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May 24, 2013

“La grande bellezza”, Sorrentino è tornato

Andrea Beggio

Ore 20.40, a “passo svelto” entro in sala 6. La sala è piena di ragazzi scalpitanti, l’aria è calda, la concentrazione di anidride carbonica è sopra la media e l’odore di tacos misto a popcorn inizia a fare effetto quando, improvvisamente, inizia a prendere forma in me una strana sensazione di straniamento: 200 ragazzi a vedere “La grande bellezza” di Sorrentino?  …qualcosa non quadra… Fila 6 Sala 1 recita il biglietto! A rotta di collo entro nella piccola e semivuota sala 1. Ok, adesso tutto torna, in sala 6 c’è “Fast and Furious” che è un po’ come la carne umana per gli zombie o la cacca fumante per le mosche.

A dispetto dei meccanismi del mercato cinematografico, sia il “plasticoso” e variopinto Cineplexx (nel quale mi trovo) che il sofisticato e raffinato Filmclub si sono accaparrati quest’ultima fatica di Sorrentino anche se il grosso del pubblico ragiona, ahimè, come le mosche di cui sopra. Con “la grande bellezza” Sorrentino torna, dopo la disastrosa impresa internazionale, a fare quello che gli riesce meglio: raccontare le grottesche miserie dell’Italia contemporanea con uno sguardo surreale e poetico.

“La grande bellezza” è una storia senza storia, senza picchi drammaturgici, la sensazione è quella di un volo lento e rasoterra su un paesaggio che unisce il sublime e l’orrendo caricaturale in un unico organismo.  Sorrentino realizza ciò che durante il film viene più volte rimarcato dal protagonista Jap Gambardella (uno spettacolare Tony Servillo), che, citando Flaubert afferma: “Ciò che mi sembra bello, ciò che vorrei fare, è un libro sul nulla, un libro privo di legami esteriori, che si regga da solo grazie all’intima forza dello stile”.  Il film è una sorta di lungo viaggio col pilota automatico inserito, un’esperienza di superficie ma che scava profondi solchi nelle coscienze (un po’ come le strutture di Arvo Pärt che più volte “entrano in scena”) .

L’apparato umano di cui scrive Jap è quello rappresentato sullo schermo, i vari personaggi sembrano ingranaggi inconsapevoli di questo “tutto” vacuo e lo stesso protagonista, l’unico con una profonda conoscenza di ciò che lo circonda, ne rappresenta il cuore – sempre meno intensamente – pulsante. Effimeri, sparuti sprazzi di incostante bellezza. Un film da vedere fino all’ultimo fotogramma dei titoli di coda.

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