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March 12, 2014

Ricci/forte: “L’Italia è un paese culturalmente muto. Noi cerchiamo di rompere il silenzio”

Anna Quinz
Sabato 15 marzo al teatro di Gries a Bolzano - all'interno della rassegna Arte della diversità - va in scena "Still Life", uno spettacolo di Ricci/Forte che vuole essere un manifesto contro l'omofobia. Un tema urgente, un linguaggio teatrale serrato e potente. Per dare un pugno nello stomaco, per farci riflettere, per smuovere le coscienze e fare passi - collettivi - verso un paese migliore. Utopia? Forse, ma provarci è un impegno civile.

Se non avete mai visto uno spettacolo di Ricci/Forte, e se avete lo stomaco resistente, non potete perdervi per niente al mondo “Still Life”, sabato sera, teatro comunale di Gries a Bolzano, ore 20.30. Un po’ perché sono uno dei più noti, importanti, influenti, creativi ensemble teatrali italiani, un po’ perché da ogni loro performance si esce come se ti avessero preso a pugni (in senso figurato naturalmente, e qui però la questione dello stomaco resistente). I loro sono lavori potenti, per forza visiva, contenuti e soluzioni sceniche. Questo Still Life è in più un lavoro fondamentale, perché vuole riflettere e far riflettere sulle storie di giovani adolescenti che si sono tolti la vita distrutti da attacchi omofobi di rara crudeltà. Storie della nostra cronaca quotidiana, che sono – appunto – pugni nello stomaco che hanno bisogno di altri pugni per uscire dal torpore, reagire, fare qualcosa. E questo è quel che fanno Ricci/Forte.
In una pausa romana, quasi sulla via di Bolzano, intercetto al telefono Stefano Ricci, con cui parlo dello spettacolo, dell’universo creativo della compagnia, di fughe di cervelli, di Italia allo sbando e di una Russia che mi sorprende…

Stefano, parto con una domanda secca. Perché dovremmo venire sabato sera a vedere Still Life?

Perché è una riflessione seria e sentita su quello che è uno dei problemi più grandi di questo paese: la paura del valore della differenza. E perché è una denuncia del silenzio che il governo dimostra nei confronti di quelle morti che sono il tema-spunto di questo lavoro, quelle morti dettate dal mobbing che i giovani adolescenti subiscono dai gruppi, dai branchi. Sono morti che raccontano proprio questa paura della differenza. Questo paese è ostinato e cocciuto, omologato e omologante. Il nostro dunque è il tentativo è di fare una riflessione seria, attraverso una conferenza – più che una performance – in cui si pongano le basi per un ragionamento sull’Italia che sta andando alla deriva dal punto di vista culturale, perché preferisce l’omologazione al valore individuale e personale di ogni cittadino.still life ricci/forte

Questa riflessione che portate avanti attraverso il linguaggio teatrale, che feedback ha avuto, oltre a quelli dei critici?

Al di là dei critici che lasciano il tempo che trovano, l’empatia e condivisione che avviene ogni volta che portiamo questo lavoro si percepisce nettamente, anche rispetto ad altri lavori dell’ensemble. Qui non ci sono filtri, barriere, non si racconta una storia qualunque, ma si parla di noi e il pubblico lo percepisce subito che è qualcosa che ha a che fare con tutti. E che per questo, non possiamo nasconderci, non possiamo limitarci a raccontare la storia del giovane adolescente con problemi identitari che fragile decide di porre fine alla propria esistenza. Qui si racconta di una responsabilità, che è di chiunque, anche nelle piccole azioni quotidiane, nel fare resistenza. Da questo punto di vista abbiamo avuto ottimi riscontri, il pubblico sente e partecipa emotivamente con coscienza a quello che è un tentativo di risveglio, di dire ad alta voce qualcosa che tutti quelli seduti in platea sentono di dover dire.still life ricci/forteIn questa sorta di conferenza, accusate il silenzio del sistema politico, dello stato che non riesce a fare qualcosa. In questo senso avete avuto reazioni? Il teatro riesce ad arrivare nei luoghi del potere?

