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November 28, 2013

Plessi & I.
Una giornata veneziana nello studio dell’artista

Anna Quinz
Una gita veneziana non per calli e palazzi storici, ma per visitare lo studio di un grande artista, Fabrizio Plessi. Conoscere il suo mondo e il suo pensiero, guardandolo dall'interno, per capire il suo progetto museale a Brennero: il Plessi Museum, che inaugura il 29 novembre.


Una di quelle giornate estive che a pensarci ora, in pieno autunno, già ci si scalda un po’. Una macchina di servizio di A22, io vestita di bianco (chissà perché ricordo questo dettaglio) al posto del navigatore e Alessandro, ingegnere e giornalista, alla guida. La nostra destinazione: Venezia. O meglio: Venezia, Isola della Giudecca. Ancora meglio: Venezia, Isola della Giudecca, studio dell’artista Fabrizio Plessi.

fabrizio plessi[Visitare uno studio d’artista per me è sempre stato un privilegio. È un luogo prezioso, uno spazio che si apre su una vita tanto privata quanto pubblica, che ci lascia “spiare” l’essere e il fare di una persona, nell’angolo più remoto e intimo della sua personalità. Ecco perché sono sempre un po’ emozionata e molto grata, quando un artista mi invita a entrare nel suo atelier e mi apre per un momento le porte della sua vita.]

fabrizio plessilo studio di Plessi è uno spazio grande, arioso e luminoso, ricavato all’interno di una ex birreria. Arredo scarno e minimale, una decisa sovrabbondanza di bianco e una mancanza di colore che salta all’occhio, perché si pensa sempre che lo studio di un artista debba essere caotico, confuso, creativo, pieno di colore e colori ovunque. Qui non è così. Non posso dire freddo, perché non lo è affatto, ma questo spazio è diverso da come te lo aspetti, semplicemente. Non ci sono opere dell’artista (anche perché la maggior parte sono enormi e monumentali, difficili da contenere) ma ci sono tutti i libri a lui dedicati. C’è un computer e grandi finestre. E soprattutto, nel centro a dominare lo spazio circostante – nonostante la piccola statura – c’è Maurizio Plessi.

fabrizio plessi[La prima volta che sono venuta a contatto con l’opera di Plessi, ero all’università. Andava in scena un “Sogno di una notte di mezza estate” riletto in danza da Mauro Bigonzetti di Aterballetto. Bologna quell’anno era Capitale della Cultura. Le musiche originali dello spettacolo erano di Elvis Costello, le scene di Plessi. Una magnificenza quasi epica. Uno spazio scenico immaginifico e grandioso. Qualcosa che – io – nella danza non avevo mai visto prima. Uno spettacolo che – nonostante il tempo passato e i gusti personali cambiati – resta nella memoria come indimenticabile.]

fabrizio plessiMaurizio Plessi è gentile e accogliente. Parla con piacere e si racconta con disponibilità. Sa di aver fatto cose grandi e di aver segnato qualche punto fermo nell’arte italiana e senza falsa modestia racconta la sua vita, il suo lavoro, i suoi viaggi. Si apre generosamente alle nostre curiosità, senza tralasciare aneddoti e dettagli, pensieri profondi e piccole cose quotidiane.
più di tutto, Plessi, parla della natura. Perché è da lì che tutto inizia. Perché è lei la fonte inesauribile di ispirazione del suo lavoro e alla quale nel tempo ha affiancato la tecnologia, in operazioni barocche e grandiose, che invadono con rispetto, cura e attenzione, i suoi elementi.

fabrizio plessi[Chi non conosce o non ha mai visto, per esempio i grandi tronchi di Plessi, dentro cui – grazie a proiezioni – scorre acqua di fonte o brucia un fuoco vivace? Quando iniziò anni fa a lavorare così, mettendo insieme natura e tecnologia, Plessi divenne una star. E continua ad esserlo, fedele al suo credo e alla sua cifra stilistica, al suo linguaggio personale e troppo spesso, ormai, imitato in ogni dove.]

Ci parla del “suo” museo. Siamo lì per questo. Ci parla di come il progetto sia stato un casuale e felice susseguirsi di stratificazioni. Da un’opera che c’era a un museo che non c’era ma che ora c’è. Di pezzi che si sono incastrati uno sull’altro e uno nell’altro, dando vita a una sorta di “Gesamtkunstwerk” dove ogni dettaglio è passato per i suoi occhi e la sua testa. Dagli arredi alla struttura esterna, imponente, grandiosa, forte e decisa come volesse dialogare da pari grado con l’imponente, grandiosa, forte e decisa natura nella quale è immersa. Ci parla di simboli che si innestano in altri simboli, in un luogo già denso che per lui – o grazie a lui – ora diventa ancora più denso, rivestito di quell’abito che solo l’arte e la sua espressione possono dare. Ci parla della tecnologia – complessa – che si relaziona con il disegno – semplice, manuale, arcaico – e con gli elementi naturali (come i tronchi) che fanno da sostegno, fisico e simbolico al tutto. Ci parla, insomma, della sua visione dell’arte, della forma, dell’estetica, della tecnica e più in generale, della vita. Perché ognuna di queste cose, è chiaro in ogni sua parola, è parte di un tutto, che è Fabrizio Plessi.

fabrizio plessi[Che un artista sia parte del tutto che è la sua opera, e che l’opera sia parte del tutto che è l’artista, è cosa comune a tanti. Ma in Plessi questo scambio e questo incontro tra essere e fare è talmente evidente, talmente dirompente che non può non essere colto con chiarezza. Infatti, quando parla di sé parla di una sua opera, e quando parla di una sua opera parla di sé. Tutto si confonde, tutto si mescola in un unicum che è arte e personalità.]

fabrizio plessiE così, se anche prima della visita al suo studio avevo già incontrato Plessi, avevo già conosciuto il suo lavoro e avevo già visto il Museo, lì, in quello spazio (bianco) e in quel tempo (caldo e afoso come solo a Venezia può essere), ho come avuto la sensazione di capire tutto un po’ meglio. Capire perché l’acqua scorre ed ha la stessa forma e lo stesso colore e lo stesso suono anche se a scorrere è l’immagine su un video; perché un albero può parlare se lo osservi da vicino; perché un muro non è un semplice muro se serve a sostenere e portare dentro di sé come in un grembo materno un’opera d’arte che si svela allo spettatore; perché un artista come Plessi è uno “strano e atipico alchimista che cerca di far convivere, come vasi comunicanti, gli elementi opachi e poveri del “naturale” con quelli cangianti e accesi dell’“artificiale” (parole sue).

fabrizio plessi[E così, una giornata veneziana calda si chiude, con me e Alessandro che torniamo a casa con qualcosa di più nella nostra borsa (e nelle nostre teste). Con uno sguardo ben oltre lo spioncino dello studio d’artista, con la comprensione di un museo che non sta li per caso, con un incontro che non scorderemo e che ci ha aperto qualche piccolo spiraglio in una Venezia nascosta e in una vita nell’arte che si è svelata solo per noi e per quel momento, per quel giorno d’estate bianco come il mio vestito.]

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