Culture + Arts > Performing Arts

April 26, 2013

Behind the scenes “Forse tornerai dall’estero” #02: il regista Leo Muscato

Anna Quinz

Prima di tutto c’è il testo. La storia che l’autore di storie vuole raccontare. Ma non basta avere un buon testo per le mani per far sì che la “magia teatrale” si compia. Tra il testo e la messa in scena passano un sacco di cose, passano ore di lavoro e notti insonni, decine di caffè, litri d’acqua e una certa quantità di parole e di sudore. “Deux ex machina” di questo processo è il regista, che prende il testo, lo consegna nelle mani (e nei corpi) degli attori e fa si che tutto fili dalla parola scritta alla vita “vera-non vera” sul palcoscenico.

Dell’autore di “Forse tornerai dall’estero”, Andrea Montali, abbiamo già carpito qualche segreto dietro le quinte. Ora è il turno proprio del regista, Leo Muscato, ottimo professionista e uomo di grande sensibilità, che da qualche settimana insieme al suo gruppo di lavoro sta “compiendo il miracolo”.

L’ho incontrato una soleggiata mattina in un caffè del centro e ci siamo fatti una lunga chiacchierata, molto piacevole e stimolante come – sempre più mi accorgo – le chiacchierate con i teatranti. Ecco cosa mi ha raccontato.

Leo, quali le fasi per passare dal testo di Andrea alla data della prima, quando si aprirà il sipario e lo spettacolo andrà in scena?

Per questo spettacolo ho adottato un processo di sviluppo completamente nuovo rispetto a quello che uso di solito. Quando siamo arrivati qui, abbiamo deciso di fare un lavoro profondo sul testo. Era chiaro e preciso il clima che l’autore voleva raccontare, ma la forma aveva ancora bisogno di una ristrutturazione, come anche i dialoghi. Così in accordo totale con Andrea abbiamo fatto una settimana di lavoro molto esaltante, che è stata forse la parte più interessante. Insieme abbiamo letto il testo e fatto dei ragionamenti sopra, il giorno dopo, scena per scena, gli attori hanno iniziato a improvvisare. Tutto veniva registrato e poi messo appunto riascoltando, fino alla terza-quarta improvvisazione, quando abbiamo capito cosa quella scena poteva raccontare dal punto di vista drammaturgico. È stato un processo di riscrittura notturna. Andrea fino alle 4 del mattino sbobinava, io alle 5 mettevo la sveglia e dalle 5 fino a mezzogiorno scrivevo la scena, davo una struttura, poi nel pomeriggio la provavamo. Andrea ha visto crescere e cambiare, attraverso il nostro lavoro l’idea forte, chiara e precisa che aveva in mente, e ora testo è diventato un fatto.

Sarà stata una settimana durissima, priva di sonno e riposo… poi proseguire sarà stato faticoso.

È stato semplice, in fondo, in una settimana il testo era riscritto e di fatto, essendo nato in improvvisazione, gli attori lo possedevano già tutto e non è stato complesso poi montarlo o metterlo in piedi in teatro.  Questa qualità di concentrazione, attenzione e sviluppo di creazione collettiva ha portato il lavoro ad un’immediatezza preziosa.

Cosa significa per te, regista, portare in scena un lavoro di un autore giovane come Andrea, che è alla sua “prima volta”? è più difficile, registicamente parlando?

In realtà questo è il modo in cui sono cresciuto. Vengo da anni di insegnamento alla scuola di scrittura Holden, e ho portato al debutto una quindicina di autori. È la cosa che mi viene più semplice e immediata. Forse perché non perdo mai di vista due aspetti importanti. Uno, che bisogna accompagnare al debutto l’autore, essere presenti, trovando il modo di valorizzare quello che ha in mente. Due, che serve ricordarsi che c’è uno spettacolo da consegnare – come in questo caso – a un teatro che te l’ha commissionato e a un pubblico pagante che viene a vederlo.

3Allora è proprio per questa tua esperienza con i giovani, sei stato scelto da Bernardi per questo progetto?

Non saprei. So però che quando Marco mi ha proposto questo lavoro, mi ha conquistato subito il desiderio e la volontà di farlo, perché si trattava di accompagnare ancora una volta un autore al debutto, ed è davvero una cosa che mi piace molto. Non è per metterci una firma, ma perché per un regista spesso il processo creativo è più importante del risultato finale.

Il pubblico bolzanino, tra cui anche io, è molto curioso di vedere come “il personaggio” Bolzano entrerà nello spettacolo. Fa sempre un po’ effetto – ma porta anche ad essere più critici – vedere in scena, o al cinema, luoghi e riferimenti che appartengono al proprio quotidiano. Questo a te, che non sei un “locale”, ha creato qualche difficoltà qualche timore in più rispetto al mettere in scena uno spettacolo ambientato a Bolzano, in un teatro di Novara, ad esempio?

