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May 15, 2013
La verità delle cose #01. Sarto Miguel
Gabriele Crosato
Non ho mai sopportato gli ombrelli, quando ero giovane mi piaceva bagnarmi, nei brevi percorsi riempirmi d’acqua come una rana mi faceva sentire cittadino del mondo. Un po’ maledetto ed un po’ menefreghista. Ora li uso per una semplice questione di comodità e di età. Ma ci sono giorni come oggi cui me ne dimentico ed arrivo bagnato nell’anima li dove volevo arrivare da anni. Non c’è campanello ma un sottile filo di lana penzolante. Lo tiro fiducioso e mi si rompe in mano mentre la porta si apre.
Mi trovo a Pedesina vicino a Sondrio e davanti non ho nessuno fino a quando abbasso leggermente lo sguardo e scopro davanti un uomo piccolo piccolo. Capelli bianchi ricci, mi sorride. Ha gli occhiali appesi al collo ed una camicia a scacchi di flanella. Mi da la mano. Dice “piacere Sarto Miguel”. Io la stringo dicendo il mio nome e mi accorgo per l’ennesima volta di come ogni cosa sia destinata a cadere sempre al suo posto.
Ci sediamo e mi racconta di come abbia scelto questa città e del perché si sia ritirato dalla vita pubblica. Mi parla della proporzione umana, di come le cose piccole debbano necessariamente stare in luoghi piccoli e per farlo mi prende la mano e la mette sul suo viso. Posso prendergli quasi tutta la testa.
Questo piccolo uomo è colui che ha disegnato la sedia invertibile, le forbici con la punta arrotondata ed il metro retrattile. E’ uno dei 10 maggior esponenti del “design ciclico” mondiale e mi sta sorridendo mentre con la mano gli fascio l’intero capo.
Mi racconta di come il suo tempo sia finito e di come accorgendosene la vita sia molto più chiara. Mettendo gli occhiali mi spiega come l’uomo sia destinato, in forme e modi al passo con i tempi che vive, a ripercorrere esattamente gli errori dei suoi predecessori. Mi parla di dittatori, carestie, guerre e di illuminazione. Di esseri umani in grado di cambiare il corso della storia, di accorgersi del proprio genio ed avere la forza di fermarsi prima di ripetere sempre se stessi fino all’infinito.
Io rimango semplicemente in silenzio chiuso nel terrore di ripetermi. Di essere semplicemente una costante e giornaliera copia di ciò che mi viene meglio. Poi si alza, mi sorride ancora ed accompagna alla porta. Gli dico che volevo parlare di design e mi risponde che lui non ha inventato niente. È solo un ciclo. Un giorno toccherà a qualcun altro. Mi mette un paio di forbici con la punta tonda in tasca, raccoglie il filo di lana rosso da terra ed apre la porta. Ha smesso di piovere e come una ruota mi accorgo che sapere che prima o poi ripioverà mi da un certa, umana, serenità.
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