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March 28, 2013

Una nessuna e centomila: Cindy Sherman. That’s me – That’s not me

Karin Mantovani

1Sarò sincera, di Cindy conoscevo poco… va bene, sarò davvero sincera: non conoscevo nulla. È stato per scrivere questa mia breve recensione che ho dovuto mettermi sulle sue tracce e capire chi fosse e cosa proponesse. Quando ho letto che le sue opere – una selezione di 50 tra fotografie, video e cut-out, figure ritagliate da fotografie – erano esposte a Merano, in quel piccolo spazio espositivo incastonato tra i portici che è la Merano Arte, ho avuto un’immediata sensazione di piacevolezza. Quel luogo mi comunica positività e quando mi muovo nei suoi spazi, avverto un senso di casa e di familiarità. Le scelte dei curatori delle mostre che ha ospitato sono state, per me non di rado delle sorprendenti scoperte.

Tornando alla nostra Cindy Sherman: le opere che l’artista realizza agli albori della sua carriera, ovvero tra il 1975 e il 1977 sono, a detta dei critici le fondamenta sulle quali ha costruito, passo passo il suo percorso creativo. Cindy allora era poco più che ventenne, ma già da quando ne aveva dieci aveva iniziato a fissare in fotogrammi ciò che vedeva grazie a “Brownie”, una macchina fotografica ricevuta in regalo.  In Cindy Book, il suo primo album fotografico personale, possiamo forse riconoscere una sua opera prima: nel libro, nato dal tentativo di trovare un modo per appartenere alla famiglia – Cindy era la più piccola di cinque fratelli e sorelle – possiamo già trovare le caratteristiche principali della nostra artista. Travestimenti, camuffamenti, interpretazioni delle figure più disparate, dai mostri alle principesse, dalle spose alle ballerine e ancora alle vecchie signore.

Il trucco e la mimica sono due degli elementi protagonisti dell’opera giovanile di Cindy, o meglio della prima fase che è tutta incentrata sul ritratto. Cindy studia il suo volto e lo trasforma, plasmandolo grazie ad un sapiente uso del trucco, della mimica e infine della comunicazione non verbale. In una carrellata veloce di fotografie, la scorgiamo donna matura e consapevole, scolaretta frivola, giovane ragazza distaccata, ragazzo dall’espressione goffa e anche un po’ comica. La Sherman ha un indubbio talento d’attrice e il suo virtuosismo giocoso ci diverte e ci sorprende.

3Come trasformare una donna in uomo, ma anche come descrivere un personaggio nei sentimenti e negli stati d’animo che lo caratterizzano: Cindy Sherman è abilissima a servirsi della fotografia per assolvere ai suoi scopi narrativi. Le “foto segnaletiche” sono un interessante esercizio – in mostra ne è esposto uno in cui la persona ritratta, una donna, viene raccontata nella sua complessa identità attraverso una sequenza di fototessere – con il quale la nostra artista indaga la natura umana. È sempre lei, camaleontica, che si mostra a noi pesantemente truccata, prima esuberante e piena di vitalità, poi annoiata e insicura, infine dimessa e priva dei vestiti prorompenti e da ultimo struccata, talmente anonima nell’abbigliamento e nell’espressione da cambiare persino identità.

La Sherman ha fatto del gioco che anche noi praticavamo da piccoli quando ritagliavano le figure un episodio artistico. Nel 1975 inizia infatti a proporre i primi cut-out, immagini che estrapolate dal taglio di una forbice dal loro sfondo, acquistano una loro fisicità e autonomia. In mostra ve ne sono alcuni esemplari, come anche un video dell’artista che con i suoi gesti e le sue pose da cinema muto sembra essere una di quelle figure da lei accuratamente ritagliate.

Di tutto il piccolo, ma intenso percorso dedicato a Cindy, il lavoro Bus Riders è forse quello che mi ha colpito e divertito di più. È il 1976 e la Sheridan partecipa ad una mostra fotografica allestita per un mese intero sulla linea “Metro Bus 535”. La sua interpretazione del progetto non è altro che un’analisi dell’ambiente sociale, etnico che popola il mezzo di trasporto. Come in una pellicola composta da diversi fotogrammi, il popolo del metrobus scorre e prende vita davanti ai nostri occhi, mostrandoci gli stereotipi più o meno noti – ovviamente in chiave anni ’70 – e le differenze tra le classi sociali o tra le diverse professioni. Non si tratta solo di costume o di mondi di appartenenza differenti, ma anche di gestualità e atteggiamenti connaturati che rendono questa sua opera un ritratto originale, curioso, ma anche acuto e profondo conoscitore dei caratteri umani e delle loro interazioni reciproche. È sempre Cindy, eclettica e trasformista, che ci racconta uno spaccato di vita quotidiana: un’anziana signora con il bastone, una studentessa afroamericana, l’autista dell’autobus, il giovane svogliato con la cicca fra le dita, i ragazzi che parlano e ridono, lo studente di musica.

La mostra, iniziata con il mese di febbraio, chiuderà i battenti il 26 maggio prossimo. Se anche voi, come me, non avete ancora conosciuto la fotografa del New Jersey, bene, questa è di sicuro un’ottima occasione per farlo!

www.kunstmeranoarte.org

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