Trento Film Festival: facciamo il punto, a metà del cammino

Trento Film Festival: facciamo il punto, a metà del cammino
Dopo la serata inaugurale con la sonorizzazione live di The Epic of Everest da parte di Simon Fisher Turner, James Brooks, Peter Gregson e Andrew Blick, in cui sono state mantenute tutte le premesse con cui il compositore inglese ci aveva lasciato intuire nella scorsa intervista (serata nella cui apertura Simon Fisher Turner ha tenuto a rendere omaggio alle 16 vittime della recentissima e finora più grave tragedia mai avvenuta sull’Everest), il Trento Film Festival con la giornata di sabato è entrato nel vivo con la programmazione regolare delle proiezioni. Spazio dunque ai film in concorso, tra cui segnaliamo The Grocer, di Dimitri Koutsiabasakos, un anno nella vita di un droghiere ambulante greco che da decenni percorre regolarmente gli stessi paesi e valli della regione montuosa del Pindo, che nel contempo diviene inevitabilmente uno sguardo sulla crisi economica e sociale che negli ultimi anni ha investito la Grecia.
Siblings Are Forever, di Frode Fimland, è il racconto poetico della vita di Oddny e Magnar, fratello e sorella, entrambi superata la settantina, che da sempre vivono fianco a fianco nella loro casa di campagna nel Sudovest della Norvegia allevando il bestiame e coltivando il terreno, ripetendo ogni stagione di ogni anno le stesse procedure e abitudini. Siblings Are Forever sottolinea gli elementi più poetici della vita – letteralmente – straordinaria di una coppia che non ha mai abbandonato la propria casa natale e il rapporto con la natura circostante e considera un momento di vacanza l’appuntamento annuale con il pascolo estivo.
Metamorphosen di Sebastian Mez ritrae ciò che è oggi la vita lungo il fiume Techa, nella regione degli Urali sudorientali in cui nel 1957 avvenne l’incidente alla centrale nucleare di Mayak, uno dei più gravi di sempre ma la cui notizia è divenuta di dominio pubblico solo trent’anni dopo (trent’anni durante i quali si sono verificati altri incidenti), un’area che ancora oggi risulta altamente contaminata (come mostra la sequenza del contatore geiger – unico mezzo per mostrare un pericolo invisibile – tra le più forti e tese del film). Ci sono momenti in cui i primissimi piani uniti all’uso di un bianco e nero nitido e abbacinante fanno pensare a una tendenza appena estetizzante, ma rimane il fatto che la quotidianità in una terra dimenticata e segnata per sempre nelle parole di chi ha vissuto la catastrofe e ne porta i segni (o di chi non l’ha vissuta ma ne porta comunque i segni), è di un impatto intenso e sconvolgente.
Tra i cortometraggi in concorso, oltre a La Lampe au Beurre de Yak di Hu Wei e #29 di José Miguel Biscaya, quest’ultimo interessante esplorazione del rapporto tra paesaggio e rappresentazione attraverso un costante uso dello zoom, una menzione particolare la merita Magnetic Reconnection di Kyle Armstrong: 13 minuti che da soli valgono la programmazione di un’intera giornata, sublime montaggio di riprese dell’aurora boreale contrapposte al panorama di manufatti in decadimento e decomposizione che circondano la città canadese di Churchill, Manitoba, sottoposto a un processo di (altro) decadimento e alterazione delle pellicole super-8 e 16mm. Su tutto, le presenze astrali della colonna sonora Jim O’ Rourke e della voce over di Will Oldham. Per chi se lo fosse perso, verrà proiettato nuovamente nel pomeriggio di giovedì 1 maggio.
Un omaggio monografico è quello dedicato al cinema di Nikolaus Geyrhalter, presente al Festival come membro della giuria (insieme a Jabi Baraizarra, Maria Coffey, Alex Honnold e il regista trentino Andrea Pallaoro, autore di Medeas, visto a Orizzonti a Venezia 70 e in programma al Festival mercoledì 30 aprile).
Cineasta austriaco i cui lavori hanno purtroppo finora avuto scarsa visibilità in Italia, Nikolaus Geyrhalter mostra un interesse verso il lato nascosto e meno accessibile degli oggetti delle sue esplorazioni.
Allentsteig è un piccolo centro della Bassa Austria a ridosso di una area di 160 kmq occupata nel 1938 dall’esercito tedesco per istituirvi uno dei più grandi campi d’addestramento militari d’europa e ancora oggi utilizzata per gli stessi scopi e per questo inaccessibile. Geyrhalter dà voce, spesso ricorrendo all’intervista frontale, a chi vive in prossimità di quest’area, ai militari che la popolano e vi si esercitano e chi fu costretto a suo tempo ad abbandonarla. Uno sguardo analitico su una comunità circoscritta che richiama il cinema di Frederick Wiseman (lo si riconoscerà soprattutto in Donauspital).
7915 km è la lunghezza del percorso del Dakar Rally attraverso Marocco, Repubblica Sahrawi, Mauritania, Mali e Senegal, seguito da Geyrhalter a breve distanza dal suo svolgimento, soffermandosi sui racconti personali di chi in quelle regioni ci vive, indipendentemente dal passaggio di quella sorta di corpo estraneo che è la carovana della Paris Dakar (che non vediamo mai nel film, ma di cui vengono mostrate le tracce), mettendo in evidenza la distanza e le contraddizioni di due mondi e come un discorso politicamente lucido su di essi sia tuttora condizionato dal pregiudizio reciproco.
Completano la (parziale) retrospettiva dedicata al regista austriaco Abendland e Donauspital.