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July 12, 2013

Behind Dance. Emio Greco tra libri, televisione, politica, informazione e pornografie culturali

Anna Quinz

Anche con Emio Greco – noto danzatore e coreografo italiano che insieme a Pieter C. Scholtern dirige ad Amsterdam la compagnia di danza Emio Greco/PC – abbiamo chiacchierato di aspetti altri della vita, al di fuori della danza. Non è cosa semplice, a dire il vero. Non perché Greco non sia persona comunicativa, anzi, ma perché come spesso accade a chi è professionista dell’arte, separare la vita lavorativa da quella privata è impresa ardua e complessa. Non per stacanovismo né ossessione, ma perché se di arte si vive, non è possibile – né spesso auspicabile – crearsi due vite parallele, due canali del fare e dell’essere che scorrano uno accanto all’altro, permettendo di passare da qui a lì come forse riesce chi finita la giornata lavorativa lascia la sua scrivania e torna a casa, nel suo mondo intimo e privato. L’arte ti rimane attaccata addosso sempre, perché non è qualcosa che si attacca, in fondo, ma qualcosa che è, insieme a te.
Resta però il fatto che con Emio Greco, in una telefonata Italia-Francia, siamo riusciti a chiacchierare amabilmente di Emio Greco, dentro ma soprattutto fuori dalla scena teatrale. Ecco chi è e cosa fa, dunque, quando i riflettori si spengono e resta – semplicemente – Emio Greco.

Emio, prima obbligatoria domanda. Lei ci riesce a separare vita e lavoro? E se si, cosa fa quando non è in teatro a provare o in tour con i suoi spettacoli?

Non ci riesco tanto a dire il vero. Il lavoro artistico è una espressione della propria vita e del proprio essere parte di un progetto, di una comunità. Sono cose che dipendono l’una dall’altra e influenzano la sfera del privato che non è allora più così chiara. C’è un esporsi continuo ed è difficile creare un reale distacco. Quando però ci sono quei momenti in cui si riesce ad avere una certa distanza, i momenti tranquilli, le cose che faccio sono semplici, come leggere un libro, che diventa una conquista enorme, un regalo che si fa a se stessi. O anche piccole altre cose quotidiane che sembrano a volte eccezioni, o meglio, che sembrano normali ma che acquistano un forte valore. Quello che cerco di fare in quei momenti, è riconnettermi, ridarmi l’ispirazione, leggendo o approfittando per fare piccoli viaggi per vedere una mostra, uno spettacolo, per incontrare persone, artisti. Questi sono preziosi momenti di libertà.

Leggere come dono che si fa a se stessi. Dunque, cosa legge Emio Greco?

Dipendo dallo stato in cui sono dai luoghi o momenti di interesse. Ora per esempio sto leggendo Albert Camus,  partendo da “Lo straniero” perchè c’è un lavoro che stiamo facendo che si rifà a questo. Passando da questo romanzo, mi sono interessato al lavoro di questo autore, alla posizione dell’uomo in rivolta che riesce a mettere in evidenza, o al dibattito che c’era attorno a lui, come la diatriba con Sartre. Ovviamente allora poi ho anche riletto Sartre. Però, non mi spiace leggere romanzi polizieschi, con trame poco impegnative: per darmi quella distrazione e quella leggerezza che a volte ho bisogno di respirare.

Che rapporto ha invece con l’informazione, i mezzi di comunicazione, l’attualità?

L’attualità è qualcosa che ho sempre tenuto in grande considerazione, anche perché fin da piccolo sono stato abituato in famiglia ad un impegno civile e politico altissimo. Quindi sono sempre stato presente e ho sempre sentito la responsabile di sapere le cose e informarmi è qualcosa che faccio tutti i giorni. Se vivessi in Italia, non lo farei attraverso la televisione, che mi ha disgustato soprattutto in questi ultimi 20 anni, e in particolare negli ultimi mesi, dove ho sentito un disincanto profondo, una riconsiderazione delle mie posizioni e il dubbio di riuscire mai più a ritrovare la passione in questo. In generale, comunque, le informazioni le trovo in rete, anche se non ne faccio l’uso salvifico che alcuni magnificano. Cerco di dare un filtro. Poi leggo i giornali stranieri, ad esempio la stampa olandese che rispetto a quella italiana – sempre concentrata sui fatti nostri, lì che si guarda l’ombelico – si occupa molto di più di questioni estere ed è rivolta verso il mondo.

