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September 10, 2013

Design inclusivo @ Innovation Festival, intervista a Francesco Morace

Marco Bassetti
Il 27 settembre alle ore 16, nell’ambito dell’Innovation Festival, si terrà presso la LUB un incontro dal titolo “Pensato e disegnato per tutti”, dedicato al design inclusivo. Tra i relatori, oltre a Philippe Daverio, il futurologo Francesco Morace.

Negli Stati Uniti la futurologia è una disciplina seria, orientata a prevedere con approccio scientifico il futuro, più o meno remoto, dell’umanità. Per noi europei, vecchi stanchi e arroganti, potrà far sorridere ma è così. In una società viva e vitale occuparsi di visioni del futuro, basandosi su dati, osservazioni, intuizioni, ricerche sul campo, viaggi, interviste ecc. è una cosa non solo seria, ma necessaria. Necessaria alle aziende, in primis, che sanno fare tesoro delle previsioni dei futurologi. Necessaria allo sviluppo e alla progettazione in genere, se si vuole garantire una qualche durata e tenuta alle proprie ideazioni. Francesco Morace con il suo Future Concept Lab – istituto che dririge da più di 20 anni – ha posto la “visione sul futuro” come fondamento di una vera e propria “terapia per le aziende“. E grandi colossi industriali come Coca-Cola e Samsung si affidano a lui e alla sua rete di collaboratori sparsi in giro per il mondo per avere consulenze strategiche in merito al lancio di nuovi prodotti e all’ideazione di campagne pubblicitarie. Lo abbiamo raggiunto via email, sapendo che al momento di trova in Brasile.

Posso permettermi di chiederle cosa ci fa un futurologo in Brasile?

Le rispondo da Fortaleza, tra una sessione e l’altra di un convegno sulle tendenze del consumo e della moda. A metà novembre andrò in Colombia, a Bogotà, per lo stesso motivo.

In cosa consiste esattamente il suo lavoro?

Esattamente da 30 anni mi occupo, da sociologo, di tendenze internazionali e cambiamento nei valori e nei comportamenti. A questo scopo con l’Istituto che dirigo dal 1989 – il Future Concept Lab – abbiamo creato una rete di 50 corrispondenti in 40 città del mondo in 25 paesi. In queste stesse città teniamo seminari, conferenze e realizziamo consulenze strategiche per grandi aziende: LG e Samsung in Corea, Whirlpool e Coca-Cola in Usa, e in Brasile lavoriamo con le più grandi imprese del Paese (Petrobras, Alpargatas, Grendene, Stern, Natura…) tanto che nel 2010 abbiamo aperto la nostra seconda sede a San Paolo.

Venendo al tema dell’incontro del 27 settembre, cerchiamo prima di tutto di definire il campo: cosa intendiamo con “design inclusivo”?

Proprio il Brasile ci insegna che il design inclusivo è e sarà une tendenza del futuro. Un design cioè che pensa alla maggioranza delle persone e non solo a quella nicchia di privilegiati che finora ha considerato il design una propria modalità espressiva e di consumo. Ciò significa occuparsi non solo dei target svantaggiati come i portatori di handicap, gli anziani, i bambini o le donne incinte, ma dell’umanità nella sua portata più ampia, che si caratterizza per differenza vitali, culturali e fisiche. In altre parole design inclusivo significa ragionare non per esclusione ma per inclusione, significa democratizzare la qualità e la bellezza, significa immaginare un mondo a misura di donne e uomini veri, concreti, con i loro problemi, le loro ansie e le loro difficoltà.

È una prospettiva di sviluppo realizzabile in Italia in un futuro prossimo, i tempi sono maturi?

Il design inclusivo ha e avrà un grande futuro, ovunque. Diventerà un paradigma, come è stato ad esempio il momento della rivoluzione igienica di fine 800 nelle allora grandi città: eliminare le fogne a cielo aperto e definire nuovi standard di igiene, salute, sicurezza alimentare…

Perchè un impresa, diciamo dell’Alto Adige, dovrebbe oggi investire in questo senso?

Una regione come il Trentino Alto Adige può rispondere a questa esigenza con grande credibilità, avendo già abbracciato da alcuni anni con grande rigore e serietà la visione della sostenibilità. Lo dico con qualche invidia, da napoletano che vive da 35 anni nel Nord Italia, avendo frequentato per 4 anni l’Università di Sociologia a Trento, vivendo a Milano e trascorrendo spesso in Valdaora le vacanze estive e invernali.

So dalla sua pagina di twitter che ha passato l’estate in compagnia del commissario Ricciardi (protagonista di una serie di romanzi dello scrittore napoletano Maurizio De Giovanni)… cosa l’affascina di quel personaggio?

Il commissario Ricciardi esprime l’intelligenza, la carica umana, ma anche i grandi tormenti, della mia città in un periodo contrastato e doloroso come gli anni ’30. Io spesso scherzando dico che vivere da napoletani al Nord costituisce un vantaggio competitivo!

www.innovationfestival.bz.it

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