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February 19, 2013

Babilonia Teatri e Gli Amici di Luca: quando il teatro è il luogo di nuovi risvegli

Anna Quinz

Dove torna chi torna dal coma, dal paese dei balocchi, da teatro?

 Continuano gli Altri Percorsi del Teatro Stabile. Continuano i modi altri per guardare il teatro, con il teatro, attraverso il teatro. L’appuntamento è da non perdere, ed è per venerdì 22 febbraio, solito posto (Teatro Studio) solita ora (20.30). Quello che ci aspetta però è diverso, altro, appunto, da tanto che abbiamo visto a teatro. Perché a firmare il “pinocchio” che vedremo sono due realtà tra le più interessanti, nuove, dirompenti del teatro in Italia oggi. La prima (già vista qualche anno fa, sempre all’interno degli Altri Percorsi) è Babilonia Teatri (alias Enrico Castellani e Valeria Raimondi), compagnia di teatro di ricerca e sperimentazione tra le più “rivoluzionarie”. La seconda è Gli Amici di Luca, compagnia teatrale costituita da persone con esiti di coma che hanno intrapreso un percorso terapeutico di cui fanno parte anche attività teatrali. Ecco spiegato il perché dello spettacolo negli Altri Percorsi, quest’anno condotti insieme a Arte della Diversità. Pinocchio è la storia di un risveglio dal legno alla carne, questo Pinocchio è la storia di un risveglio da”al di là” a “al di qua” della vita, ed è bello pensare che questo risveglio così forte, passi per il teatro, per i suoi linguaggi, per un palcoscenico, delle quinte, una platea in ascolto. Così forte, da sembrare ovvio, così toccante da sembrare inevitabile. Ecco quello che faranno Babilonia Teatri e Gli Amici di Luca. Ci racconteranno un risveglio, e noi con loro ci risveglieremo a teatro e nel paese dei Balocchi, un paese dei Balocchi tanto diverso da quello a noi noto, che ancora una volta, come a tornare bambini, di certo ci emozionerà.

Abbiamo sentito al telefono Enrico Castellani, una delle anime di Babilonia Teatri, che con evidente partecipazione, ci parla un po’ di più di questo inatteso Pinocchio.

Enrico, come è nata la collaborazione – non scontata – tra voi e Gli Amici di Luca?

La collaborazione è nata su stimolo di Cristina Valenti che conosceva sia noi che la compagnia Gli Amici di Luca. Ha suggerito loro il nostro nome, dato che volevano fare un nuovo spettacolo e così ci hanno chiesto di collaborare. Non li conoscevamo e quando li abbiamo incontrati per la prima volta abbiamo chiesto loro perché lavorassero con il teatro. Ci hanno risposto: “perché la società ci ha messi da una parte, e dopo il nostro trauma, fare teatro è l’unico mezzo per rimettere un piede in questa società”. Per noi è stata una risposta folgorante, e abbiamo deciso di fare insieme uno spettacolo nuovo, e non solo la regia di un pezzo loro, come si pensava all’inizio. Peraltro questo incontro illuminante è arrivato in un momento in cui noi stessi avevamo voglia di incontri nuovi e di aprirci all’esterno, ad un punto di svolta del nostro cammino. E poi, questo incontro, ci ha permesso di conoscere persone che danno al teatro quel senso di necessità primaria che anche noi gli attribuiamo.

Un incontro illuminante, dicevi. Ma di certo non semplice. Su quali basi è astato costruito, e come è poi è proseguito il lavoro condiviso?

