Music

April 9, 2014

Dub Trio a Bolzano, da Brooklyn crossover da capelli dritti in testa

Marco Bassetti
Con la loro miscela esplosiva di dub, punk, metal ed elettronica, i Dub Trio sbarcano al Pippo.stage di Bolzano giovedì 10 aprile. Roba da scoperchiare i palazzi, garantisce Mike Patton.

Nelle loro mani il dub – la sacra arte giamaicana del remix che spoglia i brani reggae per immergere la loro essenza in un mare di ipnotici riverberi– letteralmente esplode. Un approccio a dir poco punk, semplicemente geniale nel saper fondere i diversi generi – dall’ambient al funk all’heavy metal fino all’hardcore – all’interno di un magma incandescente. Che ha saputo conquistare nientemeno che Mike Patton (Faith No More, Mr Bungle, Tomahawk, Fantômas…), produttore e collaboratore del trio di Brooklyn fin dal 2006. “Il dub è una tecnica – chiarisce il bassista della band, Stu Brooks, nell’intervista qui sotto – non vedo perché dovremmo restringere le nostre possibilità e la nostra voglia di sperimentare all’interno di un singolo genere”. Con i Dub Trio a Bolzano, nel cuore di un tour europeo che comprende Atene, Amburgo, Bruxelles, Lione e Londra, l’agenzia di booking Poison for Souls mette a segno un altro clamoroso centro: tra riff rocciosi, bassi tellurici e riverberi sconsiderati, dopo il concerto di giovedì 10 aprile, il Pippo.stage non sarà più lo stesso. Inutile sottolineare come l’apertura affidata ai Little White Bunny caschi a fagiolo.

Dove nasce la vostra passione per il dub?

Fondamentalmente nasce dall’ascolto di King Tubby, colui da cui tutto è partito. La sua arte rappresenta un’infinita fonte d’ispirazione per noi.

Ci consigli tre album fondamentali per capire la vostra particolare idea di dub?

Augustus Pablo/King Tubby – Meets Rockers Uptown 
Horace Andy – Dance Hall Style
Scientist – Rids the World of the Evil Curse of the Vampires

Ma il dub è solo un ingrediente del vostro sound. Qual è la ricetta per creare un grande pezzo firmato Dub Trio?

Cerchiamo di impiegare il dub come comune denominatore di tutti i nostri pezzi, lo utilizziamo come un concetto, come una matrice. Questo approccio ci permette di sviluppare questo concetto in infiniti modi, applicandolo ai diversi generi musicali che ci piacciono.

È per questa ragione che il vostro ultimo lavoro, IV, suona più metal rispetto ai precedenti?

Nel nostro modo di suonare e di concepire il suono, il dub è una tecnica. Non vedo perché dovremmo restringere le nostre possibilità e la nostra voglia di sperimentare all’interno di un singolo genere, nel recinto del reggae. Quello che facciamo è applicare questa tecnica a qualsiasi stile, compreso il metal ovviamente.

Sul vostro sito raccontate come IV sia nato “on the road”, nello specifico durante una session particolarmente creativa durante il vostro tour in Francia. Come sono andate le cose?

Sì, una delle session più prolifiche che hanno generato IV è avvenuta in una piccolissima città della Bretagna, poco fuori Rennes. Avevamo una serie di date programmate da quelle parti e così decidemmo di arrivare lì una settimana prima per concentrarci sulla composizione dei nuovi pezzi. È molto raro per noi rimanere fermi in un luogo per un tempo prolungato e così quel periodo di isolamento si è rilevato un’opportunità molto preziosa a livello creativo per la scrittura del nuovo disco.

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