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February 13, 2014

Siamo tutti un po’ NIP
(Not Important Person)?

Anna Quinz
Secondo appuntamento per gli "Altri Percorsi" del Teatro Stabile di Bolzano. si continua con NIP_not important person. Macelleria Ettore ci mette di fronte alla realtà dell'essere "normali", in una riflessione serrata dal ritmo frenetico sulle idiosincrasie della "gente": il nostro vicino di casa, mio cugino, il fruttivendolo e via dicendo...

Il NIP è le persona qualunque, con una vita qualunque. Sono la gente che incontriamo per strada, in metropolitana, quelli che si fanno i filmati e poi li caricano su youtube, quelli che fanno zapping, pagano il mutuo, giocano al Superenalotto, guardano Sanremo, MTV e il Grande Fratello”.
Comincia così la mia chiacchierata con Carmen Giordano, fondatrice, regista e drammaturga della compagnia teatrale trentina Macelleria Ettore, che porterà a Bolzano (nella rassegna Altri Percorsi dello Stabile) il 15 febbraio proprio lo spettacolo “NIP_Not Important Person”. [Spettacolo peraltro vincitore del Premio nuova_scena.tn promosso dal CSC – Centro Servizi Culturali S. Chiara di Trento e dal Teatro Stabile di Bolzano che l’ha premiato per l’originalità della messa in scena, la qualità e l’efficacia della drammaturgia e dell’interpretazione.]
Io che faccio zapping e guardo Sanremo, mi sono ovviamente subito sentita in causa: “ognuno di noi ha suo lato NIP – mi spiega Carmen – in particolare i NIP sono l’opposto dei VIP, con uno spiccato desiderio di diventarlo. Sono quelli che guardano la tv e che vorrebbero esserne i protagonisti”.
Portare nel luogo teatrale le idiosincrasie del mondo moderno, nella sua normalità e banalità. Questo fa NIP. E di questo ci parla Carmen, tra una prova e l’altra, mentre da un lato è dentro al mondo dei NIP e dall’altro lavora alla messinscena del classico dei classici teatrali, Amleto.

Carmen, partiamo dalle “cose facili”: dalla messinscena, la forma teatrale. Come è stata costruita? Cosa vedremo sul palco?

Lo spettacolo è costruito con voci off e un montaggio sincopato dal punto di vista dell’audio e dei movimenti attori. C’è un lavoro trasposizione scenica, naturalmente, i tre tra attori sono delle specie di manichini e loro movimenti amplificano l’effetto che vogliamo ottenere. C’è anche un lavoro con telecamera dal vivo e videoproiezioni. Quel che portiamo in scena è un bombardamento di situazioni seriali, non c’è una storia ma un susseguirsi di avvenimenti e immagini in cui vediamo agire i NIP e in cui sentiamo cosa dicono. Questo con un ritmo sempre più veloce e dilagante. L’intento è mostrare la realtà così com’è. Perché che ci piaccia o no ci appartiene, altrimenti per esempio non guarderemmo la tv.

L’universo NIP è immenso. Come avete costruito e selezionato le situazioni, quanto avete lavorato per arrivare a una scelta finale e in che modo?

Questo è un progetto che ha richiesto un lungo tempo di lavorazione e di ricerca. È durata quasi due anni. Abbiamo raccolto molto materiale, ci siamo mangiati tanti filmati e programmi tv, e poi abbiamo scritto i testi, io e Marco, che oltre ad avere una laurea in filosofia fa il tassista a Roma e quindi di NIP ne incontra parecchi. I frammenti presentati sono nel “qui e ora”, come se entrassi in un bar e assistessi a una situazione che si sta svolgendo. Il tutto montato a una velocità sostenuta.

Cosa deve aspettarsi lo spettatore e cosa voi vi aspettate da lui?

Lo spettatore è come se guardasse se stesso a velocità raddoppiata. È uno spettacolo molto ironico, ma alla fine è come ridere in modo agghiacciante di sé. Ognuno di noi, ci si può drammaticamente ritrovare.  C’è un’apparente distanza iniziale, che diventa pian piano vicinanza, e questo è straniante. La riflessione maggiore, rispetto a questo modo di essere, lo deve fare lo spettatore in autonomia. Noi lo mettiamo davanti a una vagonata d’immagini, lui poi raccoglie i pezzi, torna a casa e ci fa una riflessione sopra.

