Culture + Arts

April 28, 2014

Nuccio Ordine al Festival delle resistenze: “Siamo un paese marcio, ma l’inutile ci può salvare”

Marco Bassetti
“Qual è il valore della cultura? Dibattito sul rapporto tra cultura ed economia”. Ospiti Massimo Bray, ex Ministro della cultura, Nuccio Ordine, professore e autore del libro "L'utilità dell'inutile”. Lunedì 28 aprile, ore 21, in piazza Matteotti a Bolzano.

Il nodo cultura-economia è uno di quelli più battuti e controversi della nostra bislacca contemporaneità. Spesso si rivendica con orgoglio l’importanza mondiale del nostro patrimonio storico-artistico e si pone la cultura in cima a programmi e agende, ma poi situazioni come quelle di Pompei ci raccontano di una situazione di degrado diffuso e profondo, e, al di là degli slanci ideali che durano lo spazio di un talk-show, i tagli a scuola e cultura si susseguono inesorabili da anni. Così oggi più che mai quello della cultura diventa uno spazio di resistenza contemporaneo, da dove poter analizzare la gravità della situazione italiana e delineare visioni di sviluppo possibile, al confine tra economia, educazione ed etica. Ne abbiamo parlato con Nuccio Ordine, professore di letteratura italiana presso l’Università della Calabria, attualmente visiting professor all’Istituto di storia della scienza Max Plank di Berlino e autore di “L’utilità dell’inutile” (Bompiani 2013): un libro che in sette mesi ha raggiunto la decima edizione in Italia vendendo 51mila copie, in Spagna ha venduto 19mila copie, in Francia 10mila copie, ed è in corso di traduzione in 13 lingue, tra cui cinese, giapponese e coreano. A dimostrazione che quello che si è toccato è un nervo scoperto. “Seduto alla mia scrivania, con il mio cane vicino, sono a sua disposizione”: l’intervista parte da qui.

La sua riflessione si fonda sul ripensamento radicale di cosa significa “utile” nella società contemporanea.

Nella nostra società viene ritenuto utile solo ciò che produce profitto. Ebbene il mio libro è una difesa di quei saperi (letteratura, musica, arte, filosofia…) e di quelle istituzioni culturali (biblioteche, musei, archivi di stato…) che, pur non producendo profitto, producono un utile: quello di formare dei giovani che siano in grado di amare il bene comune, di abbracciare la giustizia, di proteggere le persone più bisognose, insomma di far diventare più umana l’umanità. Come vede, si tratta di un utile molto diverso rispetto a quello verso cui la moderna società corre.

Infatti mi chiedo quando il suo libro arriverà in un paese come Cina quale riscontro potrà avere…

Il mio pensiero è evidentemente in grande controtendenza rispetto alla direzione che sta percorrendo in questi anni la Cina. Ma non dimentichiamoci della grande filosofia cinese… Io nel libro cito il grande Zhuang-zi (filosofo e mistico cinese, considerato tra i fondatori del Taoismo n.d.r.) che dice che non si può capire l’utile se prima non si capisce l’inutile. C’è una grande tradizione filosofica in Cina e c’è anche una grande tradizione di pensiero che riflette sull’importanza dello Stato.

Però il mondo sta andando da un’altra parte. Il processo è reversibile a suo parere?

Certo, se vogliamo uscire dalla crisi – una crisi morale ancor prima che economica – dobbiamo invertire la rotta. Dovremmo fare ad esempio un profondo maquillage alla lingua, dovremmo riformarla, perché non è possibile che la prima cosa che impara uno studente all’università sono i “crediti” e i “debiti”; non è possibile che il preside di una scuola sia chiamato oggi “dirigente scolastico”; non è possibile che il nostro patrimonio storico-artistico sia chiamato “petrolio” o “giacimento culturale”. Il linguaggio ha assimilato la cultura e l’educazione al tema del profitto, ma quando l’aziendalismo entra nella scuola crea disastri enormi.

