Il grande Gatsby. Il tramonto del sogno americano?

20.05.2013
Il grande Gatsby. Il tramonto del sogno americano?

Il grande Gatsby. Il tramonto del sogno americano?

20.05.2013

Dal caleidoscopico baluginare di luci ed eccessi emerge lentamente, avvolta nel mistero, la figura di J. Gatsby, apparso quasi dal nulla a New York con la sua sfarzosa villa sulla baia, dove ogni fine settimana, si celebrano – quasi fossero rituali collettivi – indimenticabili, fastose e ricercatissime feste. I ruggenti anni Venti ed il sogno americano nella sua versione più luccicante ed utopica, anche se prossimo al declino.

Tutto il film si regge sulla possente e magistrale interpretazione che Leonardo Di Caprio offre dell’incredibile Gatsby, inesorabile nel rincorrere il proprio sogno incorruttibile di un amore perfetto con la bella Daisy; egli incarna la nuda ed innocente speranza in un mondo migliore, in un sogno fatto realtà con le proprie mani ed il proprio (non certo sempre onesto) lavoro, ed è questo sogno che si infrange proprio come un fragile specchio.

Si esce dalla sala con la sensazione di avere veramente assistito all’onirico viaggio a ritroso nella vita di Gatsby, compiuto dalla voce narrante, Nick Carraway, unico vero amico che Gatsby alla fine avrà davvero incontrato. Le auto sono troppo veloci, gli abiti e la musica troppo scintillanti e concitate per quell’epoca, ma è l’enfasi del racconto, il ricordo di un passato reso decisamente più vivido dalla memoria stessa del narratore, che a sua volta ha perso qualcosa di sé tra le ricche ville sulla baia ed il deserto di ceneri dove vivono gli operai che lavorano il carbone.

Rispetto al romanzo, non sono troppo convincenti alcuni personaggi, tra cui a tratti la stessa Daisy, mentre notevole è la colonna sonora, contemporanea e non dell’epoca, che s’intesse in modo aggraziato sulle scene che accompagna.
Viene sapientemente e con una certa ironia citato il film “Viale del tramonto” di Billy Wilder, altra pietra miliare del cinema americano, dove si mette in scena ancora una volta la disillusione che il passato non torna, anche se lo si rincorre o ci si schianta nel tentativo, mentre il futuro si ritira anno dopo anno, passo dopo passo, davanti ai piedi dei protagonisti, che rimangono inchiodati, come Daisy, ai loro illusori castelli di carta.

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