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September 11, 2013

Design o disastro?

Anna Quinz
"By design or by disaster" è un progetto della Facoltà di Design della Lub che attraverso due workshop e una serie di conferenze, il 27 e 28 settembre, proporrà una riflessione attiva su alcuni "temi caldi" e su "concetti e parole chiave" del nostro tempo, che troppo spesso perdono, nella pratica, il loro significato più vero.

In una chiacchierata con Alvise Mattozzi, uno degli organizzatori del progetto abbiamo discusso di queste parole chiave, con le quali – ammetto candidamente – ho dei problemi personali. Quante volte, di questi tempi sentiamo parlare di ”sostenibilità, design, disastro, partecipazione”? Ma quante volte chi pronuncia una di queste parole sa davvero di cosa sta parlando e parla esattamente di una cosa che ha un vero e profondo significato? Ormai “sostenibilità” è un timbro che si attacca addosso chi vuole fare un progetto accondiscendente. Qualunque negozio che vende sedie anche di media bassa qualità si definisce “di design”. 

Parola chiave I: sostenibilità

Sostenibilità è un termine nato a metà degli anni ‘80 in una commissione ONU ed è un termine ufficiale delle commissioni internazionali, nel tempo ha avuto successo ma questo portato anche alla sua perdita di significato. È problema che ci siamo posti anche noi, ma alla fin fine è ciò a cui miriamo: il concetto originario di sostenibilità è che la produzione e il consumo devono tenere conto delle generazioni future e questo ci sembrava importante. Il convegno da un lato cerca di riflettere sul concetto di sostenibilità e questa sarà una delle domande: che significato dare – di nuovo – a questa parola? È ancora una key word valida?
Da un lato il convegno, con interventi a coppie, cerca di mettere in discussione il concetto di sostenibilità, ponendo domande più che cercando di dare risposte, attraverso prospettive diverse. Dall’altro lato, chi propone i workshop ha sua idea specifica di sostenibilità, ma anche in questo caso si tratta laboratori aperti, che diventano quindi luogo di discussione. Di “disastro” ormai parlano tutti, anche i predicatori della domenica che propongono facili soluzioni e medicine per la vita. E vogliamo parlare della “partecipazione”? Quella cosa che tutti fanno per non dover dire che viaggiano da soli nel grande mare dell’autoreferenzialità? Eppure, ci sono ancora molti che sanno bene cosa vogliono dire queste parole chiave, che le vivono e le rendono vive, che le riempiono ancora e ancora di significati possibili. Ecco la versione (o le 4 versioni, una per parola chiave) di Alvise, by design or by disaster.

Parola chiave II: design

In questo progetto c’è una visione espansa del design. Nel senso che con design intendiamo la presenza di artefatti pensati per modificare le relazioni sociali che a loro volta dipendono in gran parte dagli artefatti stessi. La questione che ci poniamo è quella del design non in quanto arredo o decoro, ma come strumento per prendere in considerazione la nostra cultura materiale per capire come agire, con essa e attraverso essa, per modificare i comportamenti e le relazioni sociali intese in modo ampio. In pratica, come usare le competenze progettuali per introdurre cambiamenti più radicali e pensare a una sostenibilità possibile? Come possiamo raggiungerla? Oggi come oggi una via è quella tecnologica (le nuove lampadine a basso consumo, ad esempio), un’altra via è più persuasiva, è quella degli incentivi dati affinché ogni individuo cambi i propri comportamenti. In qualche modo in questa visione bipolare gli artefatti/tecnologie e i comportamenti sono tenuti separati. Nel nostro concetto invece queste vie non vanno separate, altrimenti non si otterrà mai nulla. Il design per noi è quel momento nel quale, attraverso gli artefatti, ripensiamo alle relazioni sociali . E questo è il senso – forte – che noi gli vogliamo dare alla parola “design”.

Parola chiave III: disaster

È vero che l’idea di sostenibilità presuppone una visione positiva e propositiva per il futuro. Dunque, quando parliamo di “by design or by disaster” sappiamo che tutto sta in questo “or”. La proposta forte del titolo di questa 2 giorni è pensare che a una sostenibilità e a un equilibrio, prima o poi, si arriverà. Lo squilibrio così alto in cui viviamo presuppone che la catastrofe avverrà, o almeno, il rischio c’è. Ma dopo questa catastrofe raggiungeremo un livello di sostenibilità, e questa è una via. Un’altra via è dire che forse questa sostenibilità potremo ottenerla attraverso il design, che utilizza artefatti e processi partecipativi con una visione politica, nel senso più nobile del termine. Prevenendo il disastro, ma non solo. Il design non è in mano al singolo designer, ma diventa parte di un processo deliberativo condiviso, e questo è quello che i nostri workshop cercano di fare per provare a capire come realizzare tutto questo. Servono artefatti, non basta il voto o l’opinione. Ed è qui che entra in gioco il design. Contro il disastro.

Parola chiave IV: partecipazione

Sia i workshop che le conferenze non sono pensati solo per designer. Ci interessa molto, ad esempio, coinvolgere anche persone dalle scienze sociali, perché workshop come quello di Cecilia sull’orto delle semirurali, è fatto con e per la comunità, con la gente del quartiere. L’idea è che tutti possono partecipare portando i materiali necessari (vecchi abiti ) per costruire una struttura che faccia ombra, dove le persone possano dialogare e fermarsi un momento. Questo crea un’inevitabile coinvolgimento.
E attraverso questo lavoro cerchiamo, molto in pratica, di ridare senso alla parola “partecipazione”, come anche a tutte le parole di cui sopra.  

designdisaster.unibz.it

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