Music

December 18, 2013

I paesaggi al neon dei Green Like July colorano lo Smart di Rovereto

Marco Bassetti
In vista del concerto di venerdì 20 dicembre allo Smart di Rovereto, abbiamo intervistato Andrea Poggio, cantautore dietro al progetto Green Like July. “Dove tira il vento? Chiedilo a Tom Waits”.

Nel corso degli anni, i Green Like July hanno assunto varie forme e colori. E “Build a Fire, ultimo lavoro del quintetto oggi di casa a Milano, registrato negli ARC Studios di Omaha nel Nebraska da A.J. Mogis (deus ex machina di molti dischi firmati Saddle Creek Records) ed edito da La Tempesta, stupisce proprio per la variazione di forme e colori. Il punto di partenza rimane la grande tradizione del folk americano, ma questa diventa matrice di traiettorie creative originali e spesso spiazzanti. La sensazione complessiva? Un morbido viaggio tra le mille pieghe del pop autoriale, nella ferma consapevolezza – come ci ricorda Andrea Poggio – del forte legame tra folk e popular music. Ne abbiamo parlato con lui.Andrea Poggio

“Build a Fire” viene presentato come “un paesaggio al neon che fa da sfondo ad una colazione tra Lucio Fontana, un gatto e Polifemo”. Bello sarebbe sapere di cosa si è discusso nel corso di quella colazione, puoi svelarci qualcosa?

Si è parlato di “Lucetta fra le stelle” di Ivan Graziani, del Caffè al Bicerin di Torino e delle meravigliose illustrazioni di Jon Han.

Il disco è stato registrato negli Arc Studios di Omaha, nel Nebraska. Una scelta ben precisa, come è maturata?

La scelta è stata essenzialmente guidata dalla volontà di lavorare con A.J. Mogis, che ha registrato e missato “Build a Fire”. Per un mese intero, ininterrottamente, abbiamo registrato ed accumulato un numero considerevole di tracce. Ad A.J. è spettato l’arduo compito di dipanarsi tra il registrato e di dargli una forma. “Build a Fire” non suonerebbe come suona oggi senza il lavoro di A.J.

Nonostante questa scelta e la permanenza nel solco della tradizione folk, nel disco si sentono diversi sapori e una voglia di sperimentare nuovi territori. È così?

“Build a Fire” nasce dal folk, soprattutto per quanto riguarda la forma canzone. Ti potrei anche dire che molte delle cose che si ascoltano oggi affondano le radici nella tradizione folk… ma non siamo certo qui a disquisire della relazione tra la musica folk e la popular music. Credo che “Build a Fire” spazi in diversi territori musicali, tanto che quasi trovo limitante e fuorviante parlare di folk per descrivere il suono ed i colori del disco. Spesso si respira, come ad esempio in “Moving To The City”, un’atmosfera anni Ottanta… The Cure, The Smiths, Orange Juice. Sono ascolti che fanno parte della vostra storia?

I gruppi che citi hanno certamente influenzato il mio songwriting. Perché esiste davvero qualcuno a cui non piacciono gli Smiths?

In “Good Luck Bridge” invece emerge in maniera chiara l’ascendenza beatlesiana. Concordi?

Sì concordo. In particolare, abbiamo registrato il piano di “Good Luck Brige” avendo in mente “Mother” di John Lennon.

I 9 pezzi di “Build a Fire” hanno come filo conduttore il cambiamento. Un tema, quello del cambiamento, difficile da declinare in questi tempi piuttosto stagnanti. Senti nell’aria lo spirito di un cambiamento possibile?

Non credo che i nostri siano tempi “stagnanti”. Credo al contrario che siano tempi di grandi cambiamenti, alcuni negativi, altri positivi. Dove tira il vento? Trovi la risposta nel testo di “Union Square” di Tom Waits.

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