IFFI 2013: Bianco, nero o semplicemente cinema

Ieri era il primo giorno di programmazione ufficiale dei film in concorso all’IFFI. Tre le sale occupate dal Festival: Leokino 1 e 2 e il Cinematograph. A dare il via è “Lionel” di Mohammed Soudani, della categoria Shorts & Kids, seguito da “Noire ici, blanche là-bas” di Claude Haffner, della categoria Documentari. Molto movimento fuori dalle sale cinematografiche, dove i registi cercano di capire le emozioni del pubblico e condividono le proprie.
Mohammed è il primo ad esprimersi e, dopo aver fatto una breve introduzione al suo film, si dedica ai fotografi e ai giornalisti. È il sesto anno di presenza al Festival, ma torna quest’anno dopo un paio d’anni di pausa. Ha ritrovato gli amici di sempre, l’allegria, le belle persone e l’ambiente amichevole e cordiale che ha sempre apprezzato. Nessuna differenza rispetto agli anni precedenti, ma in parallelo all’entusiasmo ci sono anche degli aspetti negativi: crede che il festival è molto valido ma non ha lo spazio che merita; ci sono film interessanti e registi importanti e purtroppo è poco pubblicizzato sia a livello locale che mondiale. C’è un po’ di disorganizzazione generale, cosa che dispiace in quanto hanno degli ottimi spazi a disposizione e potrebbero valorizzare molto di più il tutto: ad esempio questa mattina è stato in una classe a parlare del suo film, ma avrebbe voluto parlare all’intera scuola, dando a tutti i ragazzi la possibilità di conoscere il suo prodotto. Il suo film, seppur inserito nella categoria per ragazzi, è un film per famiglie, profondo e ricco di contenuti: i protagonisti sono un bambino africano, uno europeo ed un leone; alla base c’è l’incontro tra il sud ed il nord del mondo, cosa alquanto difficile da realizzare. Il suo intento è quello di spiegare l’Africa a chi non la conosce e non ha la possibilità di farlo: il bambino africano diventa capo della sua tribù successivamente la morte del nonno, ma non lo saprà mai in quanto si è trasferito nell’altra parte del mondo. Questo per lui è il ritratto della difficile situazione in Africa, che in pochi conoscono ma in molti hanno la presunzione di conoscere.
In parallelo c’è Claude, deliziosa ragazza africana trasferita in Francia sin da piccola, dove ha completato i suoi studi da regista. La sua presentazione al film, affiancata da Evelin Stark, è molto breve e si concentra prevalentemente sul titolo: spiega che in inglese ha una personale traduzione, differente da quello letterale. Il suo titolo inglese è “Footprints of my other”. La motivazione di tale scelta è che la traduzione letterale non suonava armonicamente e ha passato molto tempo con un suo amico scrittore e poeta a cercare quella giusta, fino a trovare in 4 parole ciò che reputa un vero e proprio ritratto del senso del suo film. Per lei non è un film normale né un modo normale di svolgere il lavoro da regista; il suo documentario è un contenitore delle sue emozioni, della sua vita, della sua famiglia. Per girarlo è dovuta tornare in Congo dopo diversi anni d’assenza ed è stato difficile vedere la cruda realtà del posto e della vita dei suoi conterranei e soprattutto della sua famiglia. Dall’esterno è inimmaginabile ciò che accade e le condizioni di vita dei congolesi, cosa che ha tentato di spiegare con il film. La sua difficoltà non è limitata al periodo passato a lavorare su di esso, è costante e persino oggi, nel rivedere le immagini iniziali della sua opera, vorrebbe piangere.
Tante le emozioni, dei registi, degli spettatori e persino degli organizzatori, ognuno con motivazioni proprie per commuoversi e condividere stupende sensazioni con uomini e donne provenienti da ogni angolo del globo.