Music

November 14, 2013

Kill Your Boyfriend! Black shoegaze @ Bar Al Porteghet di Trento

Marco Bassetti
Riparte da Trento il tour dei Kill Your Boyfriend, band nata all’inizio del 2011 come side-project di elementi dei Wora Wora Washington, Transisters e Kitsune. L’intervista a Marco Fontolan, chitarrista della band trevigiana. Il nostro sound? "Mozart filtrato dal rumore bianco".

In principio furono i Velvet Underground. Con quell’inaudito mix di rock decadente, minimalismo e rumore bianco, fecero scuola, generando seguaci in grande abbondanza. È classica la citazione di Brian Eno, secondo la quale “Il primo album dei Velvet Underground vendette soltanto diecimila copie, ma tutti quelli che lo comprarono formarono una band”. Tra queste possiamo annoverare oggi – a quasi cinquant’anni dall’uscita di quel folgorante debutto “The Velvet Underground & Nico” (1967) – i Kill Your Boyfriend, “black shoegazer” emersi qualche anno fa dal ricco fermento underground veneto: un terzetto capace di maneggiare con stile personale uno spettro sonoro molto ampio, tra psichedelia, wave oscura, noise e sperimentazione elettronica. Dalla recente collaborazione in studio con Nicola Manzan (Bologna Violenta) e Shyrec Records, nasce l’omonimo album d’esordio, uscito nella primavera del 2013. Domani sera, venerdì 15 novembre, avremo l’occasione di testare la potenza della band dal vivo: appuntamento al Bar Al Porteghet di Trento alle 21. Ne abbiamo parlato con Marco Fontolan, co-fondatore del progetto insieme a Matteo Scarpa.

“I Kill Your Boyfriend nascono all’inizio del 2011 come side-project…”, sul finire del 2013 cosa sono diventati?

Fondamentalmente i KYB non sono mai stati concepiti come side-project, quanto meno da noi. Sì, gli impegni che avevamo con le nostre rispettive band (Wora Wora Washington, Kitsune) ci impedivano di dedicarci completamente ai KYB, ma fin da subito abbiamo provato e lavorato ai brani con totale impegno e costanza. Nel 2013, con l’uscita del nostro album, si è aggiunto Antonio Angeli alla batteria: lui suona anche nei Mary Goes To Vietnam, ma sembra riuscire a trovare il modo di esserci a tutti i concerti, le prove e i vari impegni che abbiamo!

Perché “Kill Your Boyfriend”, cosa ha fatto di male?

Stavamo cercando un nome per la band, ci stavamo scherzando sopra e sparando nomi improponibili, finché a me è tornato in mente il titolo di quel fumetto della Vertigo/DC Comics che avevo letto tantissimi anni fa. Suonava molto bene e l’abbiamo scelto. Il nome sembra attirare molta attenzione e curiosità e questo un po’ ci stupisce. Sembra che tutti lo prendano incredibilmente sul serio, specie qui in Italia. Noi siamo molto seri e anche la nostra musica lo è, ma questo non vuol dire che non abbiamo senso dell’umorismo!

“Black shoegaze” mi sembra una formula calzante per inquadrare il vostro sound… ma per chi non è pratico di generi ed etichette, come raccontereste la vostra musica?

Mozart filtrato dal rumore bianco.

Oltre ai riferimenti più immediati (My Bloody Valentine, The Jesus and Mary Chain, Spacemen 3…), scavando in profondità, è possibile scorgere un legame – anche estetico – con i Velvet Undreground… è così?

Sì, è assolutamente così. I Velvet Underground sono una delle mie band preferite in assoluto, erano sempre vestiti di nero con gli occhiali da sole. Anche i J&MC si sono ispirati a quel look. Noi abbiamo semplicemente voluto continuare quella tradizione. È anche uno dei look più cool che esistano e non passa mai di moda, anche questo non guasta.

Dovendo scegliere un brano dal repertorio di Lou Reed per farne una cover e celebrarne la recente dipartita, quale scegliereste?

Ne abbiamo discusso un po’ e non siamo arrivati a una decisione unanime. Il che è anche un po’ il motivo per cui non facciamo mai cover e per cui non ne abbiamo mai fatta una dei Velvet o di Lou Reed. A me sarebbe piaciuto e ci ho pensato molto. Peccato, sarebbe stato bello omaggiarlo quando era ancora in vita e non ora che lo faranno tutti e sarà quasi banale coverizzarlo.  Personalmente penso che “Venus In Furs” sia forse la migliore canzone che esista (non la mia preferita ma la migliore), ma l’hanno reinterpretata già in tanti.

Per l’album d’esordio, collaborazione in studio con Nicola Manzan. Come è nata questa collaborazione e che risultati ha portato in termini di suono?

L’idea è venuta da una recensione che suggeriva la collaborazione. Abbiamo pensato che fosse un’ottima idea e lo abbiamo contattato. Anche lui è di Treviso e questo ha facilitato la collaborazione. Siamo molto felici dei suoi mix, ha capito subito cosa volevamo ottenere. Noi quando registriamo abbiamo un’idea molto chiara di come vogliamo che suonino le canzoni, lui ci ha aiutati a ottenere il suono che volevamo. Non ha nessuna paura di sperimentare e osare, anzi, ed è attentissimo ad ascoltare le nostre richieste. Non capita spesso di lavorare con persone che hanno sia talento che tecnica che immaginazione. E anche per questo torneremo molto presto a lavorare con lui. E poi è simpaticissimo!

Parlami di “Chester”, il primo singolo estratto dall’album, e del video prodotto in tre differenti versioni (green, blue, white version): tre montaggi differenti e, nascosto tra i fotogrammi, un rebus da decodificare… Qualche suggerimento?

“Chester” parla di un nostro vecchio amico e delle sue “passioni”… Il testo dice “green blue white choose what you like” e questo ci ha dato l’idea per i tre montaggi (blue, verde e bianco) del video. La stessa frase della canzone sta anche dietro all’idea di ciascun video. Questa è la chiave di lettura. Non è difficile dai…

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