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May 2, 2013

Visto al Trento Film Festival. Last Nomads in Anatolia: Sarıkeçililer

Margherita Bettoni

Narra la leggenda che una grande siccità aveva portato gli abitanti di un piccolo villaggio dell’Anatolia sull’orlo della disperazione.

Assetati e stanchi gli uomini scorgevano tutti i giorni da lontano una capra dal manto giallo dalle cui labbra pendevano delle goccioline d’acqua. L’animale portava al collo un piccolo campanello.

Seguendone il tintinnio gli abitanti del villaggio trovarono un giorno la capra intenta a bere da una fonte nascosta in una fenditura della montagna.

L’acqua bastò per abbeverare gli abitanti di sette villaggi e riportò la vita in quella landa desolata dell’Anatolia. Grati a Dio per averli aiutati, gli abitanti sacrificarono l’animale che gli aveva condotti alla salvezza e scelsero in suo onore di chiamarsi “Sarıkeçililer”, i pastori della capra gialla.

In una Trento che in occasione del primo maggio appare quasi disabitata colpisce trovare una sala piena in occasione della proiezione di “Last Nomads in Anatolia: Sarıkeçililer”.

Il documentario, che racconta la storia dell’ultimo popolo nomade rimasto in Turchia, ha i ritmi lenti delle giornate dei pastori che vivono spostandosi tra la pianura e le montagne.

A dominare lo schermo sono primi piani di capre e di cammelli, compagni di viaggio del popolo sarıkeçililer. Le immagini si alternano ai racconti di uomini e donne, ultimi portatori di una cultura antica come la razza umana.

Colpisce molto il forte legame che unisce i pastori ai propri animali, testimonianza di una convivenza ancestrale che sopravvive tra le montagne turche. Uomini, capre e cammelli vivono all’unisono e hanno imparato a conoscersi nei secoli: se una capra scende dalle rocce al contrario è arrivato l’inverno, se un cammello si siede accucciandosi sulle zampe dietro c’è da prepararsi ai primi freddi.

Il ritmo lento del film non disturba lo spettatore che si sente subito osservatore privilegiato di una cultura antica che vive seguendo i tempi della natura.

I paesaggi brulli dell’Anatolia si intrecciano a piccoli camei che tratteggiano la vita del popolo  sarıkeçililer: dalla storia dell’anziano pastore, innamoratosi della propria donna per via della sua voce a quella delle donne che portano il cibo solo agli uomini che hanno lavorato abbastanza.

La vita di questo popolo nomade è fatta di stenti e di lavoro, di attese e di paure tuttavia rappresenta un esempio di convivenza pacifica di una comunità che vive di reciproco aiuto in sintonia con la natura.

Guardando le scene alternarsi sul grande schermo viene subito voglia di mettere in uno zaino il minimo indispensabile e di aggregarsi alla transumanza dei pastori della capra gialla, di imparare a rallegrarsi della nascita di un piccolo agnello, di passare le serate attorno ad un fuoco raccontandosi storie di secoli passati.

A documentario finito nella sala 1 del cinema Modena scatta un applauso, omaggio dovuto alla lenta, meditativa testimonianza offerta al pubblico dal regista Yüksel Aksu.

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There are 2 comments for this article.
  • la-sua-risposta · 

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