Culture + Arts > Performing Arts

March 27, 2014

Marco Pantani e la sua storia: lo sport va a teatro in un potente rito della memoria

Anna Quinz

La storia tragica di Marco Pantani ciclista di Cesenatico, maglia rosa al Giro e maglia gialla al Tour, accusato di doping e morto di disperazione il 14 febbraio del 2004 a Rimini – è stata a lungo sulle prime pagine dei quotidiani, sui rotocalchi, in televisione, su libri che ne hanno sviscerato ogni retroscena. La storia di Marco Pantani è una storia che tutti conoscono, un’epopea contemporanea che ha scavato uno di quei solchi che spesso si creano tra chi “è con” e chi è “contro”. La storia di Marco Pantani è una storia di sport, ma non solo, che dopo quotidiani, rotocalchi, televisione e libri, finisce anche in teatro. “Pantani” è il titolo dello spettacolo scritto e diretto da Marco Martinelli (che per questo testo ha vinto il Premio Ubu 2013), in scena al Teatro Stabile da stasera giovedì 27 fino a domenica 30 marzo. Ancora una volta, fortunata io, che posso – seppur spesso solo al telefono – conoscere e ascoltare i pensieri le voci preziose e attente dei teatranti. Ecco qui la voce e i pensieri di Marco Martinelli.

Marco, sport e teatro sembrano mondi così lontani… perché portare sulla scena proprio la storia di uno sportivo come Pantani?

Perché non è solo una storia di sport. Attraverso lo sport, questa storia, ci racconta gli ultimi 30 anni della nostra repubblica. Majakovskij diceva “bisogna strappare la repubblica dal fango”, e questa frase è perfetta, riguarda i Pantani della nostra repubblica, le paludi nelle quali siamo sprofondati. E la vicenda tragica di questo grandissimo campione del ciclismo è come un exemplum medievale: attraverso la storia di un individuo si possono vedere in controluce i profili di un’intera società. Questo è quello che mi ha fortemente affascinato, io che non ero tifoso di Pantani, che non seguivo il ciclismo all’epoca. Invece poi, quando sono entrato dentro a questa storia, ho cominciato a vederne le tante sfumature e i tanti significati. Questo mi ha affascinato e mi ha richiesto di metterla in scena.

pantaniCome ha costruito il testo, come ha fatto le sue ricerche, essendo la storia di Pantani così nota, ma anche così controversa?

Oltre a leggere tutto quel che potevo trovare, la fase più importante è stata quella di andare a parlare con tanti testimoni, persone che gli erano state vicine e che lo conoscevano, a partire dai due genitori. Perché il rito della memoria – in sostanza è un po’ questo il nostro Pantani, un rito della memoria per ridare dignità a questo grande campione – è costruito intorno alle figure di Tonina e Paolo, genitori romagnoli, tagliati nel legno della Romagna popolare e anarchica. Tonina vende le piadine, Paolo è idraulico. Eppure queste due figure sono come quelle di una tragedia greca, come Antigone che vuole seppellire il corpo dell’amato dentro la città, per ridargli sepoltura e dignità. Perché Marco Pantani, non merita la lapidazione mediatica che ha ricevuto in vita e che è stata uno dei motivi che l’hanno portato a una grande depressione e poi a una fine così tragica.

Com’è dunque il personaggio Marco Pantani che questo testo teatrale ci restituisce? 

Marco non c’è in scena. Ci sono tanti personaggi, una piccola folla che parla di lui, che ce lo racconta, che lo fa sentire presente. Viene fuori la storia di un ragazzino che a 11 anni saliva le montagne come nessun altro. Da allora ha iniziato a vincere, la sua vita è diventata la bicicletta ed è arrivato sulla cima del mondo perché quando nel ‘98 vince il giro, è già una leggenda: si fermavano ospedali e le fabbriche per seguire le sue imprese. Marco vinceva con la stessa fantasia e spericolatezza con la quale vincevano Bartali e Coppi. Non era un ciclismo da ragionieri il suo, o di tattiche, a detta dello stesso Bartali che riconosceva in lui, le stimmate di un teatr… ciclismo antico, epico. E una volta arrivato sulla vetta del mondo, Marco viene precipitato giù. Subisce negli ultimi 5 anni una specie di via crucis che lo porta alla morte. Viene fuori questo, una storia antica ma allo stesso tempo incarnata nel nostro presente, nella nostra società di plastica che crea miti dall’oggi al domani e che sa anche riuscire a distruggerli.

pantaniA un certo punto poco fa, voleva dire ciclismo e ha detto teatro. Un lapsus. Ma che fa pensare che – rispetto a come ho iniziato questa intervista – ci siano punti di contatto e di similitudine tra i due mondi.

 È un lapsus rivelatore. Teatro e sport nascono insieme. Olimpia è vicino al teatro di Dioniso. Sono entrambi potenti creatori di miti. Antonin Artaud diceva che l’attore è atleta dell’anima, del cuore. Ed è vero, la dimensione del corpo, paziente e sofferente e nello stesso tempo magnifico dell’attore e dell’atleta, si parlano. Noi peraltro avevamo già affrontato il mondo dello sport in nostri spettacoli. E come lo sport, anche il teatro più bello e più necessario, è quello che pur parlando all’oggi ha le sue radici nel passato e nella tradizione. Oppure, quello che avendo radici nella tradizioni, riesce a reinventasi in relazione ai viventi, all’oggi. Perché se il teatro non parla a noi, noi vivi, non può che essere un semplice museo del passato 

Usare temi sportivi – più vicini alle “masse” – può essere una strategia per avvicinare un nuovo pubblico al teatro? 

È una strategia che però deve essere fondata sulla necessità tua di artista di comunicare. Se diventa una cosa studiata a tavolino, è sbagliata. È un po’ come quando in parrocchia da piccoli mettevano il biliardino per farti fare il catechismo. Non può funzionare così. Se nella tua necessità, come nel nostro caso, senti il bisogno di raccontare quella storia, di affondare in quella ricerca, allora l’aggancio dei due mondi – teatro e sport – funziona, perché ha veramente le radici in un cuore. Se invece qualche pubblicitario la prende in mano questa questione, siamo da capo, rischiamo di nuovo di morire di pubblicità e cattive strategie. Dunque, l’importante è che non diventi una formula, deve nascere da una profonda necessità artistica questa scelta tematica. Se inizia a diventare un “voglio portare a teatro un certo tipo di gente, allora oggi scrivo di Messi e Valentino Rossi”, allora no, non va.

Dunque, che pubblico per “Pantani”? 

Quello che avviene ogni sera – ed è veramente un bellissimo miracolo – è che a teatro troviamo la confluenza di due mari. Sai quando i mari confluiscono e c’è quel punto magnifico in cui le due acque si mescolano? Ecco, noi abbiamo in sala i due popoli. Abbiamo spettatori che vengono esclusivamente per il titolo, perché sanno che si parla di Marco Pantani. Si guardano intorno e magari è la prima volta che mettono piede in un teatro. Insieme a loro, abbiamo spettatori che vengono a teatro a vedere Molière e Shakespeare e che si chiedono “perché questa sera siamo venuti a vedere questo Pantani? Ma, ormai siamo qui e vediamo cosa succede”. Riuscire a portarli tutti e due alla fine delle 3 ore di spettacolo e trovare in entrambi lo stesso tipo di coinvolgimento, di commozione e anche di indignazione per le vicende che hanno ascoltato, è un piacere, una soddisfazione profonda, che non ha davvero prezzo. 

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.