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June 10, 2013

L’evasione mentale di Brendan Cass allo Studio d’Arte Raffaelli

Aaron Ceolan


Abbiamo presente le opere di William Turner, soprattutto degli anni dieci dell’Ottocento? Opere generalmente molto grandi, nelle quali la forza della natura la fa da padrona. Onde minacciose che sembrano voler inghiottire le piccole imbarcazioni che hanno osato sfidare il mare. Ciò che balza all’occhio, è indubbiamente la dinamicità della scena rappresentata, la vivacità degli elementi naturali che impongono rispetto e timore. Brendan Cass, artista di scuola Donald Baechler, si rifà a queste caratteristiche per creare a sua volta delle visioni romantiche mai dome, dove regna la velocità dell’atto pittorico.

Dal 6 giugno al 30 settembre si tiene allo Studio d’Arte Raffaelli di Trento, Spectral Views, personale di Brendan Cass. Il non ancora quarantenne originario del New Jersey fu allievo di Donald Baechler, grande esponente dell’arte contemporanea americana ed espose già da Raffaelli nel 2011 nella collettiva Spaghetti and Beachballs insieme ad altri artisti provenienti dalla scuola Baechler. Sicuramente meno pop del maestro, Cass crea delle visioni paesaggistiche, le quali colpiscono lo spettatore per via del colore, delle pennellate veloci e dei frammenti più o meno noti di scenari urbani.

Fa piacere, ritrovare al giorno d’oggi una mostra interamente pittorica, senza tecnologie avanzate, videomessaggi noiosi o effetti speciali vari. Nelle opere di Cass il pennello lascia evidenti tracce sulle tele, creando un vortice di colore che circonda le memorie dell’artista. Si presenta agli occhi di colui che osserva un dripping selvaggio su degli sfondi ben delineati, le gocce di colore ben visibili riescono però solo in parte a nascondere l’entità naturale che sta alla base della creazione panoramica.

Muovendo lo sguardo in modo veloce e frenetico all’interno della galleria, così come veloci e in continua mutazione appaiono le atmosfere riprodotte sulle opere, si percepiscono colori che vanno a creare un tutt’uno variopinto, degli arcobaleni in miniatura che colpiscono il nostro inconscio e fanno venire a galla ricordi sfuggevoli di posti forse visitati o adocchiati su riproduzioni di vario genere. Perché a un’attenta analisi, ciò che si presenta sulla tela sono paesaggi reali, città visitate, edifici già visti. Brendan Cass però non elabora i suoi dipinti, i suoi paesaggi di fronte ad essi, tenendoli ben in vista, ma si basa sui ricordi, su visioni veloci, magari apprese da cartoline, manifesti o calendari e ripropone queste  percezioni nei suoi lavori. Opera strettamente nel suo studio dove però viaggia con la mente, arrivando a San Pietroburgo, passando per Miami e la Norvegia. Nel testo critico, Marco Tomasini parla di una ripresa della natura in modo contemporaneo. Si ha la sensazione che ciò che stiamo ammirando, non sia altro che la creazione di un caos, dove però guardando più a fondo, si riesce a percepire un ordine preciso, nascosto solamente in superficie dall’azione frenetica della natura, dagli strati irregolari di colore.

È un mondo confuso quello di Brendan Cass, fatto di sfumature multicolor, di piani posti l’uno sopra l’altro, che vanno a creare delle griglie quasi tridimensionali, all’interno delle quali si nascondono esperienze vissute, storie pronte ad essere raccontate e ad evadere verso lo spettatore curioso. Si tratta di un’altalena di colori, un su e giù continuo tra le opere esposte, una quindicina in totale, fino ad arrivare a Akureyri, opera dominata da una tonalità viola molto intensa e profonda, in grado di sconvolgere la percezione dell’intera esposizione, e che sembra con la sua singolarità quasi chiudere il cerchio.

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