Culture + Arts > Architecture

April 15, 2013

Rifugi alpini, tra riformatori e nostalgici. Ma nostalgici di cosa?

Barbara Breda

Non posso che essere d’accordo con l’architetto Luciano Bolzoni, quando dice che il passato, in montagna, spesso si confonde con il presente e che per questo, ogni nuova costruzione di montagna, dovrebbe essere figlia di un passato non troppo remoto, ma soprattutto dovrebbe essere autonoma in un presente che ci appartiene.

Dallo scorso aprile, ossia da quando 24 tra i più noti studi di architettura altoatesini si accingevano a consegnare gli elaborati del triplice concorso di progettazione bandito dalla Provincia Autonoma di Bolzano, tanto si è discusso e tanto si è polemizzato sul tema dei rifugi alpini.

Si scopre, cercando di mettere un po’ di ordine nella pluralità di opinioni e di posizioni emerse, che non è facile documentarsi in modo esaustivo sulla materia. Un po’, per citare giornalista e storico dell’alpinismo Enrico Camanni, perché gli escursionisti non se ne sono mai occupati fino in fondo, forse ritenendo il tema priorità degli alpinisti. Un po’ perché gli storici del turismo considerano il rifugio come l’avamposto di un’attività di nicchia, o come semplice surrogato dell’albergo di valle. Un po’ perché gli architetti hanno sempre visto nel rifugio una costruzione troppo essenziale per giustificare l’impiego di un’analisi storica.

Si capisce ben presto, peraltro, che dal punto di vista della concezione dell’uso del rifugio, si contrappongono due visioni. Quella dell’alpinista, che lo considera un riparo artificiale creato non per contemplare la natura, quanto per sfidarla e sottometterla, un luogo dove il tempo è sospeso, dove respirare la propria fragilità in uno spazio minimo di sopravvivenza, sufficiente a se stesso, psicologicamente lontano “dalla sterminata notte carica di abissi”, come scriveva Samivel. E quella poi del turista che cerca lo spettacolo, il fascino sconvolgente del punto di vista, soluzioni costruttive e strutturali estreme per vivere il paesaggio oltre lo scenario mozzafiato, oltre i 3000 metri di altezza, rifuggendo l’essenza rassicurante del riparo a favore dell’adrenalina per la sospensione sul vuoto.

Il dibattito che ha animato giornali, social network, riviste di settore, tavole rotonde nell’ultimo anno, tuttavia, non si è incentrato tanto sulla filosofia nell’approccio all’alpinismo, quanto su questioni di carattere stilistico e architettonico che hanno visto schierati innovatori e conservatori, riformatori e nostalgici.

Ma nostalgici di cosa?

Se guardiamo brevemente alla storia dei rifugi, ricostruita con perizia e raccontata con passione nel libro “Cantieri d’alta quota” di Luca Gibello, capiamo subito che l’immagine che tanto fa disperare i detrattori dell’architettura contemporanea sopra i 3000 metri, altro non è che la forzatura di uno stile autoctono che in realtà non esiste. Risale al 1905, infatti, la fondazione dell’organizzazione elvetica centenaria Heimatschutz, il cui scopo è stato la valorizzazione dell’identità nazionale, ricercata nei caratteri negli edifici e nella cultura costruttiva. La conseguente codifica dei caratteri delle costruzioni rurali degli alpeggi – connotate dal generoso uso della pietra, dalle coperture a due falde in eternit o lamiera, dalle forme semplici e confortanti – che doveva influenzare in maniera quasi prescrittiva ogni progetto edilizio, ha portato a legare indissolubilmente l’edilizia alpina all’idea di baita. Quando, in realtà, la progettazione dei rifugi non aveva una tradizione stilistica e costruttiva dalla quale attingere. Quando, a ben vedere, in un territorio vergine come quello dell’alta quota, ogni edificio è estraneo e portatore di alterazioni sensibili.

