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June 26, 2013

People I Know. Senad Kobilic: osservatore privilegiato del mondo giovanile altoatesino

Anna Quinz

Senad Kobilic è arrivato in Alto Adige per puro caso, a 16 anni, nel 1993. Arrivava dalla Bosnia, allora colpita da una terribile guerra. Senad e la sua famiglia si erano rifugiati a Belgrado in Serbia, da alcuni parenti. Poi, da uno zio che si trovava in Valsugana, è arrivata la notizia che in un campo profughi a Vipiteno c’era posto per loro e così sono partiti: due stracci in mano, una macchina sgangherata e più di 1000 km per arrivare qui. In qualche maniera sono entrati in Italia e senza avere praticamente niente hanno ricominciato a costruirsi una nuova vita in Alto Adige. Oggi Senad vive a Bressanone, lavora in un centro giovani ed è un felice papà. Ormai altoatesino al 100%, Senad ha uno sguardo e un cuore sensibile, capace di trasmettere molto ai giovani con i quali ogni giorno lavora e che, forse più di tanti altri “adulti”, conosce e capisce davvero bene. 

Senad, cosa porti con te della tua identità bosniaca? Cosa ti differenzia o accomuna da quella cultura, essendo ormai altoatesino?

Dalla mia terra natia porto la capacità di risorgere, non darsi mai per vinti e trovare sempre un modo per gioire, festeggiare, essere ospitali, brindare alla vita.  Mi sento differente, ad esempio per la totale assenza di rispetto per le cose “di tutti”: ciò che è pubblico non è mio, e chi se ne frega se qualcuno butta la spazzatura dove giocano i bimbi, se si parcheggia l’auto sui marciapiedi e il disabile non può passare. Forse dipende dal comunismo o forse sono semplicemente pigrizia e superficialità a renderci così. Quel che invece accomuna la cultura bosniaca a quella altoatesina è la spasmodica ricerca di non perdere le proprie radici, la paura di essere sopraffatti. Questa cosa delle radici, da un lato la posso capire e condividere: io stesso ritengo che serva coltivarle e a mio figlio che ha 3 anni insegno la mia lingua, le canzoni, i giochi, il cibo, la letteratura bosniaca; dall’altra però quando diventa qualcosa di ossessivo  e – per dimostrare l’importanza e la  superiorità della propria cultura – si è disposti a offendere gli altri, allora la ricerca delle radici per me diventa nauseante e odiosa.

Hai lasciata la scuola al quarto anno, per “un evidente errore nella scelta della scuola!!!!!”
Cioè? Cosa non ti convinceva della scelta fatta?

La scelta della era la conseguenza della situazione che vivevamo in quel momento. Arrivati a giugno in Italia, dopo un paio di mesi ti chiedono “dove vuoi andare a scuola, quella tedesca o quella italiana, a Vipiteno ci sono i licei di questo e questo e basta”, ti ritrovi un po’ spiazzato, non sai che Bressanone offre altro, Bolzano pure, che potresti viaggiare e spostarti, sei ancora assolutamente spaesato e scegli una scuola piuttosto che l’altra solo perche qualche ragazzo del campo, che era arrivato l’anno prima, ti dice che quella in italiano è meglio perche l’italiano lo impari prima. Scegli lo scientifico, perché alle medie ti piaceva la matematica. Così, non sapendo praticamente una parola di italiano, finisci in un liceo scientifico al primo anno, anche se dovresti fare il secondo, però ti spiegano che è meglio così perché non sai la lingua. Poi, grazie ad un’insegnate eccezionale che si prende la briga di insegnartelo, tu padroneggi l’italiano in pochi mesi. Però questi pochi mesi sono sufficienti a farti perdere le cose basilari di molte materie (visto che non le capivo), le lacune si accumulano e per qualche anno vai avanti non si sa come e quando arriva la bocciatura ti rendi conto, che quello che stai facendo non ti piace, ti senti frustrato e pensi che la scuola sia una cosa inutile. Molli tutto e te ne vai a lavorare in una fabbrica. Pensi che la cosa più bella sia quella di avere un po’ di soldi e di divertirti. Che si può volere di più dalla vita? Solo dopo anni e anni capisci che avere un diploma in mano è fondamentale per avere la possibilità di un futuro migliore. Ti rendi conto, che fare l’operaio tutta la vita non può essere la soluzione e con un po’ di orgoglio decidi di ricominciare con una scuola serale. Così per due anni faccio su e giù tra Bressanone e Bolzano e alla fine arriva il diploma. Tutto gasato, mi iscrivo pure all’università e ormai mi manca solo la tesi e poi ho finito.

Hai fatto l’operaio, lavorato in una lavanderia, hai insegnato. Insomma, una rosa di esperienze molto vasta. Cosa ti ha insegnato ognuno di questi lavori?

Beh… fare l’operaio o lavorare nel sociale (insegnare o lavorare in un centro giovanile), due mondi completamente diversi. Fare l’operaio purtroppo non è molto gratificante sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale. Ti rendi perfettamente conto, che sei al livello più basso della scala sociale o giù di lì, e anche se ti impegni e cerchi di dimostrare quanto vali, o se cerchi di dimostrare che hai voglia migliorare sia l’azienda per cui lavori sia il tuo status, rimani sempre operaio, soprattutto se sei straniero  (e questo è stato uno dei motivi che mi ha fatto scattare la molla per continuare a studiare). Chiunque può metterti i piedi in testa. Invece, lavorare nel sociale, almeno a me dà la possibilità di aiutare qualcuno e anche di crescere sia come persona sia come operatore.  Lavorando ho capito che bisogna essere sempre onesti, sia verso quello che fai e sia verso le persone che ti circondano sul posto del lavoro, lavorare sempre sodo e dare il massimo poi prima o poi qualche soddisfazione te la togli. Vivere il posto di lavoro come una cosa tua, gioire per ogni successo e lavorare sempre più sodo, anche se ci sono delle difficoltà.