Disincanto televisivo… “problema” comune a molti, soprattutto a chi si occupa di cultura, che nella tv vede un potenziale sprecato. Visto che tu ti occupi di danza, ossia una disciplina del corpo, che idea ti sei fatto dell’immagine corporea che il mezzo televisivo ci passa, e dell’immagine di questo corpo veicolato dalla danza, ultimamente peraltro molto di moda?

Dell’abuso e semplificazione del corpo in tv, penso che sia una forma di pornografia culturale. Non sono moralista, ma per me la pornografia non sta nel porno in cui si parla di sesso esplicito, ma nella banalizzazione e mercificazione, nell’appiattimento delle diversità. Questo nell’uso del corpo in generale e poi, in quello della danza. L’idea che dalla televisione si vuol far passare della danza è talmente lontana dal vero… C’è un degrado assoluto, un degrado culturale. La danza produce fermenti, forse tra le arti è persino la più rivoluzionaria, quella che continuamente cambia i codici. E invece, quel che ci riporta la tv è il ritorno alla macchietta, alla “mossa”. Ora, con questi fenomeni tipo “You can dance”, le spettacolarizzazioni, il fatto tecnico e il gesto si fanno danza. Ricordo quando da giovane a Brindisi durante i saggi di danza ci si vergognava quando il genitore applaudiva nel momento della spaccata o dei virtuosismi. Perché questo era per noi una deficienza culturale, che però oggi è diventata l’usanza e così si applaudono proprio quei momenti spettacolari che sembrano rivelatori di qualcosa e invece sono solo un gesto…

Nel privato invece, come si prende cura del suo corpo, che per lei è primo strumento di lavoro? Diete, tecniche di rilassamento, altri trucchi o manie?

Ho indubbiamente una relazione con il mio corpo, con l’energia, con le sue contraddizioni e sono cosciente di tanti flussi, di situazioni fisiche e mentali con cui devo dialogare, ma non faccio del mio corpo un tempio. Lo uso in modo naturale e spontaneo, anche in relazione al cibo: mangio quel che mi va a volte anche con abusi, non faccio attenzione a quel che è più energetico sano ecc. Mi piace insomma avere un rapporto molto pratico con il corpo, anche perché ogni giorno con la danza facciamo cose eccezionali, e dunque dall’altra parte cerco di avere una relazione più semplice, olistica.
Ovviamente c’è anche un rapporto filosofico con se stessi, nel tempo che si prende ogni giorno per riconnettersi con propri tessuti, le articolazioni, i muscoli e questo è molto più di un gesto fisico, è qualcosa che attiene al pensiero e in questi momenti si fa una riflessione che non è meditativa ma piuttosto un esplorarsi, guardarsi dentro, che poi esce fuori e che da i propri risultati nel modo in cui si appare, ci si relaziona al mondo. Con la propria arte, oppure senza, semplicemente nel rapporto sociale.

Lei vive all’estero da tanto tempo, cosa le manca dell’Italia?

Mi manca quell’intelligenza emotiva tipica italiana che completa la sensibilità delle persone. In Francia per esempio c’è un’intelligenza dell’essere filosofico, quasi esistenzialista, in Italia invece è più una questione emotiva. Qui il modo di riferirsi alle cose è molto pragmatico, e questo ha molti vantaggi, ma quel che è il “sentimento” è un po’ sacrificato, mentre in Italia abbiamo questa forza evocativa che rende i contatti tra persone ricchi, ampi, belli. Anche se devo dire che negli ultimi anni, l’umore italiano si è un po’ ingrigito e appesantito, a volte trovo più leggerezza qui. Sono tempi strani questi.

* Lo spettacolo Double Points: Verdi di Emio Greco e Pieter C. Scholten, si potrà vedere il 16 e 17 luglio, alle ore 21.00 nel Teatro Studio del Comunale. 

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