Il dialogo con il contesto nasce dalla sua valorizzazione attraverso il progetto di architettura, un progetto consapevole della sua appartenenza alla nostra epoca storica, capace di evidenziare le potenzialità del sito, senza dimenticare che la montagna è impietosa sul fronte della qualità, “che è come una lente di ingrandimento che dilata ogni difetto e non lascia scampo”, come scrive Sebastiano Brandolini.

Evitiamo di ricorrere al finto rustico. Evitiamo la reinterpretazione vernacolare di tipologie tradizionali, che nulla hanno a che fare con la tradizione del rifugio.

Per tornare al concorso dello scorso anno, forse potrebbe valere la pena, se non si è riusciti a visitare la mostra, di sfogliarne il catalogo e provare ad immergersi in quegli spazi disegnati, lasciandosi sedurre dalle storie che vogliono raccontare. Se il progetto in alta quota è stato e continua ad essere una sfida per gli architetti, che la comprensione della contemporaneità e del suo linguaggio diventi una sfida anche per gli appassionati di alpinismo o per i semplici visitatori, ospiti della notte e della montagna, ma anche di nuove forme e concetti.

Print

Like + Share

Comments

Cancel reply

Current day month ye@r *

Discussion+

There is one comment for this article.
  • claudio delvai · 

    Reply » claudio 31 marzo 2013

    ttp://freeonline-italiavita.blogspot…
    http://www.youtube.com/user/cittadell…

    Archimede, pitagora, leonardo,brunelleschi,giotto,newton, galilei,dante, boccaccio,manesmann,ford,getty,……e migliaia di altri uomini coraggiosi e particolarmente intelligenti sarebbero stati presi a calci in culo dal comitato che protesta perche la nuova malga FOSSE non è come i cucu della foresta nera o come quelche cesso di costruzioni che mortifica il passo rolle…tutte, nessuna esclusa…
    vedetevi il filamato di cui allego link…
    L’ architettura si evolve come si evolve il resto del mondo, delle arti, dei materiali, delle scienze. lA CULTURA CRESCE E MATURA ..LA STORIA POI INCASELLA ED ORDINA .
    Voi contro tutto…voi ciechi da non vedere che il dialogoi tra le pareti del massiccio dialogano molto meglio con le forme piu nuove che con le miserie strutturali del vecchio .
    Certo le grandi vetrate servono a far passare le luci e le montagne dentro la malga non per affiggere i messaggi commerciali del comprensorio…feste, balli e gran comizi .
    Il Beauty nella malga è una perversione CONCORDO se qualcuno lo ha colto… L’ idea del progettista è fuori da qualsiasi attesa se si è parlato chiaro con il fruitore, di per se gia fortunato, e privilegiatoa vita per potervi abitare ..Certo che in quella malga la testa sul cuscino del letto la potranno mettere selezionati e preparati clienti…non certo i gruppi o i last minute
    ,men che meno la signora con le pianelle e lui con le nike e i bermuda….Sarà piu difficile armonizzare la frequenza alla malga che costruirla…questo si è un problema..
    Avete la morosa con le tette di plastica…gli zigomi al silicone…il botulino dentro le borse che marcavano gli occhi….L’ uomo si riempie di Botox e di silicone ..modifica cio che ha fatto il creatore e voi perdete tempo a discutere di cose che non conoscete ..non sarà la forma del tetto della malga a conferire danno alle dolomiti…Non saranno i materiali frutto della ricerca e della razionalità a porre quesiti …Tornate acasa e comperatevi una rivista di arredamento e chiedetevi se non sono peggio le ” bouaserie ” finte,,le travi finte de legno vecio…i cucu… le petunie che penzolano dal paiolo fermato sotto il balcone e appeso alla segosta .
    Saran mica meglio le piasterlle del vostro bagno…o la tv con sotto la tovaglietta tirolese…i cozzai appesi sul giroscale…o il lampadario fatto con il giovo…delle vacche o lo specchio con il “comacio” del cavallo .Se haidi vi ha sfondato il cervello VIVA la nuova MALGA FOSSE …FOSSE CHE FOSSE LA VOLTA BONA,….