Non so se il teatro riesca ad arrivare nei luoghi del potere, e non credo sia il nostro ruolo, nonostante qualcuno alla fine della performance ci abbia chiesto “perché non fondate un partito politico?”. In realtà, in noi c’è la volontà di risvegliare la coscienza individuale, perché è la collettività che fa un paese. È importante per noi riuscire a incrinare le certezze, a porre un dubbio salvifico rispetto alla povertà depauperante, all’assoluto silenzio di questo paese. Che non si riscontra solo con i morti e il silenzio del governo. Questo è il paese che ha limitato la storia dell’arte nelle scuole, il paese che – lo vediamo tutti i giorni – non ha più nulla da dire dal punto di vista culturale. E in questo silenzio, l’acquisizione del senso del presente di ognuno di noi, forse – ma magari è solo un’utopia – può dare un primo accenno di rinascita.

In un paese come quello che descrivete, allo sbando, si verifica un’inevitabile “fuga di cervelli”. Voi avete mai pensato, ora che siete ormai una delle realtà italiane più accreditate, anche all’estero, di andarvene?

Questo è un tasto dolente, visto che da cinque mesi non viviamo più in Italia ma a Parigi. E questo è uno dei motivi, non si tratta di esterofilia, ma in Francia e in Russia, paesi dove lavoriamo, ci sono più rispetto e considerazione, per chi fa questo mestiere. In Francia non veniamo considerati dei freaks, né enfant terrible – come ormai da anni ci chiamano – ma siamo considerati artisti seri che fanno riflessioni concrete sullo stato contemporaneo. C’è anche maggior rispetto dello stato per chi fa teatro e dunque anche una considerazione economica che ti permette di continuare a costruire e creare tasselli. Trasferirci, per noi, è stata scelta inevitabile.still life ricci/forteParlavi di Francia e di Russia. Onestamente, fatico a immaginare il vostro lavoro – così forte nella forma e nel contenuto – nella Russia che da qualche mese sta sulle prime pagine di tutti i giornali, e non certo per avanguardia, apertura mentale, libertà di espressione…

La prima volta che ci siamo andati, ci portavamo questo fardello d’immagini che ci arrivano dai media, rispetto alla mancanza di libertà. Avevo tantissimi dubbi su quello che avremmo o non avremmo potuto fare. Così ci siamo posti qualche problema all’inizio, per non bissare l’esperienza delle Pussy Riot e finire in Siberia. Semplicemente perché avevamo altri impegni a Parigi…
Dopo qualche settimana però ci siamo resi conto che non è nostro compito quello di frenarci e di filtrare, così abbiamo costruito lo spettacolo esattamente come avremmo fatto se fossimo stati nel più libertario dei paesi. Ne è nato un lavoro che non ha scosso dal punto di vista dei contenuti, ma su altri fronti, perché c’è una tradizione russa e moscovita che certe cose le trova sorprendenti. Non perché raccontano identità differenti, ma perché c’è una modalità teatrale diversa dalla nostra. Abbiamo avuto un enorme riscontro, soprattutto in termini di partecipazione emotiva e coinvolgimento dei performer. All’inizio del mese e mezzo di lavoro, i 16 performer avevano le normali diffidenze e ritrosie del caso, che poi si sono modificate in un’avventura umana di trasformazione, di senso civile e di dignità dell’attore russo. E questo è stato bellissimo. Infatti stiamo già programmando una nuova produzione russa, che faremo a dicembre di quest’anno.

still life ricci/forteDunque per ora la Siberia è scongiurata… 

Sì, la Siberia è per il momento lontana. Anche se siamo usciti come una bomba su tutti i Tg, dello spettacolo si è parlato molto. Ma sorprendentemente, non c’è stata verso di noi nessuna chiusura.

Un’ultima cosa. I vostri lavori usano un linguaggio teatrale forte, immagini potenti, da “pugni allo stomaco”. Rispetto a Still Life, a questo livello, cosa dobbiamo aspettarci?

Still Life è stato il primo esperimento senza nessun tipo di cortocircuito con il passato. Generalmente noi creiamo un ponte tra capolavori letterari più o meno noti e il presente. Stavolta invece avevamo l’urgenza di parlare di qualcosa che ci indignava. Quindi linguaggio e forma del linguaggio sono del tutto nuovi: rispetto a Imitation of death c’è un apparato testuale molto più sviluppato, ma siamo anche lontani dalla parola bulimica di Grimmless. Qui la parola è più sfrondata e diretta, una freccia che punta dritta al cuore. E le immagini che la sostengono diventano un bengala che dirompe e amplifica il suo senso. Il tutto diventa allora necessariamente qualcosa che deve colpire nel petto e nelle sinapsi dello spettatore. Questo è il tentativo che mettiamo in atto, speriamo che funzioni anche a Bolzano.

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