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July 22, 2013
Alpitudini delle Dolomiti e cannibalismo delle montagne: un rebus con soluzione a Molveno
Karin Mantovani
Mancano pochi giorni alla rassegna di cinema, letteratura, fotografia, racconti che Molveno, cuore pulsante delle Dolomiti di Brenta, ha voluto dedicare alla montagna. Dal 26 luglio e fino al 5 settembre, ci sarà da spaziare tra le varie iniziative proposte e provare – come sperano gli organizzatori, a guardare e a pensare alla montagna in maniera altra, diversa.
L’ouverture di Alpitudini. Storie e sguardi sulle montagne, questo il nome della rassegna, è stata affidata ad un antropologo trentino, Duccio Canestrini e alla sua conferenza-spettacolo che si svolgerà il 26 luglio.
Ora, Stefania Donini che ha tessuto le fila dell’organizzazione, mi ha suggerito di contattarlo e fare una chiacchierata assieme con lui, non mancando di menzionarmi brevemente la sua biografia di cui io – confesso – conoscevo ben poco.
Ancor prima di decidere come procedere, la mia mente metteva a fuoco un’immagine dell’antropologo tipo, retaggio forse di qualche vecchia pellicola, o semplicemente frutto della mia bizzarra fantasia: un personaggio animato da una sete inestinguibile di conoscenza di popoli e culture e dotato di una grande capacità di adattamento e mimetismo. Ecco che ora mi appare vestito di una sorta di gonnellino di frasche che danza assieme a un popolo dell’Africa, oppure vestito di sahariana color kaki e pantaloni coordinati, in una mano blocco e penna per appunti e disegni, nell’altra uno strano e assai poco pratico marchingegno per registrare dialoghi, suoni, canti… ve l’avevo detto che avevo una bizzarra fantasia…
Mi affido dunque alla rete e scopro, arrossendo per i pensieri che pochi istanti prima mi avevano occupato, che Duccio Canestrini è un antropologo con i controfiocchi, ma non solo: giornalista professionista, regista, scrittore, docente universitario… uno che, insomma, la vita se l’è vissuta intensamente e ha fatto delle esperienze che noi, a sentirle, rimaniamo a bocca aperta.
Mi ricompongo e fisso alcune domande da sottoporgli quando, fra pochi minuti, lo intervisterò. Dall’altro capo del telefono mi risponde una voce limpida, chiara e piena di verve. Impossibile non sentirmi subito a mio agio.
Il titolo della tua conferenza-spettacolo mi ha colpito molto, Duccio. Perché la scelta di La montagna del Dio cannibale?
Il titolo è ironico, parodistico, tratto da una pellicola degli anni ’70 e racconta di una spedizione in Nuova Guinea. Non è che il film spiccasse per spessore o qualità, anzi. C’era però un elemento che ho raccolto, ovvero l’idea del sacrificio associato al luogo montagna, la sacralità che ad essa è legata. E infatti nella mia conferenza che si divide in capitoli, il primo tratta della montagna sacra, il luogo degli dei la cui violazione per alcune religioni è un tabù – gli sherpa nepalesi ad esempio, fino a prima delle grandi spedizioni alpinistiche ritenevano la montagna sacra e non si spingevano oltre un certo limite. Con l’avvento del turismo tutto è cambiato. Nella mia analisi di questo rapporto sacrale con la montagna, mi è venuto in aiuto anche un libercolo del 1885 dedicato all’alpinismo in cui si parla delle prime esplorazioni delle società alpinistiche come interventi di esorcismo nei confronti di una montagna divoratrice di uomini, la montagna cattiva che sottrae vite umane.
Duccio, nella tua attività divulgatrice che si concretizza anche in queste conferenze-spettacolo, tu ti occupi di antropologia del turismo – il cosiddetto homo turisticus. Come affronti questo tema nella conferenza di Molveno?
Un altro capitolo del mio spettacolo – attenzione che ogni spettacolo ha un format unico e diverso da quelli precedenti – si chiama La montagna equivoca e si rivolge sia ai passeggiatori zaratustriani che ai turisti che popolano le nostre montagne. Il nocciolo di questo capitolo è l’accessibilità della montagna che ai giorni nostri è stata potenziata grazie ad operazioni commerciali, fino al paradosso di una ricezione wifi anche ad alta quota. Io mi servirò di un collage multi mediatico, di un bricolage di testimonianze per raccontare al mio pubblico in maniera ironica, contenuti seri sui quali serve soffermarsi e riflettere. Il modo di vivere la montagna è cambiato e in quest’ottica si può parlare di ”antropologia del vivere in salita”. Fanno parte di essa i montanari e le comunità che vivono il territorio con le loro variabili; i terragnoli, quelli che vivono lì dove è “ert”, irto, ripido e che a forza di vivere in luoghi irti sono diventati irti anche nel carattere e nel modo di pensare.
Se metto assieme le tue origini trentine, i tuoi studi, il tema della rassegna, la domanda sul tuo rapporto personale con la montagna mi è inevitabile…
Quando ero giovane, stava appena prendendo piede la disciplina dell’arrampicata sportiva. In forma quasi antagonistica, però, si ponevano i cosiddetti “sassisti”, di cui facevo parte, che vivevano la montagna in maniera più disinibita, non solo per la mancanza di attrezzatura (niente chiodi, imbraghi, corde), ma soprattutto per le mise colorate e sgargianti. Unico dettaglio tecnico, le prime scarpe di aderenza. Il grande amore per la natura e dunque la montagna, mi deriva dalla mia genealogia. Oggi, dopo aver anche avuto una fase da sciatore pazzo e spericolato, prediligo decisamente quei luoghi del mio territorio e della natura che mi permettono di dedicarmi alla contemplazione. Se possibile cerco il silenzio della montagna, anche se ormai il turismo ha portato a una frequentazione promiscua e spesso irrispettosa, che non è figlia dei giorni nostri ma – come ci raccontano vignette svizzere di fine ‘800 – ha una storia ormai lunga.
A questo punto non ci resta che venirti ad ascoltare a Molveno, Duccio! La tua “antropologia pop” declinata sul tema della montagna come apertura della rassegna Alpitudini mi incuriosisce moltissimo…
In conclusione di intervista scopro che il nostro antropologo ha già all’attivo diversi momenti divulgativi qui a Bolzano e che sta collaborando con il Teatro comunale del capoluogo altoatesino per delle nuove proposte che presto ci coinvolgeranno. Intanto, però, buona la prima: ciack, si gira a Molveno, il 26 luglio prossimo!
Programma della rassegna Alpitudini. Storie e sguardi sulle montagne nel sito: www.alpitudini.tumblr.com
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