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April 10, 2013
Marcello Galvani’s Augenblick
Maximilian Lösch
Ich spazierte in den Kunstraum Café Mitterhofer in Innichen, um einen Blick auf die Fotos und die Ausstellung “6X7″ von Marcello Galvani zu werfen, einem Fotografen aus Massa Lombarda. Ich unterhielt mich mit meinem Bruder und Manfred, dem Besitzer des Cafés zu den Fotos. Auf den ersten Blick erschienen sie sehr einfach zu sein, doch blieb man länger stehen, dann eröffneten sich immer wieder neue Dimensionen. Wirklich schön! Wieder zu Hause habe ich ein E-Mail mit meinen Fragen an Marcello geschrieben. Da mir dieser E-Mail-Ausstausch so gelungen erschien, möchte ich ihn hier veröffentlichen, ohne etwas hinzuzufügen. Viel Spaß beim Lesen! Die Ausstellung ist übrigens bis 10. Mai 2013 zu sehen.
Oggetto: Intervista Franzmagazine sulla mostra a San Candido
Ciao Marcello,
mi chiamo Maximilian, scrivo per franzmagazine ( http://franzmagazine.com ), una rivista di cultura online altoatesina. Sono stato a vedere la tua mostra al café Mitterhofer qui a San Candido. L’articolo lo traduco e sarà pubblicato in tedesco. Ho chiacchierato anche un poco con Manfred, è stata una visita molto interessante.
Mi hanno lasciato una bella sensazione, le tue foto, di seguito gli interrogativi e riflessioni che mi hanno stimolato. Alcune sono domande, altre immagini o sensazioni. Sarebbe bello ricevere una risposta o qualche commento, a una, più, o a tutte le domande e le suggestioni che mi hanno trasmesso le tue foto.
Grazie intanto
Maximilian
- Composizione o caso?
– La tua fotografia è una ricerca dell’attimo?
– La foto uno sgurado per trovare un’armonia nel quotidiano?
– Un maiale legato con un’ombra a un palo…
– Il caos e l’ordine, l’ordine è l’ombra del caos?
– Questi spazi aperti, sono qui per aprire la mente?
– Solitudine, tristezza, stare nel pensiero e desolazione…
– Il quotidiano e i non-soggetti per un fotografo-turista.
– La presentazione sobria, il formato piccolo, la cornice semplice, di cosa parlano?
– I colori delle foto di un tempo, il passato… per me i colori delle foto d’infanzia (ho 28 anni) è una scelta per trasmettere una sensazione di altri tempi, un contrasto temporale e di colori con la contemporanietà del mainstream?
– Qual’è il rapporto con la tradizione (viaggio in Italia di Luigi Ghiri p.e.), fonte d’ispirazione? (domanda di Manfred)
– Una sensazione di base pare trasparire dalle tue foto, che esprimono un anelito, un palpitare dell’anima verso…
Caro Maximilian
ti ringrazio per l’interesse e per le domande che poni. Queste già funzionano in sè come testo esplicativo del mio lavoro che vorrei avesse piu il carattere di una interrogazione che di una asserzione. Fotografare serve a me in primo luogo a ‘com-prendere’ il mondo che ho attorno, comprendere nel significato etimologico del ‘portare con sé’. Fotografo cioè per fare esperienza delle cose, per conoscere meglio l’esterno da me, e in qualche modo indirettamente anche l’interno. Si dice che mettendo insieme le proprie fotografie si dovrebbe ottenere una specie di autoritratto.
Non ho mai idee a priori quando esco per fare fotografie. Esse accadono, mi succedono e fanno parte del mio vivere. Utilizzo la fotografia come pratica esistenziale, come scrivere un diario. E tenere un diario è prima di tutto una maniera di prestare attenzione e anche un modo di depositare il proprio vissuto. Fotografare non come un guardare dal buco della serratura ma come modalità di partecipazione, presa di contatto. Un modo di fare delle domande alla mia quotidianità.
Composizione o caso? La tua fotografia è una ricerca dell’attimo? La foto uno sgurado per trovare un armonia nel quotidiano?
Certamente l’ idea del caso è intrigante e grazie alla fotografia mi piace pensare di poterlo indagare. Einstein diceva che ‘il caso è la maniera di Dio per restare anonimo’. Le mie fotografie funzionano come configurazioni del caso, un pò come succede quando si tirano le monetine dell’ I Ching per ottenere un esagramma, una struttura geometrica che rispecchia l’istante presente e aiuta a leggere meglio la situazione in cui ci si trova. Io faccio spesso uso di questo libro/oracolo e forse anche la fotografia è in questo senso oracolare. Aiuta a vedere le cose simultaneamente, per sincronicità, senza preoccuparsi di un perchè e un per come e senza dare un giudizio.