Le reazioni viste fin’ora?

C’è gente che se ne va prima della fine dello spettacolo perché non vuole vedere questa realtà a teatro. Io, Carmen, se accendo la tv e guardo l’Isola dei Famosi, non ce la posso fare, lo trovo umiliante. Eppure conosco persone che la guardano e non penso che siano cattive. Quella roba lì a teatro è abbastanza sconvolgente. Molti spettatori sono rimasti sconvolti dal linguaggio volgare che usiamo, dalle parolacce. Io a questi rispondo che nella vita di tutti giorni questo accade. Come se ci fosse un posto per ogni cosa: in televisione va bene, a teatro no. Io però a teatro volevo metterci proprio questo, e vedere che cosa succedeva.

Dunque il vostro obiettivo è quello di criticare il NIP, cercando di stimolare il pubblico a una reazione di avversione e rifiuto verso questo suo modo di essere?

No. Non c’è giudizio. Non è uno spettacolo con intento moraleggiante. Non stiamo lì a dire questi sono superficiali, senza cultura… Non è vero, ce n’è per chiunque. vengono affrontati temi come la famiglia, il ruolo della madre, l’ipocrisia, gli amanti degli animali domestici, i vegetariani. Appunto, ce n’è per chiunque.

Dunque siamo tutti un po’ NIP…

Purtroppo sì. Anche se noi qui andiamo verso l’esasperazione. Né io né te faremmo a gara di sputi, ci riprenderemmo, per caricare poi il video su youtube. Queste cose ci allontanano, ci fanno dire “non sono io”. Ma ci sono tante cose in mezzo che riguardano tutti e che sono messe nel calderone. E questo ti fa pensare “aspetta un attimo, io nella mia vita ne sono esente?”.

Dici che non c’è giudizio nello spettacolo, ma dalle tue parole una forte critica verso i NIP io la percepisco…

Può sembrare una contraddizione in termini… Non c’è giudizio nel senso che all’interno dello spettacolo non c’è un momento in cui diciamo al pubblico: i NIP stanno sbagliando, sono cattivi, non capiscono niente della vita. Noi portiamo questi personaggi sul palco per 51 minuti, così come sono. Se ci piacciono o meno, se li riconosciamo come reali o se ci riconosciamo in loro, questo sta agli spettatori. Il senso dell’operazione non è di condanna, non c’è morale dichiarata. Non vogliamo puntare il dito contro, noi esponiamo del materiale e un’umanità variegata, che ci riguarda. Poi ognuno tragga le sue conclusioni.

Nella rassegna Altri Percorsi, sono due su quattro gli spettacoli che parlano di “normalità”: il vostro e “Be Normal” di Teatro Sotterraneo. Il teatro per molti è ancora il luogo della fascinazione, dei mondi altri, delle storie fuori da sé. Perché secondo te soprattutto il teatro più giovane sente invece la necessità di portare sulla scena il banale quotidiano, non come punto di partenza di una storia singola, ma proprio come assunto assoluto, “la gente” come categoria generale?

Credo sia una necessità legata alla realtà. Io credo nel potere evocativo del teatro e nella fascinazione, e anche noi lo “pratichiamo”. Però nel nostro caso NIP è stata una deriva che abbiamo voluto prendere. Abbiamo voluto creare un osservatorio sulla realtà, ovviamente utilizzando un linguaggio e un codice particolare. La gente – quella comune, quella che legge i giornali gratis sulla metro, che non comprerà mai un libro, e che a teatro non ci va – esiste e dobbiamo prenderne atto. Il teatro è uno strumento d’indagine della realtà molto forte e potente, soprattutto oggi. La difficoltà sta nel trovare un linguaggio teatrale che possa anche parlare d’altro e in un modo altro. Non mi stupisce che i giovani come noi sentano a un certo punto del loro percorso di portare in scena questa massa di gente, perché Amleto ci parla ancora oggi, ma non possiamo fingere che non esistano i NIP. Siamo circondati, e ne facciamo parte anche noi, che lo si voglia o meno. 

 

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