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March 13, 2013

People I Know. Mirco Toccafondi, il ricercatore: “sono un cervello in fuga, ma non all’estero, a Bolzano”

Anna Quinz

1Mirco Toccafondi ha 31 anni, è nato a Vernio, un paesino in provincia di Prato, e di mestiere fa il ricercatore. Laureato in biotecnologia a Bologna, per continuare la carriera scientifica Mirco ha lavorato 6 mesi a Parigi. Avrebbe voluto restare lì, ma la fidanzata di allora non era d’accordo, così è tornato in Italia, nella sua Toscana dove ha fatto un dottorato di ricerca a Firenze. Quando è stato il momento di scegliere dove andare dopo lo studio, ancora l’interferenza di una fidanzata, che non voleva tornasse all’estero. Tra i vari curriculum inviati, quello alla Libera Università di Bolzano è andato a buon fine, e così, da qualche mese Mirco vive e lavora qui, “che non è l’estero” dice “ma ci va vicino”. In particolare Mirco si occupa di studiare dei batteri che colpiscono gravemente i meleti, elementi importanti dell’economia locale, cercando soluzioni e cure. Ironia della sorte, però, Mirco alle mele è allergico. Persona vitale e vivace, Mirco non è affatto un topo di laboratorio, ma un giovane uomo pieno di curiosità e interessi. Tipico accento toscano, occhi scuri e vispi, Mirco racconta di sé con leggerezza, condendo ogni parola con la sua cadenza particolare e le sue “C” morbide e rotonde, così “esotiche” per noi altoatesini.

Mirco, sei qui da poco, quale idea ti sei fatto di Bolzano e dei suoi abitanti?

La prima impressione, confermata, è che questa è una città ben organizzata, che offre tanti servizi, dove si vive bene e dove tutto è ben pianificato, efficiente e regolato. E dove ognuno ha il suo ruolo. Per esempio, il mercato. Se vai al mercato al sud è tutto un caos di urla, inviti all’acquisto, confusione. Qui invece anche il mercato è ordinato: sei tu che vai al banco e ordini i pomodori, nessuno ti urla “Signora, venga qui”. E le persone qui sono molto cordiali e gentili. L’unico scalino forse è quello del rompere il ghiaccio per iniziare a parlare, anche per la chiacchiera leggera, quella superficiale, da bar.

Parliamo di ricerca. Come si svolge una tua giornata? Sempre chiuso in laboratorio con camice bianco e occhi puntati al microscopio?

Ci sono tanti tipi di ricercatori. Io sono biologo e la mia giornata non è scandita solo dai miei tempi ma anche da quelli dei miei esperimenti. Non posso fermarmi quando voglio, magari ho delle cellule che crescono e devo seguire il loro tempo vitale. A volte mi è capitato di dover tornare in ufficio la notte per far finire un esperimento. Non a Bolzano però, qui le regole sono più rigide (o meglio, qui vengono rispettate), non posso stare in laboratorio da solo, per la sicurezza, ora dunque devo adattarmi a ritmi diversi. Di base, comunque, si studia, si prova, si cerca di farsi venire delle idee e applicarle. Si fanno anche errori, ma da questi si riparte e si prova a vedere che succede.

L’Italia è sempre considerata indietro sul piano della ricerca, tema peraltro poco battuto politicamente. Da “insider”, qual è il tuo pensiero a riguardo?

Il discorso è ampio. In Italia non si investe in ricerca perché è un paese a livelli primari. Se hai fame non puoi pensare alla filosofia, diceva Aristotele. L’Italia ha fame, e a pancia vuota non si ragiona. La ricerca è un bisogno che fa presa più avanti, quando si sta meglio. In un’Italia che sta male, se in campagna elettorale si parla di finanziamento alla ricerca, l’argomento non fare presa. L’Italia ora ha altri problemi. Per investire in questi campi servono soldi, soprattutto perché la ricerca non da frutti sicuri. Ecco dov’è il problema. Se hai pochi soldi non puoi permetterti di puntare sulla lotteria della ricerca. Ma non dico che sia una cosa giusta, anzi. L’unica ricerca che c’è in Italia (ma in Alto Adige le cose sono diverse) è quella finanziata o co-finanziata da gruppi industriali o farmaceutici. Questo è un bene, anche se poi la ricerca non è mai libera ma vincolata da chi ti dà i soldi.

E dei “cervelli in fuga”, visto che lo sei stato anche tu, cosa pensi?

Che i cervelli fuggano è comprensibile. Qui si fa di tutto per creare studenti, ma non per indirizzarli e trattenerli. Folle creare mille dottorandi che poi non si possono “sfruttare”. Così gli altri paesi si trovano gente formata, a costo zero. Per evitarlo, servirebbe saper gestire le persone, magari prenderne meno ma poi mandarle avanti.

Non sembri il classico “secchione”. Cosa fa dunque, un ricercatore, in particolare Mirco, quando non lavora?

Mi piace il cinema, suonicchio il sax in varie band, ora anche qui. Quando ho tempo e soldi mi piace viaggiare. Se potessi organizzare la vita come voglio io, senza nessun compromesso dovuto magari alle fidanzate, lavorerei un sacco, per avere poi lunghi periodi vuoti per viaggiare. Amo il viaggio per scoprire, non per rilassarmi. Ed essere qui in Alto Adige è già un viaggio di scoperta. Mi trovo in una zona borderline, dove ho già scoperto molte cose: come vivete, la vostra doppia identità, che è interessante. Rientra nella mia continua voglia conoscenza e ricerca del diverso. Perché per me, voi, siete il “diverso”, abbastanza lontani da considerarvi un popolo da studiare.

Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 10 marzo 2013

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