Per il cambio di rotta quindi il tema dell’educazione diventa centrale…

Il problema è che le scuole e le università sono sempre più proiettate nel mondo del mercato, mentre la funzione delle scuole e delle università dovrebbe essere non tanto quella professionalizzante ma quella formativa. Cioè la funzione delle scuole e delle università è quella di far capire agli studenti i grandi valori universali, di farli uscire dal piccolo perimetro degli interessi personali per abbracciare i valori della democrazia, della giustizia, della solidarietà, della tolleranza.

Ma una riflessione di questo, che rivendica il ruolo centrale della cultura e dell’educazione, che possibilità ha d’impattare su di un tessuto socio-economico profondamente sfilacciato dalla crisi?

 Io non dico che il profitto sia una cosa negativa, dico che il profitto è negativo se diventa un fine in sé, se diventa la stella polare della società, l’unico scopo di un’azienda o di una iniziativa. Da questo punto di vista è possibile distinguere gli imprenditori di oggi che rapinano le loro aziende truccando i bilanci e portando gli attivi dei bilanci nei paradisi fiscali, da un grande imprenditore del passato che si chiamava Adriano Olivetti. Egli sapeva bene che il fine dell’azienda non era l’arricchimento del proprietario dell’azienda con conseguente impoverimento di tutto ciò che vi sta intorno, ma era l’arricchimento del proprietario, degli operai e dell’ambiente circostante. Per Olivetti l’utile dell’azienda andava rinvestito nella promozione culturale, il fine di un’azienda era quello di migliorare l’umanità. Se formassimo degli imprenditori sul modello di Olivetti, imprenditori che investono in biblioteche, asili nido, cinema, luoghi d’incontro, in case per far vivere meglio gli operai, avremmo un utile non come fine in sé ma al servizio dell’umanità.

Insomma una forma di “capitalismo ben temperato”, capace di annodare insieme etica ed economia. In Italia questo orizzonte appare oggi lontanissimo…

Perché in Italia stiamo attraversando una profonda crisi morale. La Corte dei conti ci dice che noi spendiamo all’anno dai 70 agli 80 miliardi di corruzione. Se alla corruzione aggiungiamo l’evasione fiscale che si aggira tra i 100 e i 150 miliardi, significa che il nostro è un paese marcio. E io purtroppo non vedo una classe dirigente realmente impegnata su questi temi, corruzione ed evasione fiscale. Quali azioni concrete vengono messe in atto? È possibile che si continuano con i tagli all’università e alla ricerca? È possibile che noi poi dobbiamo mettere 4 miliardi per risanare una banca che è stata assassinata da dei dirigenti disonesti? È questa la situazione con cui il paese si deve misurare. Per questo dico che l’unica possibilità che abbiamo per uscire da questa crisi è quella di formare le nuove generazioni all’amore per il bene comune.

Benissimo il pensiero al futuro delle nuove generazioni, ma il presente morde e miete vittime tutti i giorni. Cosa si sente di consigliare ai giovani che sono già sul mercato del lavoro e che, scommettendo proprio su una professione nel campo della cultura, stentano a vedere un orizzonte?

Io posso consigliare loro di rileggere un sonetto di Gioacchino Belli intitolato “Il mercato di piazza Navona”, in cui c’è una descrizione dei mercanti e delle loro merci: bicchieri, ferri, stracci, ecc. Ad un certo punto s’incontrano dei signori che vendono dei libri e a quel punto il Belli si chiede: “A che serve vendere libri?”. Cito questo sonetto perché oggi vedo molta demagogia in chi dice che con la cultura non si mangia e occorre fare molta attenzione: il potere che afferma che la cultura è meglio lasciarla da parte è molto pericoloso. La verità è che oggi abbiamo bisogno più che mai di strumenti capaci di smontare i luoghi comuni, che possano svelare gli atteggiamenti populistici che si nascondono nei discorsi della politica, che siano capaci di leggere la sostanza dietro l’apparenza.

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.