People + Views > Portraits

December 18, 2013

People I Know. Alessandro Zagato: “studio le forme organizzative per sconfiggere povertà ed emarginazione”

Anna Quinz

Alessandro Zagato, classe ’79, è nato a Bolzano, ma ormai da anni è “cittadino del mondo”. Laureato a Bologna in Scienze dell’Educazione, ha vissuto – per proseguire gli studi, tra master e dottorati – a Berlino, Lisbona e in Irlanda. Il tutto “mttendo il naso” anche in contesti culturali, come ad esempio il teatro. Da febbraio 2013 vive a Puebla, in Messico dove lavora a due progetti di ricerca: uno legato all’Università, uno indipendente con il gruppo di ricerca in arte e politica (GIAP) che lui stesso ha fondato con la storica dell’arte cilena – e sua partner nella vita – Natalia Arcos. Ormai da anni dunque l’occupazione principale di Alessandro è la ricerca. “Quel che mi interessa sono le problematiche sociali legate alla povertà e all’emarginazione – racconta – ma soprattutto le forme di organizzazione con cui la gente comune tenta di risolvere questi problemi”. Una vita in viaggio (fisico e mentale), quella di Alessandro, in contesti anche pericolosi e difficili, dove serve non solo un computer per le proprie ricerche, ma anche tanto coraggio e desiderio di conoscenza. Per rendere il mondo un po’ più piccolo, e se stessi un po’ più grandi.

Alessandro, di cosa ti stai occupando al momento?
Il mio attuale progetto accademico si svolge in una zona rurale particolarmente isolata delle montagne dello stato di Guerrero (Messico) dove la popolazione a maggioranza indigena, dopo essere stata per anni terrorizzata e mantenuta in uno stato di estrema povertà da bande di narcotrafficanti colluse con poteri economici, politici e forze di polizia locali ha deciso di ribellarsi e difendere il proprio territorio organizzandosi in gruppi armati di autodifesa. Questo mi ha portato a visitare luoghi poco accessibili (spesso il cellulare non prende e internet non é disponibile) in cui le popolazioni vivono secondo culture e tradizioni antichissime, che tentano di salvaguardarle dalla distruzione totale. Evidentemente il livello di conflitto è molto alto e questo a volte espone il ricercatore ad alcuni rischi, ma l’esperienza mi ha insegnato ad interpretare le situazioni e capire quali sono i limiti oltre i quali è meglio non spingersi. D’altra parte ho avuto modo di conoscere persone e storie di vita che mi ispirano e mi stimolano a migliorarmi costantemente. Il secondo progetto a cui lavoro riguarda estetica e politica nel contesto del movimento Zapatista del Chiapas. Anche in questo caso il lavoro di ricerca, che svolgo insieme a Natalia, mi ha portato a passare parecchio tempo in comunità indigene che hanno deciso di autogovernarsi e che lottano costantemente per una società più umana e più giusta. In ottobre abbiamo presentato il nostro progetto alla biennale di arte a Santiago in Cile. Su queste esperienze ho pubblicato saggi in varie lingue tra cui l’inglese, l’italiano e lo spagnolo.

Com’è vivere in Messico?
Il Messico è un paese culturalmente ricchissimo e con un incredibile varietà di contesti e forme di vita. Si passa dal cosmopolitismo di Città del Messico, una metropoli internazionale e all’avanguardia, a contesti culturali isolati dove il peso di tradizioni preispaniche è ancora fortissimo. Nel paese oltre allo spagnolo si parlano più di 60 lingue amerinde. A livello di paesaggi naturali si passa dalle zone semi desertiche del nord, alle selve tropicali del sud. Il clima è mite e non mancano spiagge favolose in cui rilassarsi. I messicani in generale sono molto cordiali e amichevoli, amano divertirsi e prendono la vita (compreso il lavoro) con una calma sorprendente: ovviamente la puntualità non è il loro forte e la burocrazia tende ad essere lentissima, al limite della disperazione.

Quale il luogo in cui sei stato che più ti ha colpito e perché?
Pueblo America, una piccola comunità indigena immersa nella Selva Tzeltal a sud del Chiapas, che non appare nemmeno su google maps. Ci sono arrivato a bordo di un fuoristrada scassato dopo 8 ore di strade sterrate in piena foresta. Per la prima volta nella mia vita ho provato una sensazione di separazione totale dalla “civiltà occidentale” e ho vissuto esperienze indimenticabili con le persone che mi hanno ospitato a casa loro per una settimana. Non vedo l’ora di ritornarci.

Da tempo lontano dall’Alto Adige. La tua terra vista da laggiù?
Da quasi 15 anni torno a Bolzano una volta all’anno, normalmente a Natale e questo mi dà una visione parziale, forse un po’ romantica, della mia terra. Dal punto di vista culturale la città di Bolzano è cambiata moltissimo, soprattutto da quando è stata creata l’università. Certo, il processo di “sprovincializzazione” non si é ancora concluso, ma l’arrivo di molti studenti e lavoratori stranieri è stato di grande auto in questo senso. Essendo una terra di confine, l’Alto Adige ha moltissime potenzialità a livello economico e sociale. É una zona di passaggio, un luogo dove le identità faticano ad autodefinirsi e a cristallizzarsi, nonostante gli sforzi. Con un amico bolzanino, scherziamo spesso sul fatto che qui in realtà nessuno si sente veramente a casa propria. Gli spazi fisici e culturali sono oggetto di continue negoziazioni.

Cosa significa “viaggio” per te?
A parte rare eccezioni, non mi piace fare il turista: è un modo di viaggiare fine a sé stesso che dà la sensazione illusoria di staccare con la routine – alla quale poi si ritorna inesorabilmente in un tempo relativamente breve. Preferisco spostarmi seguendo degli obbiettivi specifici, come lo sviluppo di un progetto per esempio. E mi piace rimanere in un posto il tempo sufficiente per conoscerlo in profondità.

Per chi è spesso in giro per il mondo, il mondo sempre più piccolo e il concetto di “casa” cambia dimensione. Per te cos’è “mondo” e cosa è “casa”?
Penso che oggi, grazie alle nuove tecnologie sia possibile costruirsi un’idea ristretta di mondo senza dover per forza viaggiare troppo. Il concetto di casa è più complesso, soprattutto per chi viaggia e non lo fa da turista. Dopo esserti fermato uno o due anni in un luogo, decidere di andartene è sempre un sacrificio perché implica tagliare le radici che ti sei costruito nel tempo (a livello di vita sociale, amici, lavoro ecc.). Ricostruirle altrove è sempre una sfida. Personalmente ci sono degli oggetti che metto sempre in valigia e ovunque vada mi trasmettono un senso basico di “casa”, alcune fotografie e una caffettiera che mia nonna mi regalò alcuni anni fa, prima di morire.

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.