispetto ad una “società che corre ad alta velocità, perdendo di vista il valore delle cose vere” . Ecco perché, sottolinea lo stesso Bennato nel corso dell’intervista qui sotto, “riproporre oggi una musica delle radici è un’idea rivoluzionaria”. Anzi, brigantesca. “Mi può spiegare cosa c’entrano i briganti?”, gli chiedo . “Ti prego di darmi del tu”.

Quello del brigantaggio è un tema ricorrente nella tua poetica, perché? 

Nel mio percorso musicale mi sono trovato a scrivere la ballata “Brigante se more” che è stata usata come colonna sonora di uno sceneggiato sul brigantaggio (“L’eredità della priora” n.d.r.): uno sceneggiato, trasmesso negli anni Ottanta su Rai1, che ha avuto il pregio di essere il primo racconto dalla parte dei perdenti, dei vinti. Questa ballata poi è diventata popolare e viene cantata ancora oggi in molte feste, da nord a sud. Recentemente sono tornato sull’argomento “briganti”, estendendo il concetto in rapporto al nostro presente: dalla storia del passato si passa alla storia del presente per raccontare una forma di dissidenza nei confronti dei valori imposti dalla società globale.

Quindi come i “briganti” nell’Ottocento combatterono contro le truppe della monarchia sabauda in seguito dell’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia, così oggi i “briganti” combattono contro il processo di globalizzazione che punta a sottomettere l’intero mondo alla logica neo-liberista?

Sembra un argomento retorico e invece è un fatto reale. In campo musicale, ad esempio, esiste un vasto movimento di opposizione alle mode globali che si realizza nella valorizzazione di strumenti e tradizioni popolari e si contrappone alla tendenza globalizzante che porta alla perdita delle identità. Questo discorso s’inserisce benissimo nel progetto del Festival del Camminare, perché il camminare è oggi una forma di resistenza che oppone una forma di riflessione e azione lenta al ritmo esasperato con cui viaggia la società moderna: una società che corre ad alta velocità e fornisce un’enorme quantità d’informazioni attraverso la rete, ma che poi spesso perde di vista il valore delle cose vere.

Al tema della lentezza hai dedicato anche una canzone, giusto?

Sì, “Il mondo corre”.  L’ho scritta tre anni fa e oggi vedo con piacere che quello della lentezza è diventato un tema importante di riflessione.

Anche Raiz degli Almamegretta, tuo conterraneo, insiste su questo punto (come si può leggere nella nostra intervista). È come se ci fosse un legame forte tra la lentezza, intesa come forma di vita, e la cultura partenopea, il Mediterraneo, il Sud d’Italia e il Sud del Mondo. Come se la cultura mediterranea affondasse le sue radici in questa antica, in parte dimenticata, sapienza.

Mi fa piacere constatare come questi valori vengano riscoperti e vissuti parallelamente in situazioni ed esperienze differenti. Dopo aver scritto “Il mondo corre” mi sono imbattuto con sorpresa in un libro molto importante, “Il pensiero meridiano” di Franco Cassano, uno studioso di Bari, luminare negli studi di sociologia. Questo libro ha aperto davvero una nuova strada nell’interpretare in chiave positiva valori tipici del Meridione, come la lentezza, che per secoli sono stati letti come elementi deteriori.

Del resto però l’Europa, per non parlare della Cina e degli Stati Uniti, continua a correre e, nella sua corsa verso lo sviluppo, non sembra prestare grande attenzione a questi esempi. La lentezza, in un simile scenario, è solo un’utopia abitata da pochi privilegiati, oppure si tratta di un orizzonte realmente praticabile per tutti?

Credo che tutto quello che abbiamo sognato e immaginato non sia più un’utopia. Questo lo si può vedere a partire dalla musica, dalla festa come dimensione comunitaria fondamentale. Alcuni giorni fa ero in concerto a Pisa e nella Piazza dei Cavalieri, popolata da migliaia di studenti, la musica di strada, soprattutto legata ai ritmi etnici del Sud, ha tenuto banco fino alle 5 del mattino. Questo mi fa dire che qualcosa è realmente cambiato, qualcosa che si contrappone con forza alla vacuità della cultura televisiva, abitata da personaggi illusi da un miraggio di successo. 

In questo contesto l’attività di promozione e diffusione della musica tradizionale portata avanti da Taranta Power (organizzazione fondata da Eugenio Bennato nel 1999) assume tutto il suo valore…

Riproporre oggi, in Italia, una musica delle radici è un’idea rivoluzionaria, brigantesca appunto. È un’idea a cui lavoro da tanto tempo, fin da quanto fondai da ragazzo la Nuova Compagnia di Canto Popolare… Per quanto riguarda il progetto Taranta Power, l’idea mi venne mentre stavo a New York: pensai che se gli americani avessero una ricchezza di tradizioni popolari, danze e ritmi, come quella italiana, farebbero girare intorno ad essa tutto il mondo. Così pensai di unire il termine “taranta”, che si riallaccia ad una tradizione profonda potente e coinvolgente, al termine moderno “power”, così da contrapporre all’immagine deteriorata “tarantella, pizza e mandolino” la diffusione di un nuovo movimento culturale, autenticamente popolare, legato alla grande tradizione musicale del Sud d’Italia.

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