Music

April 17, 2013

Morose @ The Hub, con “l’ostinazione dei soldati fantasma giapponesi”. L’intervista

Marco Bassetti

Con un titolo che è tutto un programma, ​ “La Vedova D’Un Uomo Vivo”​ (2009), i Morose hanno fatto il grande salto nella lingua italiana. Personalmente, una cosa che apprezzo sempre molto: fare musica in italiano non è una passeggiata e chi ci prova, nel mio giudizio, parte già con due buoni punti di vantaggio. Al di là di questo dettaglio di non poco conto, arrivati al quarto album, l’approccio della band spezzina rimane sostanzialmente immutato: folk onirico di matrice indie / sadcore, rallentato fino a diventare immobile, inesorabile, insostenibile, immerso in un’atmosfera sospesa e straziante. Malinconia estatica, oscurità metafisica in cui indugiare senza urgenza. In attesa del concerto a Rovereto (The Hub, 19 aprile, ore 21), abbiamo scambiato due parole con Davide Landini, voce e songwriter dei Morose.

Il vostro ultimo lavoro “La Vedova D’un Uomo Vivo”​ stupisce ancora una volta, oltre che per le atmosfere cupe, per un’incidere lento, inesorabilmente dilatato. In un mondo che corre e si affanna, la lentezza estrema della vostra proposta musicale assume quasi un significato politico, oltre che poetico. Cosa ne pensi?

Mi trovo d’accordo, se pensiamo all’essere se stessi come atto radicalmente politico. Perseguire un’estetica personale, anche se in qualche modo anacronistica, a discapito del consenso sociale, ha, in questo senso, una valenza politica. Sebbene, più che di una scelta, si tratti di una necessità. Personalmente, non mi ritengo un musicista: ho una padronanza tecnica assai limitata, per cui non posso far altro che affidarmi alla mia ispirazione. È  quindi il fatto stesso di continuare a fare musica che ha in sé una qualche connotazione politica, anche se ricorda sempre più l’ostinazione dei soldati fantasma giapponesi che continuarono a combattere per anni dopo la fine della guerra.

Dopo tre album il lingua inglese, avete deciso di fare il grande passo. Da dove è nata l’esigenza di comunicare nella tua lingua madre?

Si è trattato di qualcosa di inaspettato anche per me: la maggior parte dei miei ascolti è stata, ed è tuttora, in lingua inglese, per cui quando ho iniziato a scrivere era per me naturale farlo utilizzando quell’idioma. Considero il nostro percorso musicale come una progressiva emancipazione dai modelli di riferimento. Le prime cose che abbiamo fatto sono facilmente collocabili nel contesto indie-rock tradizionale, poi con il passare del tempo, abbandonando anche la formazione standard chitarra-basso-batteria, abbiamo mano a mano sviluppato un’estetica più personale. In quest’ottica il passaggio all’italiano assume il significato di una ulteriore rottura rispetto ad un manierismo indie che prevede il cantato in inglese ad ogni latitudine. Solo ora mi rendo conto delle restrizioni imposte dall’utilizzo di una lingua non mia, che probabilmente sentivo, pur non essendone consapevole, come sempre più opprimenti e che mi hanno portato al passaggio all’italiano.

Con il cantato in italiano, oltre ai riferimenti della scena indie-folk d’oltreoceano, si fa sentire forte l’influenza di certa musica d’autore italiana, il De Andrè più oscuro e desolato in “Cantimplora” ad esempio. Rientra nei tuoi ascolti?

Certamente, la prima canzone di cui ho memoria è “La guerra di Piero”. A casa mia si è sempre ascoltato De Andrè e mi portarono a vederlo quando venne qui a Sarzana, avevo due anni. Penso sia inevitabile che mi abbia influenzato, anche se nella formazione della mia sensibilità musicale mi sono rivolto molto di più all’estero: Leonard Cohen, ad esempio, per citare uno che con De Andrè ha molte affinità. Tuttora ascolto pochissima musica italiana e senz’altro De Andrè e Piero Ciampi sono gli autori che preferisco.

http://www.youtube.com/watch?v=FBqxj_Ol8C4

Angoscia, desolazione, finitezza, fragilità, l’insensatezza di un “perchè che non c’è”, smarrimento… dal punto di vista filosofico/letterario si può trovare una vicinanza ai temi dell’Esistenzialismo. Rientra nel tuo background?

No, se intendiamo l’Esistenzialismo in senso stretto, soprattutto per quanto riguarda la sua articolazione filosofica. Ho letto Camus e molti altri autori che, in ambito letterario, ne hanno anticipato o condiviso alcune tematiche, ma non in modo sistematico. Piuttosto è il Surrealismo, ed in particolare l’opera di Andrè Breton, la corrente artistica che mi ha maggiormente influenzato. La scoperta dei Manifesti del Surrealismo nella biblioteca del liceo è stato senza dubbio un passaggio fondamentale per il mio modo di concepire l’espressione artistica.

Dove si può ricercare la salvezza?

​Credo che il percorso verso la salvezza sia di natura profondamente personale. Per quanto mi riguarda sono portato a pensarlo in termini junghiani, come processo di Individuazione: lo sviluppo della persona come essere distinto dalla generalità, dalla psicologia collettiva. È in questo che vedo il senso dell’esistenza e quindi la nostra “salvezza”.

Credi nel valore salvifico/terapeutico dell’arte?

Nelle tribù di nativi dell’America del Nord, per poter entrare a far parte della comunità degli adulti, il ragazzo si isola dal resto del villaggio, in cerca della sua visione, della rivelazione del suo spirito tutelare. L’introduzione alla vita religiosa è quindi il risultato di un’esperienza personale e spesso il novizio, durante questo periodo di isolamento ascetico, impara una canzone, la sua canzone, grazie alla quale resterà tutta la vita legato al suo spirito: qui il valore originariamente salvifico dell’arte è evidente, ma ci sono moltissimi altri esempi. Basti pensare alla nascita del teatro nell’antica Grecia e ad i suoi probabili legami con i riti celebrati durante i Misteri Eleusini. In termini più mondani, il valore terapeutico dell’arte credo sia indubbio ed il progressivo slittamento dell’arte a vuoto intrattenimento, se non ne costituisce la causa stessa, è quanto meno esemplificativo dell’immiserimento della nostra società.

​ “La Vedova D’un Uomo Vivo”​ è del 2009, avete nel frattempo nuovo materiale da proporre nei concerti?

Sì, dal vivo presentiamo materiale nuovo: dopo l’uscita de “La vedova…” ho passato un po’ di tempo all’estero, dedicandomi al progetto americano Dead Bird Flower, quindi, come Morose, siamo stati fermi quasi un paio di anni. Da poco è uscito il nostro ultimo lavoro, un cd split con i Campofame per l’etichetta Under My Bed. È parte di una serie intitolata “Cinque pezzi facili”, che prevede 5 uscite, ognuna con due gruppi che contribuiscono, appunto, con 5 pezzi ciascuno. Abbiamo già iniziato a mettere da parte materiale per un nuovo album, ma al momento sembra non ci sia nessuno disposto a produrlo. Per cui è in vista, ma solo a patto di chiudere gli occhi.

www.facebook.com/events/176482332506818/

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