Music

June 11, 2013

Tachi è tornato un’altra volta sulla scena, l’intervista (part 2)

Marco Bassetti
Seconda parte dell'intervista a Tachi, MC con base a Bolzano e un EP fresco di stampa: "Un'altra volta". Il rap oggi è una moda e "i rapper mainstream hanno tutti la stessa divisa". Ma Tachi è ripartito dalla radici: parco, birrette e ghetto blaster.

“… se Fedez e Club Dogo vendono un mucchio di dischi chissenefrega. Che vadano a cagare!”, ci eravamo fermati a queste sante parole. Da qui si riparte con l’intervista a Tachi non senza dire però prima che l’MC bolzanino – sabato sera – è arrivato dritto dritto in finale al contest di freestyle sul palco di Playground: una battaglia esaltante combattuta fino all’ultima rima, dalla quale Tachi è uscito sconfitto ma a testa alta (per la cronaca ha vinto Mr.Compless). Ero presente e posso assicurare che lo spettacolo è stato davvero spassoso…

Del nuovo album (“Un’altra volta”, in freedownload su nidosound.com) forse il pezzo più politico è “Me ne sbatto”. Non ti sembra, oggi, uno slogan fin troppo facile?

Sì, però a volte ci vuole. Rappresentava lo stato d’animo di quel momento e, infatti, dico “Questa notte me ne sbatto”. Sono quelle sere in cui ti bevi tre litri di birra e ti fai scivolare via tutto, il lavoro, il contratto, Berlusconi, Ruby, l’Italia che va a rotoli… Che cazzo me ne frega, questa sera mi diverto. Spegnere l’interruttore è necessario ogni tanto, proprio perché il resto del tempo invece sono costretto ad essere connesso con il mondo e mi girano le palle. Ad esempio certe cose che vedo in televisione mi fanno incazzare di brutto, come Barbara D’Urso che appunto cito nella canzone. Poi penso che è inutile incazzarsi e vaffanculo tutto. Questo è un po’ il senso di “Me ne sbatto”.

Ok, ma il rap – almeno per come è nato – aveva come obiettivo quello di muovere la comunità verso la consapevolezza, l’autoaffermazione, la ribellione contro le ingiustizie, la discriminazione, il razzismo, eccetera…

Il rap su questo in realtà è ambiguo. In Italia, ad esempio, è nato molto politicizzato perché legato all’ambiente dei Centri sociali, pensiamo a gruppi come gli Assalti Frontali e i 99Posse. Questo legame, secondo me, ha però anche danneggiato il movimento hip hop: il fatto di dover essere a tutti i costi impegnati è stato un limite. Un po’ come quando Lucio Battisti riceveva minacce di morte da ambienti di estrema sinistra che lo accusavano di essere fascista: in realtà lui non era di destra, solo preferiva cantare canzoni d’amore. Il solo fatto di non parlare di politica era già una macchia… Ecco questa radicalizzazione non la condivido. Anche nel rap secondo me ci deve essere posto per l’intrattenimento, senza per forza dover arrivare all’estremo opposto, della serie mi pippo la coca, mi bombo la Minetti…  Queste cose qua che ormai vanno per la maggiore.

Minetti che, raccontano le cronache di questi giorni, si è fidanzato nientemeno che con Gue Pequeno per poi sfidanzarsi dopo pochi giorni, credo. Ce ne faremo una ragione. Chiariscimi il tuo pensiero sui Club Dogo?

 È sicuramente gente che sa scrivere benissimo e il produttore è una bestia. Degli ultimi album ci sono 1-2 pezzi che ascolto volentieri e il resto mi dà proprio fastidio. Hanno preso la loro strada e amen. Citando di nuovo “Me ne sbatto” ti dico che “Me ne sbatto dei discorsi sull’hip hop / su chi spacca e chi si merita di stare al top / zero voglia se vende dischi Entics / il rapper di successo più scarso della storia”. Ho iniziato a sbattermene davvero perché ho capito che pretendere che la massa ascolti il rap figo è come pretendere che la gente non guardi mai Barbara D’Urso e che non ci sia un 27% che dopo tutto quello che è successo voti ancora Berlusconi. Adesso il rap va di moda, se una volta si ascoltavano i Lunapop adesso si ascolta Fedez. Se poi vedi i rapper mainstream hanno ormai tutti la stessa divisa, non ce n’è uno che non è total body tatuato, con la pettinatura figa e il dilatatore.  

È questo non è un tradimento dello spirito hip hop?

Certo ma ci si nasconde dietro il discorso che il popolo è sovrano. Ormai anche nel rap vige questo ragionamento: se vendo vuol dire che ho ragione e tu che mi critichi sei un frustrato del cazzo che parli così solo perché non vendi. Purtroppo vent’anni di berlusconismo hanno portato ad estendere questa mentalità in ogni ambito: se non funzioni sei un perdente. Con questa mentalità, pur di “funzionare”, si arriva a giustificare qualsiasi comportamento. Io da parte mio ho capito che non posso fare molto… È per questo, come ti dicevo, che per un lungo periodo ho mollato tutto, avevo perfino smesso di ascoltare rap.

Qual è stata poi la scintilla che ha riacceso la passione?

Mi era stato detto che un gruppo di ragazzi si trovavano a fare freestyle al parchetto di via Resia. Siccome era una cosa che facevamo noi proprio agli inizi mi sono detto “vado a vedere”. Mi sono trovato questi cinque ragazzi con il ghetto blaster proprio come ai vecchi tempi. Incitato da loro mi sono messo anch’io a fare freestyle, scarsissimo perché ero fuori allenamento, e così sono rientrato in questo mondo. Poi è nato anche un gruppo su Facebook: ci si scrive, ci diamo appuntamento per incontrarci al parchetto, radio, sacchetti di birre e si fa la serata. Io sono il più vecchio, l’età media è 22-23 anni. Ma veramente piglia bene.

Un po’ un ritorno alle origini…

Esatto, vedo questi ragazzi uniti proprio dallo spirito dello stare insieme. Ho letto l’altro giorno una dichiarazione del cantante dei Foo Fighters, Dave Grohl: “I talent show sono la rovina della musica, uno dovrebbe prendere una chitarra rotta, andare in una cantina e iniziare a suonare di merda. Poi chiedere a qualche amico se ha voglia di suonare di merda con lui. Si mettono a suonare di merda insieme e dopo un po’ diventano i Nirvana. Quello segnerà il momento più bello della loro vita”. Per quanto io non sappia suonare uno strumento e non sappia cantare, faccio solo rap, non posso che essere d’accordo. Le cose più terra terra sono quelle che ricordi di più, quelle che rimangono. Ho riniziato da lì.

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