Food

May 15, 2013

People I Know. Peter Sölva, giovane imprenditore tra i fornelli

Anna Quinz
Una vita tra i fornelli, una personalità eclettica che non si accontenta mai e va sempre in cerca del meglio. Uno spirito imprenditoriale forte, che si mescola in una sapiente ricetta, con la coscienza sociale e lo spirito critico. Questo è Peter Sölva.

Quando è nato, 32 anni fa, i suoi genitori avevano un hotel-ristorante a Vilpiano. Peter Sölva, dunque, è nato tra fornelli e padelle e cucinare per lui è sempre stata la cosa più naturale del mondo. Dopo le esperienze familiari, ha iniziato giovanissimo a lavorare come cuoco in diversi importanti ristoranti dell’Alto Adige. Ma Peter – come dice lui stesso – è un eclettico, e così a un certo punto, ha deciso di partire, lasciare un attimo in pausa l’impegno in cucina, per capire se veramente quella era la sua strada. In Svizzera, dove ha vissuto per 2 anni, ha composto e suonato musica elettronica e fatto tante altre cose, ma per la prima volta – racconta – si è sentito straniero. Tornato in Alto Adige, finalmente convinto di quale fosse il suo destino, Peter si è buttato a capofitto nel suo progetto imprenditoriale: da un lato due siti di e-commerce (www.ristel.eu e www.domestic24.com), dove vende online attrezzature da cucina, dall’altra il suo servizio di catering (www.happystudio.it), dove può creare i suoi piatti e i suoi manicaretti così come piace a lui. Uomo determinato e pieno di voglia di fare, oggi Peter passa la vita in cucina o attorno a un tavolo per mangiare, ma è anche capace di guardarsi attorno, di coltivare i suoi tanti interessi e di nutrire non solo il suo stomaco, ma anche la sua testa. Perché non di solo pane vive l’uomo, e Peter, cuoco per professione e per passione, lo sa molto bene.

Peter, come racconteresti la tua cucina? E quanto è influenzata dall’essere qui e non altrove?

Direi che la mia è una cucina alpino-mediterranea, un misto tra i sapori del sud e quelli della nostra terra. Non uso prodotti da allevamento di massa o da agricoltura industriale, ma solo prodotti freschi di stagione, naturali, regionali e possibilmente “fairtrade”. Essere in Alto Adige è importante. Certo l’innovazione in cucina non nasce qui, ma abbiamo radici e profonde nel gusto e saperi tradizionali, e quindi possiamo prendere le innovazioni da fuori e adattarle alla cucina regionale. Non si può ovviamente prendere tutto, le persone qui sono molto conservatrici, non mangiano qualsiasi cosa, ma c’è una buona cultura del cibo e un buon terreno su cui lavorare.  

Nel privato, quale rapporto con cibo e cucina?

Stare insieme agli amici e alla famiglia, mangiando, è un momento fondamentale della vita, mia e di ciascun individuo. Cucino spesso, naturalmente, ma amo anche i piatti della mamma e della mia compagna, che è molto brava. Il tavolo, insomma, è il centro della mia esistenza. Penso che negli ultimi tempi tante persone abbiano perso questa cultura, tutti sono molto stressati e tendono a mangiare velocemente senza attenzione. Succede anche a me a volte, a pranzo vorrei mangiare meglio ma non c’è tempo, allora la sera, questo tempo cerco di riprenderlo e di mangiare come si deve, godendomi il momento “sociale” della cena.


Cosa significa per te essere giovane imprenditore a Bolzano?

In questi 5 anni ci sono stati momenti molto difficili, tante sconfitte, ma anche tante vittorie. È così che si matura, andando su e giù. Ed è molto interessante, mi è piaciuto questo processo. Fa parte dello spirito imprenditoriale, credo, e il fatto di essere autonomi, di decidere per sé, è l’unica soluzione possibile per me. Poi mi piace il fatto che lavorino con me persone straniere (una dalla Romania, una dal Bangladesh). Quando ero in Svizzera mi sono sentito straniero anche io, e ho apprezzato molto le persone che mi hanno aiutato. Così ho deciso di fare altrettanto qui con chi arriva da altrove e ha voglia di fare. In Alto Adige però questa disponibilità ad assumere persone dall’estero è molto bassa. Se succede, è solo una questione di prezzo e questo è sbagliato, bisogna assumere per le capacità non per i costi. Mettere il timbro su una persona solo perche straniera non è giusto. In questo qui c’è molto da imparare da altri paesi. Io nel mio piccolo, cerco di fare del mio meglio.

Hai un occhio molto attento e critico sulla tua terra. Oltre a quel che hai appena raccontato, che rapporto hai con l’Alto Adige?

È un luogo bellissimo, qui ci sono le montagne e le persone che amo. Il livello di vita è alto, siamo organizzati bene e le cose funzionano, però a volte le persone sono un po’ chiuse e attivare processi innovativi non è sempre facile né possibile. Anche se l’innovazione è una bandiera dell’Alto Adige. Ma forse, appunto, è solo una bandiera. L’innovazione qui si basa su turismo e marketing, ci sono alcune aziende “avanti”, ma il resto è indietro, come la scuola, l’educazione, la cultura. Cose dove si può ancora fare molto. E poi manca l’interesse delle persone, che si lamentano ma non fanno niente. E questo mi delude un po’.

Domanda d’obbligo: il tuo piatto preferito?

Tagliatelle al tartufo. Un gusto che mi piace moltissimo. Da bimbo mangiavo il tartufo con le mani e lasciavo da parte le tagliatelle. Di base però mangio tutto, anche se ho un “problema” con gli asparagi: sono cresciuto a Vilpiano, lì mele e asparagi sono pure troppi, dopo un po’ non se ne può proprio più. 

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