Di fatto nella realtà non è totalmente vero che – da testo di Andrea – la città di Bolzano è protagonista. Sicuramente è vero però che Andrea si è ispirato a persone di Bolzano che conosceva bene e io ho pure insistito per aggiungere nel testo nomi di luoghi e riferimenti riconoscibili. Da parte mia, in questo periodo, ho studiato Bolzano e i bolzanini. Ma poi in fondo il testo non è ascrivibile in quelli che io chiamo i registri interpretativi del drammatico. Mi spiego. “Forse tornerai dall’estero” non è una fotocopia, né una fotografia di una situazione naturalistica di una città, ma piuttosto una metafora. Il bar della scena, ad esempio, è sempre vuoto, ne succede nulla né viene nessuno, se non tre clienti un po’ “storditi” con le loro storie alle spalle. Storie che non vengono raccontate ma che si evincono nella finzione drammaturgica. Storie complesse, storie di solitudini e desolazioni che si incontrano in un bar di periferia. È stato subito chiaro che per cercare di restituire l’idea ultima di Andrea, bisognava astrarsi dal naturalismo spicciolo. Lo spazio scenico a dà quasi l’impressione di essere in un mondo carveriano, o ancora meglio hopperiano. Scenograficamente quell’apparente naturalismo che poi è iper-realismo, un vero più vero tanto da essere finto, è stata la cifra estetica che abbiamo privilegiato per dare a questo spettacolo una dimensione più onirica.

Arrivato a questo punto, a pochi giorni dal debutto, cosa ti aspetti da “Forse tornerai dall’estero”?

Credo di aver portato a casa uno spettacolo godibile, dove si sorride, anche se c’è ben poco da ridere. È uno spettacolo molto forte, perché le realtà raccontate sono forti. E anche le cose raccontate sotto traccia, non sono poi a ben guardare tematiche “di Bolzano” ma del mondo che stiamo vivendo ora.

Bilancio del lavoro fatto fino a questo punto?

Calcola che qui sono riuscito a mettere insieme un gruppo di lavoro eccellente, gli attori sono uno più bravo dell’altro, sono persone con cui si ha veramente il piacere di stare insieme. Mi piace circondarmi sempre di attori-registi, attori-pensanti, attori-creatori e non attori-esecutori che stanno lì a compiacere una richiesta del regista.

Credo che il talento più difficile da sviluppare in teatro sia quello di dimenticare l’indicazione appena data. Tu hai in mente una cosa, hai chiaro magari cosa vuoi raccontare, ma come raccontarla cambia di volta in volta. Come regista devi chiaramente dare delle indicazioni ma la cosa più complessa è dimenticarle e capire se davvero quella cosa contiene tutti i segni necessari perché allo spettatore arrivi. Spesso in teatro si è portati a dimenticare le persone più importanti, quelle che il teatro lo fanno. E non sono solo gli attori, ma anche gli spettatori. Prendere per mano lo spettatore e farlo muovere dentro una storia o dentro un’emozione, una sensazione è un atto di responsabilità molto forte, perché come dicevo prima, il pubblico ti crede. E credo che in questo progetto stiamo riuscendo a centrare questo obiettivo.

Andrea come persona, come giornalista e romanziere, è sempre stato molto attento alle tematiche – e problematiche – giovanili. Tu sei abituato a lavorare coi giovani. Lo spettacolo parla di giovani. Però prima parlavi di storie desolanti, di solitudini, di amarezze. Ma alla fine, c’è una speranza, un messaggio positivo per i giovani (e non solo)?

Sì c’è, lo abbiamo aggiunto 4 giorni fa. Nello spettacolo viene raccontato un mondo devastato, ma era talmente devastante, che abbiamo aggiunto un elemento consolatorio che ci auguriamo porti allo spettatore una possibilità di riflessione in più, anche perché racconta della finzione che c’è dietro a uno spettacolo teatrale.

Perché, ovviamente, in teatro o al cinema, ogni volta che ci mettiamo in condizione di raccontare una storia, andiamo dal pubblico a dire “la vita è così”. E questa è una responsabilità molto grossa, perché pubblico il sta ad un patto “teatrale” e crede a quello che dici.

Quel che viene raccontato in questo testo è fin troppo amaro e allora abbiamo deciso di dare una possibilità di respiro diverso, che dica allo spettatore “non credermi fino in fondo”. Il teatro in fondo è una sintesi. Il lavoro più complesso nella fase di riscrittura è stato il tentativo di far accadere qualcosa in palco che non fosse solo la quotidianità perché quel che succede veramente non è interessante a teatro (e questa è una delle cose più difficili da far capire a un autore). Interessante è appunto la sintesi, la parvenza di verosimiglianza.

Consigli per altri giovani aspiranti “teatranti”?

C’è una cosa che ripeto spesso agli attori o ancora più spesso ai ragazzi in fase di formazione che incontro nei laboratori che tengo. Nel fare questo lavoro ci sono 3 cose di cui non puoi non tenere conto continuamente. Una è il talento. Che è una cosa nominabile, quantificabile. E i talenti sono tanti, per fortuna. Un’altra cosa importante è la conoscenza, lo studio. La conoscenza alimenta il talento e ti mette in condizione di non farti gabbare. La terza cosa è il talento di sapere valorizzare i propri talenti. Che non significa solo sapersi vendere o saper essere presente, ma anche banalmente riuscire a far diventare determinante e necessaria la tua presenza. Queste 3 cose si alimentano una con l’altra e quando fai uno spettacolo devi tenerne conto. Puoi anche utilizzare molto mestiere, però se perdi l’autenticità che ti ha portato a quella strada a quel percorso particolare, allora rischi di vanificare il tuo lavoro, e quello degli altri.

Foto di Fabrizio Boldrin

“Forse tornerai dall’estero” di Andrea Montali: dal 2 al 19 maggio, Teatro Stabile di Bolzano

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.