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July 22, 2013

Obtaining the History. Il cubo di Rubik di Jacopo Mazzonelli alla Paolo Maria Deanesi Gallery

Aaron Ceolan

You don’t like living in a business world – You don’t have goals and you never stay – There are no more goals in our liberal world – Living in times when I could stand it…era il 2001 e gli Radiohead cantavano Dollars and Cents.

52.771.432 nascite quest’anno. 80.716 morti oggi. 54.346.380 biciclette prodotte quest’anno. 2.539.785.985 utenti internet a livello mondiale. 15.962 morti di fame oggi. 35.366.740 persone infette da HIV/AIDS. 1.992.252 morti causate dall’abuso di alcol quest’anno. 2.072.697 ettari di foresta distrutte quest’anno.

Numeri. Oggetti. Collezioni. Razze. Conflitto. Statisticamente, ad ogni decesso corrispondono tre nascite. E le conseguenze?

Alla Galleria Paolo Maria Deanesi di Rovereto è esposta fino al 14 settembre la personale del giovane trentino Jacopo Mazzonelli, Obtaining the History. Il percorso della mostra, curata da Denis Isaia, cerca attraverso le opere di delineare dei concetti «geografici». Il tutto procede grazie a delle argomentazioni, delle correzioni di pulsioni, accompagnate dalle opere esposte. All’interno dello spazio espositivo, lo spettatore si confronta con dei frammenti di memoria. Elementi attratti l’uno con l’altro, in modo da creare dei rapporti basati sul ricordo. Rievocazioni della storia di singole particelle, le quali, in fin dei conti, siamo noi stessi.

La prima argomentazione è storica. Obtaining the History è un’architettura labirintica composta da pagine di un vecchio album fotografico. Le fotografie probabilmente non sono presenti, ma i volti all’interno sono i nostri. Diventa la nostra opera, perché le memorie che essa racchiude all’interno sono le mie, o le tue. Si tratta di una sorta di caleidoscopio psicologico, attraverso il quale noi riusciamo a vedere, o anche solo immaginare il nostro passato.

La seconda argomentazione è razionale, riguarda l’invincibilità della misura. L’operazione è assai banale, ma può diventare atroce, insopportabile. Nel video 8601, che sta per ISO 8601 (standard internazionale per rappresentazione di date ed orari), vediamo una pallina che rimbalza all’infinito su un piano. Centrale è in questo caso la nostra attesa tradita ad ogni rimbalzo. È un’attesa insostenibile, destinata a non terminare mai. La nostra percezione subisce un trauma psichico insormontabile, fino ad assumere le forme della sua stessa fine.

La terza argomentazione tratta l’inquietudine come statistica. Demographics, sono due tubi di plexiglass contenenti dell’acqua, due fili a piombo, che rappresentano la morte e la vita basandosi sulla statistica sopra citata, per la quale ad ogni decesso corrispondono tre nascite.

Una piccola porzione di intimità raffigurata ci viene offerta con Taxa. Riposo, questa è la quarta argomentazione. Si tratta di una raccolta di volti raffiguranti le razze. È una raccolta, una composizione di famiglie, i cui volti risultano sfocati, inghiottiti dalle loro stesse ombre, sommersi dalla storia.

La quinta, è un argomentazione senza corpo. Tratta la perfezione. Toronto è una storia a metà, composta da vari elementi. Il racconto di vite, alle quali manca la base. Le figure rappresentate sono mozzate, ciò che in definitiva viene colto è il movimento. Questo avviene attraverso un interessante gioco di immagini ed impronte.

La mostra offre interessanti visioni riguardanti la storia, intesa come esperienza di vita di singole persone. Viene analizzata l’esistenza stessa dell’essere umano, nelle sue svariate forme. Mazzonelli elabora dei precisi momenti nella vita di ognuno, anche della sua, per poi riproporli tramite i suoi lavori.

Cerco però di avvicinarmi di più all’esposizione, interrogando l’artista stesso:

Osservando l’opera Obtaining the History, o anche Taxa 8601, mi sembra che per te sia molto importante coinvolgere lo spettatore nell’esperienza delle sue opere. É forse la memoria, la storia di ognuno di noi ad essere chiamata in causa?

Prima di tutto cerco di portare lo spettatore all’interno dell’opera presentandogli un lavoro che per forza ha bisogno di essere osservato da differenti angolazioni. Segue poi una fase di ricomposizione: la memoria personale – anche nei pochi secondi di osservazione del lavoro – gioca un ruolo importante e insostituibile. Potremmo associare il procedimento al “cubo di Rubik”, in cui il giocatore deve cercare di tenere a mente le facce del parallelepipedo pur non potendole vederle tutte insieme.

Lei nella domanda nomina giustamente sia la memoria che la storia. In questa mostra i due termini si sommano, si scontrano, si completano altre volte, creando cortocircuiti semantici e percettivi. Dove finisce la memoria e comincia la storia – e viceversa – è un problema che ho volutamente lasciato aperto.

Il tuo lavoro è caratterizzato dalla ricerca della perfezione, del dettaglio. In quale modo o fino a che punto viene di conseguenza rispecchiata la tua stessa personalità, quella dell’artista?

L’arte è in fin dei conti una seduta psicanalitica infinita.

Nel testo critico Isaia parla di una nota sulla perfezione e si riferisce poi all’opera Toronto. Si tratta di un paradosso o è in definitiva la ricerca della perfezione mancante, dato che nel soggetto raffigurato mancano dei particolari importanti?

La memoria è per definizione imperfetta: nelle due opere che portano lo stesso titolo, “la mancanza” è il cuore pulsante del lavoro proprio perché dove finisce l’immagine comincia l’immaginazione. Il cinema noir, tanto per citare un esempio, ha sempre giocato su questo aspetto.

Il “paradosso” è poi anche una delle condizioni delle opere in mostra, forse perché nella ricostruzione del passato – come nel sogno – gli elementi sono spesso contrastanti, non consequenziali, illogici.

Quello che mi interessa è evidenziare come la “verità” non sia un dato di fatto, quanto il frutto di un punto di vista soggettivo. Gli stessi volumi delle opere suggeriscono una frammentazione del reale e la necessità di una ricostruzione a posteriori.

A questo punto più che di “obtaining” the history potremmo parlare di “assembling” the history

All’interno della conversazione nel catalogo ti definisci “collezionista seriale di oggetti” e affermi che ciò entra spesso in conflitto con il tuo essere artista. Puoi spiegarti meglio?

La spiegazione è molto semplice. Le modalità con cui mi relaziono ad un oggetto da cui vengo attratto sono tendenzialmente due: la prima è quella dell’artista, per cui l’oggetto è già una cifra nella funzione dell’opera, la seconda è quella del collezionista, per cui l’oggetto è già completo, perfetto in se stesso, e non deve essere adoperato o snaturato. Il problema si pone quando il confine tra le due opzioni non mi è chiaro: conservare o modificare? Cerco sempre di anticipare la scelta al prima possibile, per evitare delusioni e ripensamenti.

http://www.paolomariadeanesi.it/

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