Il lavoro che fai oggi è prezioso e importante, ma anche molto duro. Ricchezze, difficoltà?

Lavorare nel sociale è stimolante, e al contempo spesso può diventare deprimente. Lavoro da anni con adolescenti, in uno dei momenti più critici nella vita di una persona. Noi siamo quella cosa che sta a metà tra scuola e famiglia, non troppo severi, ma non troppo permissivi, siamo lì per ascoltare, ma non dobbiamo fare troppe domande, essere genitori ma non troppo… Lo stimolo sta forse proprio in quella via di mezzo, essere in grado di insegnare qualcosa senza che i ragazzi se ne rendano conto. Parlare ed essere ascoltato senza mai passare quella linea che, se superata fa scattare la chiusura totale, vanificando tutto ciò che hai fatto di buono fino a quel momento. Insomma, sono un equilibrista.

Dal tuo punto di vista privilegiato, come vedi i ragazzi di oggi?

Penso che i giovani d’oggi non siano né meglio né peggio di come eravamo noi, sono semplicemente diversi, come ogni generazione che passa e cambia. Sono bombardati quotidianamente da stimoli nuovi, da cose da acquistare, e questo provoca una generale apatia. Si annoiano facilmente, hanno bisogno sempre di nuove sollecitazioni. Non è colpa loro, è la società che impone le regole da seguire. Certo anche i genitori sono cambiati, c’è molta più condiscendenza verso i figli, permettono molte più cose e cercano di accontentarli. La stessa scuola in un certo senso è stata screditata. Non è uno stereotipo quando dico che la figura dell’insegnante ha perso il suo valore. Il genitore preferisce dare ragione al figlio e denigrare l’insegnante piuttosto che ammettere che la propria “creatura” possa sbagliare. Il Motivo? I sensi di colpa per il poco tempo trascorso insieme, oppure chissà. Avendo un bimbo, forse fra un po’ saprò rispondere. In generale i giovani secondo me sono più distratti, poco attenti a quello che succede intorno a loro e hanno pochi interessi veri.

Il tema dello “sballo” giovanile, sopratutto in Alto Adige è sempre più caldo. Da operatore, cosa pensi si possa o debba fare per evitare questo e perché succede secondo te?

Non credo che ponendo dei divieti si risolva la cosa, penso che i ragazzi berranno sempre, bere, qui in Alto Adige, è anche un fenomeno socio-culturale, la terra dei vini e della birra fa fatica a capire certe cose. Bere tra i giovani è un modo per entrare nella società, sentirsi grandi. Bere da giovani ed ubriacarsi è come una iniziazione per entrare nel mondo degli adulti. Il lavoro, che secondo me bisognerebbe fare per arginare un po’ il problema è quello di lavorare prima di tutto su adulti e famiglie.

Far capire a tutti che gli esempi che diamo sono sbagliati: ogni festa altoatesina è caratterizzata da adulti ubriachi, adulti con i bicchieri di birra in mano; ogni ricevimento dei politici o qualsiasi cosa che abbia un connotato festoso è rappresentata dai bicchieri di vino o di birra. Allora, non dobbiamo stupirci dei nostri giovani, è quello che vedono in giro e che passa come un esempio positivo. Ai giovani tutti fanno capire che non c’è niente di male nel bere qualche bicchiere. Ovviamente il giovane non ha mezze misure, esagera, si sballa e poi le conseguenze sono violente: i pestaggi, il coma etilico o nel peggiore dei casi la morte in qualche incidente stradale.

Hanno provato con tante campagna di sensibilizzazione, che spesso mi sembrano di facciata, soltanto per far vedere a qualche genitore veramente preoccupato che si sta facendo qualcosa, però tra il dire e il fare – in una regione dove il vino e la birra sono l’orgoglio locale – c’è in mezzo il mare. Perciò è molto più semplice cercare altri capri espiatori, per esempio etichettando un’intera terra come violenta, piuttosto che cercare di arginare i problemi concreti, come l’alcool o gli estremismi di destra che soprattutto nelle valli remote è molto presente…

Bressanone è un piccolo centro, com’è viverci? Pregi? Difetti? Cosa faresti per renderla “perfetta”?

Vivere a Bressanone e in tutta la provincia di Bolzano – l’ho sempre detto quando ero più giovane e lo ribadisco anche ora – è perfetto per coloro che vogliono “mettere su famiglia”: i servizi, le strutture sono ideali per chi ha bambini piccoli. Tutto è in ordine, pulito e sistemato, un’altra caratteristica che si addice a famiglie e turisti: chi viene qui e paga, si trova in un piccolo paradiso. I problemi nascono quando si parla dei giovani per i quali – anche se le bocche dei politici si riempiono di promesse – in realtà c’è ben poco, oltre la discoteca e qualche bar, e non si vedono tempi migliori all’orizzonte. Quel che farei: più eventi organizzati per e da giovani; rendere la città più attraente la sera; far rinascere il centro storico, non solo quando ci sono le feste dei commercianti o l’Altstadtfest… se qualcuno passa per le vie di Bressanone in un qualsiasi martedì sera si ritrova in una città deserta, che fa quasi paura.

 

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