Music

April 16, 2013

Gli OvO ci portano nell’Abisso: sabato sera live al Pippo

Marco Bassetti

Per la prima volta a Bolzano, gli OvO, band di culto con quasi 1000 show alle spalle e chilometri e chilometri on the road in giro per il globo. Sì perché, lombardi di nascita e berlinesi d’adozione, gli OvO fanno parte del gotha internazionale della musica sperimentale più radicale, avendo collezionato negli anni collaborazioni con mostri sacri del mondo undeground da Thurston Moore a Jim O’Rourke, dai Lightning Bolt agli Zu, dai Larsen a Jarboe.  Al di là della proposta musicale, un diabolico mix di avant-noise, sludge e no wave, sono gli spettacoli degli OvO ad essere entrati nella leggenda: “Sul palco diventiamo qualcos’altro – ci racconta Bruno Dorella – sotto la maschera si consuma un rito in apnea da cui ci svegliamo esausti dopo i 35 minuti del concerto, senza sapere bene cosa sia successo”. In attesa del loro concerto al Pippo (sabato 20 aprile, ore 21), abbiamo scambiato due parole con Bruno (già negli indimenticabili Wolfango, poi con i Ronin, batterista dei grandissimi Bachi da pietra, oltre che fondatore della casa discografica Bar La Muerte): insieme a Stefania, è il cuore pulsante degli OvO da ormai 13 anni.

Avete il nuovo album praticamente pronto, registrato in dicembre con Giulio Ragno Favero. Il nuovo capitolo dell’epopea firmata OvO dove ci porta e cosa racconta?

Ci porta nell’Abisso e ci racconta una Favola Nera.

La vostra poetica è fortemente legata alle “realtà ultime” (morte, dannazione, aldilà, apocalisse…). siete mossi da un sentimento religioso di qualche tipo? in cosa credete?

Crediamo nel rifiuto di ogni religione, compresi paganesimo e satanismo, se si cerca di codificarli. Ci interessano, in modi diversi, ricerca e spiritualità, ma non crediamo nella religione degli uomini, che ha portato sempre e solo oppressione.

Nietzsche ha scritto “Dammi ti prego una maschera e un’altra maschera ancora“. Centrale è nei vostri spettacoli, la maschera a quale esigenza risponde? messa in scena, nascondimento, libertà espressiva, strumento di alienazione e di proiezione in un mondo “altro”…

L’ultima definizione è quella che si avvicina di più. Siamo due persone molto disponibili e a nostro modo semplici nella vita reale e giù dal palco. Sul palco diventiamo qualcos’altro. Sotto la maschera si consuma un rito in apnea da cui ci svegliamo esausti dopo i 35 minuti del concerto, senza sapere bene cosa sia successo. Ma sappiamo che è una cosa che succede da quasi 13 anni e che si è ripetuta più di 700 volte durante questo lasso di tempo, rendendoci persone felici e migliori ogni sera. Altro che religione.

Oltre ad una radicale sperimentazione musicale, la vostra musica si basa anche su una radicale ricerca linguistica: la destrutturazione totale della lingua naturale condotta da Stefania come viene prodotta?

Nasce dall’inconscio e dall’istinto, e si codifica con effetto immediato. È come se su quella musica non potessero esserci altro che quei suoni. Una volta pronunciati, restano quelli, nei secoli dei secoli, secondo un processo sorprendente ed infallibile.

Al di là di tutto, si scorge nei vostri spettacoli un fondo fondamentalmente ironico, anarchico, dadaista, punk. Condividete questa visione o vi urta?

La condividiamo pienamente. Nei nostri spettacoli si fondono tante sensazioni diverse, c’è una certa quantità di maligno, ma come in ogni aspetto della vita e della morte ci sono tante sfaccettature, tra cui quella ironica è importantissima. Bada bene che l’ironia è proprio quello che ci preserva dall’essere ridicoli agli occhi di noi stessi, a differenza della grande maggioranza di coloro che si prendono troppo sul serio.

Il rischio è appunto quello di prendere tutto molto sul serio, dimenticando che alla fine si tratta solo di rock’n'roll. Il “satanismo” può diventare – come sappiamo da numerose vicende, anche in Italia – una cosa molto seria… dalla vostra esperienza diretta, dalla conoscenza dei vostri fan, questo pericolo è connesso alla vostra proposta musicale?

Come ti dicevamo prima, crediamo anche noi che prendersi troppo sul serio sia un rischio. Ogni cosa poi ha lati positivi e negativi, e alla fine dipende da chi la applica, quindi, in ultima analisi, dall’uomo. Le religioni e le sette sono un prodotto dell’uomo, lontane dalla spiritualità pura, della ricerca metafisica. In quanto tali, religioni e sette portano poco di buono, in cambio di vagonate di menzogna, orrore, morte, oppressione. Alla fine i fans satanisti chi sono? Sono come gli hardcorers hare krishna o straight edge degli anni 80/90, sono persone che si innamorano in gioventù di un tipo di musica e ne confondono l’estetica con un sistema di valori, che per un certo periodo sposano ciecamente. Fortunatamente dopo un po’ di tempo quasi tutti crescono e si creano il proprio sistema di valori, giusto o sbagliato che sia. Noi non facciamo parte di alcun sottogenere musicale, estetico o filosofico, quindi non abbiamo e credo che difficilmente avremo fans satanisti, che saranno invece impegnati ad inseguire il prossimo fenomeno norvegese che si attenga pienamente al gusto estetico-musicale del black. Comunque, fossi in voi, in Italia mi preoccuperei molto più del cristianesimo, che vi opprime da secoli, piuttosto che del satanismo.

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