Sono interessato a osservare come queste configurazioni del presente, gli attimi, assumano una forma propria in fotografia. La struttura di un immagine è la grammatica visiva con la quale il fotografo vede e fa vedere e non si può prescindere da essa. Preferisco parlare di struttura che di composizione. Come dice Stephen Shore la composizione è quella che fa il pittore/creatore di fronte al foglio bianco aggiungendo di volta in volta complessità. Un fotografo invece, è solo ‘Santo’ mandato a esplorare il creato. Egli può solo tagliare qui o lì, spostandosi un po’ più a destra o a sinistra, piegando un po’ le ginocchia, scegliendo cosa includere e cosa no. Facendo cioè al contrario un’operazione di riduzione, di sintesi. Questa semplificazione della complessità in struttura leggibile mi interessa. Robert Adams dice che un fotografo cerca nell’inquadratura quella tensione che è pace.
Il quotidiano e i non-soggetti per un fotografo-turista.
Non mi impegno a scegliere soggetti in particolare, vorrei fare una fotografia ‘democratica’: tutto può essere un buon pretesto per ottenere una fotografia diceva Winogrand. Inoltre vorrei che anche il fotogramma fosse organizzato democraticamente, nel senso che sia il soggetto che l’intorno in cui sta, devono assumere la stessa importanza e interagire bene fra loro. Come in un buon piatto di cucina, uno sformato per esempio in cui patate, broccoli, mozzarella, un po’ di sale e parmigiano collaborano tutti assieme al gusto che si percepisce. Non mi interessa il sapore di una cosa in sé quanto l’amalgama del tutto.
Mi sento più pellegrino che turista del quotidiano. Il pellegrino, a differenza del turista, è trasformato dall’esperienza che fa, il turista si accontenta del souvenir da riportare nella stessa identica casa in cui torna.
Questi spazi aperti, sono qui per aprire la mente?
non so, non l’ho mai pensata in questi termini. Non è intenzionale la scelta di spazi aperti come metafora della mente. O forse lo è indirettamente nel senso che preferisco stare all’aperto, all’aria aperta invece che chiuso in casa. Sento proprio questa esigenza quotidiana di uscire. Anche quando dormo vorrei sempre una finestra aperta (se non entra troppo freddo) e in auto tengo sempre il finesrino abbassato. La fotografia è semplicemente una maniera di star fuori, dice Vittore Fossati. Inoltre all’aperto c’è la luce del sole, uno dei motivi per cui fotografo. Baudelaire chiamava i fotografi i nuovi ‘adoratori del sole’ – anche sfottendoli.. ma a me sembra un’ottima definizione.
Solitudine, tristezza, stare nel pensiero e desolazione…
Credo che ognuno veda cose diverse tramite le fotografie. per questo preferisco le immagini (che ritraendosi sono piu femminili) alle parole, piu dominanti e per cosi dire maschili.
Ho sentito altre volte dire che queste fotografie sono desolanti e nostalgiche. A me personalmente non fanno quest’effetto. La linea dell’orizzonte per esempio mi rincuora, forse per qualcuno vissuto in una grande città o in collina è spaventevole.
Forse anche la solitudine che si avverte da certe immagini mi rincuora, più dell’ipercomunicazione del mondo odierno. Preferisco non riempire troppo, lasciar spazio; il vuoto è comunque una forma di disponibilità, un mezzo per farsi attivi, per mettersi in ascolto. Non sopporto per esempio la musica imposta passivamente nei ristoranti e nei luoghi pubblici. E la tendenza contemporanea a riempire ogni spazio vuoto della nostra esistenza.
I colori delle foto di un tempo, il passato… per me i colori delle foto d’infanzia (ho 28 anni) è una scelta per trasmettere una sensazione di altri tempi, un contrasto temporale e di colori con la contemporanietà del mainstream?
La presentazione sobria, il formato piccolo, la cornice semplice, di cosa parlano?
Preferisco lavorare con i colori naturali delle cose, anche se è un controsenso dire naturale il colore apparente di una cosa in fotografia. Direi allora che mi piacciono i colori delle stampe KODAK, quelli che ho sempre visto nelle fotografie di famiglia prima dell’avvento degli schermi, quando la fotografia era un oggetto, una stampa. Scelgo di stampare un po’ piu chiaro che saturo, non enfatizzo le tinte per rendere più decorative le cose di quello che sono, come funziona nella pubblicità. Anche la presentazione delle fotografie in formato piccolo e attorniate da un passpartout bianco mi serve a costruire una specie di finestrella, un piccolo mondo in cui solo se si è attivi e disponibili ci si può entrare per una vacanza dell’occhio. Non vorrei che le fotografie gridassero o invadessero lo spazio con la loro presenza nè la loro spettacolarizzazione. E poi la maggior parte delle fotografie esistenti al mondo sono piccole per essere contenute in scatole o cassetti, e quello è il loro posto.
Una sensazione di base pare trasparire dalle tue foto, che esprimono un anelito, un palpitare dell’anima verso…
Mi piace pensare che la fotografia sia un modo per prestare cura e attenzione alle cose, per aderire e in un qualche modo omaggiare ciò che ho di fronte, qui e adesso.
un caro saluto,
Marcello
PS: mi sono dilungato un po’ troppo. Taglia pure delle parti e ricostruisci tu un discorso se ti funziona meglio.. ora esco a fare un giro!
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