La gara della bellezza. L’avventura esistenziale dell’arte di Marcello Jori

16.04.2013
La gara della bellezza. L’avventura esistenziale dell’arte di Marcello Jori

Alle volte c’è bisogno di una guida, di qualcuno che ti aiuti a scoprire o riscoprire le cose. Alle volte c’è bisogno di un Marcello Jori e della sua interpretazione poetica della realtà.

L’altra sera al Museion, all’inaugurazione della mostra “La gara della bellezza” mi è capitato di riscoprire quel grande protagonista della scena artistica ottocentesca che fu Georges Seurat – confesso di essere stata sedotta dal pointillisme o puntinismo del pittore anch’io, in passato, e di essermi trafficosamente cimentata, con i miei pennelli smozzicati, in tentativi pittorici che ne volevano imitare l’arte – e, al tempo stesso, la magia della neve. La scoperta è stata magica, ancor di più, perché dietro a tutto c’era Marcello Jori e il suo tentativo, riuscitissimo, di realizzare una competizione, una gara di bellezza tra l’uno e l’altra. Allontanandomi e avvicinandomi, facendo dei miei occhi una lente d’ingrandimento, ho osservato l’insieme e il dettaglio; ho ascoltato ciò che il dipinto mi comunicava in base alla mia distanza o vicinanza da esso. E ho pensato a come Jori l’aveva realizzato… “Ho concretizzato un sogno” mi ha detto “La grande Jatte di Seurat rappresenta per me un simbolo: da esso, infatti, prende vita l’arte concettuale nel mondo. I punti che compongono l’opera possono essere visti come i precursori dei pixel”. È vero! Non ci avevo mai pensato! Illuminata da questa sua affermazione, ascolto come Marcello ha creato la sua arte, ha riletto l’opera di Seurat passando attraverso un’avventura esistenziale: “Ho realizzato una stampa fotografica a grandezza naturale – 3 metri per 2 – del quadro conservato a Chicago e sono andato a Parigi, nel punto esatto dove il pittore aveva rappresentato la scena del dipinto. Ho atteso la neve, ho atteso di poter registrare quel momento in cui si sarebbe creata una gara tra la bellezza dell’opera di Seurat e la natura, tra il pointillisme pittorico e il pointillisme della neve”. In tutto ci sono voluti due anni, ma Marcello è riuscito nel suo intento e quella che oggi possiamo ammirare è una narrazione nuova che ci racconta un’arte poeticamente contestualizzata nel mondo. All’inaugurazione Elena Re con il suo “L’isola che non c’è”, testo scritto appositamente per commentare i dipinti di Jori, ha ben espresso l’anima della sua opera: “Un luogo astratto, ma più reale della realtà: poetico, avventuroso, di scoperta di un’isola felice. La sua rappresentazione è tanto potente che a forza di guardare il quadro l’isola inizia a somigliare al quadro e non viceversa: l’Ile de Seurat. Jori porta l’avventura nell’arte”.

1Marcello Jori crede nella necessità e nell’utilità dell’arte e di essa se ne serve per creare esistenza, per cambiare la vita a chi ne fruisce. Nella mostra parallela di Tirolo “Il Castello della Città Meravigliosa”, inaugurata il giorno seguente, il 12 aprile, Jori espone un progetto iniziato nel 1996 a Siena e sviluppato fino ad oggi. Esso si compone di una lunga serie di ritratti che hanno per protagonisti i volti dell’arte contemporanea, viventi e non, che il nostro artista riporta in vita attraverso la sua pittura. A Castel Tirolo e per la prima volta nella Sala dei Cavalieri che mai sino ad’ora aveva ospitato una mostra di arte contemporanea, verrà esposta un’opera realizzata per l’occasione: “Dalle finestre del possente maniero si affacceranno i volti di grandi artisti scomparsi come Anselm Kiefer, Rudolf Stingel, Mario Merz e molti altri. Con la loro rievocazione intendo farli divenire dei testimoni, dei compagni di vita e di dialogo, dei rivelatori, proprio come Lucio Fontana lo è stato per me”.

Jori, meranese di nascita, ha potuto infatti trovare la sua strada e sviluppare il suo linguaggio sfaccettato e poliedrico grazie ad incontri ed esperienze che lo hanno portato, fuori dai nostri confini regionali, a misurarsi con importanti artisti, ma anche con discipline e linguaggi differenti. Mosso dalla ricerca di una “totalità” nell’arte, Marcello ha intrapreso numerose strade parallele che lo hanno visto attivo in campi molto diversi tra di loro come il fumetto (negli anni Ottanta è tra i fondatori del Nuovo Fumetto italiano), l’editoria (collabora con il Corriere della sera), il design (il suo editoriale per il dossier del Corriere della Sera dedicato alla settimana internazionale del mobile di Milano ci parla dei nuovi artisti che hanno voglia di sconfinare, di balzare da una disciplina all’altra, ma attenzione (!) con ricchezza di tecniche e anche di ruoli, misurando sapientemente saperi e sapori) e anche nell’ambito musicale. “Negli anni Ottanta si registra una vera e propria contaminazione tra i diversi ambiti artistici ed è così che, grazie al fumetto, arrivo a realizzare le copertine degli album di Mina, Patti Pravo, Mango per fare alcuni nomi”. Spettacolare è anche la sua scenografia realizzata per un concerto di Vasco a San Siro (Rock sotto assedio), una città di 70 x 20 mt, il palco più grande mai realizzato prima in Italia. “Il mio interesse per l’arte si trova ovunque, anche nel rock. Sono affascinato da come l’arte arriva a comunicare alla gente”.

3Se gli parli della sua poliedricità Marcello ti dice che ha impiegato tanti anni, trent’anni, per avere una sorta di controllo delle varie discipline dell’arte. Ci è voluta tanta tenacia che ha fatto da collante nelle relazioni artistiche che ha intessuto, continuamente, instancabilmente, fecondamente. Una vita di relazioni. Una vita “che lo costringe a recarsi a Parigi ad attendere l’arrivo della neve” mi ha detto. Ho sorriso e lui con me, quando gli ho detto: “Brutta, brutta cosa questa costrizione! Piacerebbe anche a me dovermi caricare di una tale incombenza!”.

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