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July 24, 2013

People I Know. Santija Bieza e la luce di sua figlia Gaisma Morgavi

Franz

Da 2 mesi Santija Bieza e Gaisma Morgavi sono una cosa sola. Santija ha 41 anni, è nata e cresciuta in Lettonia e da 6 anni vive a Bolzano. Gaisma ha 2 mesi ed è la figlia di Sanija, la sua luce (proprio questo significa, in lettone, il suo nome). Non si separano mai: la piccola Gaisma, nel suo marsupio è sempre con la sua mamma, che fa la danzatrice e che recentemente l’ha portata con sé anche nel suo lavoro. In Lettonia Santija fin da piccolissima – in casa sua tutti dipingevano – ha sviluppato la passione per l’arte, la danza, il teatro. Così ha studiato queste discipline, lavorando poi in varie compagnie, per spostarsi poi in Italia per frequentare il Dams – Dipartimento di arte musica e spettacolo a Parma. Poi c’è stata Roma e poi Bolzano, “perché – racconta – “il mio percorso professionale come quello sentimentale non è mai stato lineare” e così conosciuto il suo compagno che stava qui, si è ritrovata in Alto Adige dove ora vive, lavora e fa la mamma. Il suo ultimo lavoro coreografico coinvolge anche la piccola Gaisma, si chiama “Nascita”, è stato creato insieme al suo compagno all’interno del progetto Ponteinfinito che condividono, e racconta del diventare madre, in un sistema sanitario che non sempre aiuta. La performance ha anche vinto il concorso indetto quest’anno da Bolzano Danza “Danza in Vetrina. Danzare per Santija, significa essere sempre a contatto con il proprio corpo ed essere mamma significa essere sempre a contatto con la propria creatura, e così, le due donne ora sono un tutt’uno. Santija con la sua esperienza, la sua bellezza, i suoi occhi chiari e profondi e il suo accento dell’est, la piccola Gaisma con tutta la vita davanti, da vivere e scoprire, insieme alla sua mamma.

Santija cosa ti manca della tua terra, la Lettonia?

Ormai sono via da tanti anni, penso in italiano, ma quello che più mi manca è il contatto con la mia lingua. Vorrei andare più spesso in Lettonia, per respirare la sua aria. Non ho un luogo preciso di riferimento lì, quanto più un’interezza, un’atmosfera, fatta di sapori e odori. Il modo di vedere o sentire le cose. Direi il ricordo dell’identità. Io mi sento cittadina del mondo, ma allo stesso tempo so che ci sono quelle cose preziose che ognuno porta in sé dalla nascita e che lo rendono diversamente bello.

E di Bolzano cosa ti piace e cosa no? Parallelismi con la tua terra?

Di Bolzano amo – anche se è parallelamente la sua difficoltà – il fatto che abbia 2 culture. Nel mio paese c’è una situazione analoga, tra russi e lettoni, con le stesse dinamiche. I russi in alcuni casi si sono integrati benissimo, altri invece sono ancora legati all’idea della “grande madre Russia”. Mi spiace che qui l’ambiente artistico sia separato tra italiani e tedeschi. Il linguaggio dell’arte non fa distinzioni linguistiche, l’importante è avere qualcosa da dire e unire le forze sarebbe bello ed efficace. Qui amo anche il contatto con la natura, per me fondamentale. Vengo da un ambiente campagnolo e questa città a misura d’uomo è ideale anche se a volte troppo provinciale.

Parliamo di maternità, il nuovo centro della tua vita. Oggi si fanno figli sempre più tardi. Cosa significa per te essere madre a 40 anni, soprattutto perché da danzatrice hai uno stretto rapporto con il suo corpo?

Forse c’è una maggiore consapevolezza di quel che sei e di quel che comporta avere un bimbo. Un figlio è un dono, una ricchezza, e dunque ho accettato spontaneamente il cambiamento del mio corpo, anche se la società vorrebbe corpi tutti uguali. A me viene naturale superare queste etichette: se il corpo cambia ben venga, è la vita. Non ho timori o paure, la prendo come un’occasione per crescere, anche artisticamente, grazie a lei, al suo arrivo, anche con un corpo cambiato.

2Recentemente hai presentato un progetto coreografico insieme alla tua piccola, riflettendo su sistema sanitario e maternità. Cosa non ti convince? 

Credo che il sistema sanitario offra una visione della nascita che si allontana dall’aspetto più naturale. Vuole medicalizzare il parto, la donna che aspetta un bambino diventa una paziente. Gli eccessivi controlli creano ansie e paure inutili, mentre si potrebbe vivere più serenamente. Ti portano a dissociarti dal tuo corpo quando invece partorire è insito in natura della donna. Sembra che tu non sia in grado, che tu debba sempre ricorrere alle medicina e così le donne arrivano a diffidare delle proprie capacità. La mia bimba, ad esempio, era podalica e non sarebbe nata in modo naturale se non avessi ascoltato la mia voce interiore. Io sono rimasta sulla mia asse, ho avuto fiducia in me e non sono stata prigioniera del sistema sanitario. Oggi la nascita è come una catena di montaggio, un parto industrializzato. Mentre il parto è una cosa arcaica, fa parte di noi, legata all’istinto animale. Le scimmie se fanno un parto cesareo non si prendono più cura del loro cucciolo, e le pecore dopo l’epidurale non riconoscono l’agnellino. L’uomo è ovviamente legato a cultura e linguaggio e in casi di emergenza la medicina è fondamentale, ma serve pensare a cosa possono portare queste invasioni. L’eccessiva medicalizzazione porta ad allontanarsi dall’intima capacità di essere in collegamento con la natura e il nostro essere donne e madri. E io a questo non volevo proprio rinunciare. 

Photo by Piero Tauro

 

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