È stato prima di tutto un incontro umano. Il teatro si confonde con la nostra vita e l’incontro con le persone è al centro di tutto. Intendo le persone con cui lavoriamo, ma anche il pubblico. Prima di tutto abbiamo cercato di conoscerci e di trovare una forma teatrale che permettesse a Paolo (Facchini) Luigi (Ferrarini ) e Riccardo (Sielli) che sono in scena, di essere loro stessi. Non sono attori, ma questo non è un disvalore, anzi, in questo momento abbiamo deciso di lavorare con persone non con attori. Siamo infatti convinti che portare la vita sul palco sia dirompente e porti un’autenticità che parla alla testa e alla pancia degli spettatori. Non è stato difficile, o meglio, difficile ma molto naturale. Non siamo partiti da un’idea precostituita ma procedendo un passo alla volta, cercando di cucire addosso a loro lo spettacolo. Anche il posto che doveva avere la figura di Pinocchio, è stato deciso da loro.

Pinocchio, appunto. Perché raccontare le avventure mirabolanti del bugiardo burattino di legno che sogna di diventare bambino?

Dopo The End (lavoro sulla rimozione della morte nella società), avevamo l’idea di fare una serie di spettacoli sulle età della vita. Volevamo partire da Pinocchio, che per noi è una dedica all’infanzia. Ma Pinocchio era ancora titolo vuoto, che con i ragazzi de Gli Amici di Luca si è via via riempito di contenuto, per le similitudini che abbiamo scoperto esserci tra il burattino che si trasforma in bimbo e loro, che hanno subito una serie si trasformazioni nel loro corpo. Ma i vissuti di queste persone sono talmente forti che hanno finito con schiacciare Pinocchio, relegandolo a spalla. Questo ha permesso allo spettacolo di procedere e di trasporre tutto su un piano diverso da quello autobiografico dei loro racconti personali, che vengono così universalizzati.

Siete stati definiti “una delle più brillanti e rivoluzionarie realtà italiane del teatro di ricerca”. Cosa significa portare addosso l’etichetta della “rovluzione”. Come riuscite a mantenere vivo il ruolo – se vi interessa farlo – dei rivoluzionari, senza scadere in ripetizioni e autocelebrazioni?

A noi interessa trovare ogni volta una forma in grado di parlare direttamente con il pubblico e portare al centro i contenuti, affinché abbiamo un eco anche quando lo spettacolo è finito. Le etichette sono a volte anche divertenti, lusinghiere, ma dipende da chi te le mette. Per qualcuno quel che facciamo è rivoluzionario per qualcun altro, se fai un secondo spettacolo con una forma simile al primo, è già roba antica. È tutto relativo. Per noi l’importante è parlare sempre con il pubblico, se possibile con tutti i pubblici Riuscire a essere trasversali, perché in Italia la ricerca in teatro è troppo spesso relegata solo in alcuni luoghi. Le etichette a volte fanno piacere a volte sono un limite. Lo spettatore, in fondo, si porta a casa più il contenuto che non le forme, che possono essere più o meno rivoluzionarie.

Qualche anno fa abbiamo visto a Bolzano il vostro spettacolo “Made in Italy”. Forte, a tratti brutale, ironico, brillante. Anche questa volta “sconvolgerete” il pubblico bolzanino come allora?

Non diversamente da “Made in Italy”, anche qui usiamo immagini che possono essere definite forti e i toni del drammatico e dell’ironico si alternano e si confrontano per tutto lo spettacolo. Da una parte, amarezza e rabbia, dall’altra una dimensione ludica. Queste sono corde fondamentali per far passare i contenuti del lavoro, senza mettersi in cattedra e senza piangersi addosso. Dunque, Pinocchio è uno spettacolo in cui non ci sono né paternalismo né pietismo. Spesso si sorride, ma lo spettacolo è anche molto commovente.

Questa esperienza con Gli Amici di Luca, come individui e come teatranti, cosa vi ha lasciato?

Da questo lavoro ci portiamo una grandissima voglia di vivere, quella che abbiamo trovato in queste persone, e una grande voglia di riscatto, di lottare, di esserci. E anche la consapevolezza che è possibile, con ogni spettacolo, trovare una vita nuova e prospettive nuove. Girare pagina è un rischio e una crisi, ma queste crisi sono anche foriere di nuove possibilità e di grande ricchezza.

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