Berlinale Days #03

… in cui esco sempre di sala e ascolto il discorso politico più ispirato degli ultimi 30 anni: quello di Ken Loach, Orso d’Oro alla carriera.
Oggi è la giornata in cui mi sono persa i film in concorso perché dovevo andare a fare da cavia al Max-Planck-Institut, che pare interessato a capire come funziona il cervello dei traduttori. Per fortuna recupero domani Boyhood di Richard Linklater che si preannuncia molto interessante (e ve ne parlerò).
Riesco ad arrivare al pelo alla proiezione delle 14, Il sud è niente, di Fabio Mollo, che abbandono dopo una ventina di minuti perché mi sembra inguardabile. E lo so che pecco di snobismo, ma il fatto è che quando hai un’abbuffata di film che ti aspettano, non c’è tempo per vedere qualcosa che non riesce a prenderti. Qui mancano i dialoghi, tutto è “non detto”, e va bene che è questo che si vuole dire, ma non si può continuare a “non-dirlo” o a renderlo pesante nel poco detto. Che ne è della regola aurea “Show – don’t tell?”. È come con i libri: tempo addietro non ne abbandonavo mai uno, a costo di annoiarmi per 400 pagine. Ora non più. Per cui, chiedendo venia a Fabio Mollo e a tutti coloro che al film hanno lavorato, mi defilo.
Il secondo film che abbandono è Unfriend, un film del filippino Joselito Altarejos, la storia di una delusione d’amore poco più che adolescenziale, amori e incontri gay in una Manila particolarmente occidentalizzata, con un protagonista al confine tra mondo virtuale e mondo reale, una traccia di storia che però, anche questa, non riesce a trattenermi.
E il terzo e ultimo film che lascio poco dopo l’inizio è Raumfahrer, del tedesco Georg Nonnenmacher, che narra in buona sostanza il trasferimento di un detenuto da una prigione a un’altra. Ora, che i silenzi lunghi, eterni, possano simboleggiare la solitudine lo abbiamo capito tutti. Ma ci vorrebbe anche una storia da raccontare, e la solitudine potrebbe essere raccontata in maniera più efficace. Insomma, anche in questo caso poco coinvolgente (benché naturalmente tragico e totalmente condivisibile nel bisogno di narrazione).
In questa moria di film, brilla l’Orso d’Oro alla carriera per Ken Loach, che in una bellissima conferenza stampa ci fa un po’ una lezione di storia e politica. “Le mie storie” racconta Loach “partono da una persona ma finiscono per far luce su una situazione sociale, perché è nella società che viviamo”. E allora, con queste sue sceneggiature che “respirano man mano che prendono forma, si allargano e si restringono”, è riuscito a cambiare le cose? “Non con i film che programmaticamente trattavano grandi tematiche, ma piuttosto con quelli da cui ci aspettavamo di meno, tipo Cathy Come Home, che contribuì a cambiare le leggi inglesi per l’ospitalità dei senzatetto alla fine degli anni Sessanta”.
E poi parla di crisi, Ken Loach, e dice che se la crisi era già terribile trent’anni fa, con 2,5 milioni di inglesi senza lavoro, a distanza di trent’anni è peggiorata a un punto tale che oramai in Gran Bretagna si fanno contratti a “zero ore”, dove il datore di lavoro ti assume senza garantirti lavoro né stipendio, ma tu non puoi lavorare per nessun altro. A che punto siamo arrivati, si chiede? Cosa ci siamo abbassati ad accettare? La gente non può più sopportare la pressione dell’austerity che peggiora enormemente le condizioni di vita. E la perdita del lavoro – come avvenne trent’anni fa, quando furono soprattutto gli uomini a subire le conseguenze della crisi – causa una mancanza di rispetto e di identità, un senso di alienazione e disaffezione che ha oramai contagiato le generazioni e ha raggiunto tutto il paese. Di questo ha parlato tante e tante volte Ken Loach.
“La gente adesso è arrabbiata,” continua Ken Loach “ma di una rabbia che non sa indirizzare, i sindacati sono più deboli e chi sarà a raccogliere la sfida enorme di riorganizzare la sinistra? Abbiamo oramai accettato un grado di sfruttamento ben peggiore di quello di trent’anni fa”.
“La soluzione è in un’Europa che impedisca che alcuni paesi tipo la Grecia si ritrovino a dover privatizzare tutti i loro servizi o persino a vendere la propria terra. L’Unione europea dovrebbe impedirlo, dovrebbe esserci uguaglianza tra i paesi. I popoli non dovrebbero essere costretti a migrare per trovare lavoro, perché è così, con l’insoddisfazione, che si seminano i germi del razzismo. Ed è quello che vuole il neoliberismo, mentre l’Unione europea dovrebbe essere basata sulla cooperazione”.
Il cinema sarà sostituito dai nuovi media? “Il cinema?” conclude Loach. “È come il teatro. Lo amiamo troppo perché finisca”. E amiamo anche chi, come lui, fa un cinema di contenuti. Un film di Ken Loach io non l’ho mai disertato