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February 11, 2013

Berlinale Days #01

Cristina Vezzaro

Quando si arriva alla stazione della U-Bahn di Potsdamer Platz, non serve nemmeno orientarsi per raggiungere i luoghi del festival: è sufficiente seguire la folla di forzati del cinema che alle 8.30 del mattino già si mette in moto per qualche sala. E mentre c’è chi, nella corsa, scivola sul sottile strato di neve e ghiaccio che copre le strade della città, rapidamente inizia la giornata.

Il primo film del mattino è Hayatboyu (Lifelong) del regista turco Asli Özge, che racconta la storia di Ele e Can, una coppia di Istanbul in crisi, artista lei (Defne Halman), architetto lui (Hakan Cimenser), insieme da una vita con una figlia già grande che a sua volta convive ad Ankara con un uomo. Il film apre su una scena d’amore tra di loro, ma un’amante si è già insinuata nella loro vita, e questa fessura viene emblematicamente raffigurata da un’installazione che i due guardano insieme, in un museo, onde perfettamente simmetriche che convergono verso una linea centrale cui si sovrappongono le loro due silhouette, fino a che una telefonata (dell’amante, appunto), non interrompe per sempre quel quadro. E in un lento processo di distacco, i due finiscono per vedere da fuori la loro vita e decidono di separarsi. Il film finisce sull’immagine, sempre di spalle, dei due che da un appartamento vicino guardano casa loro, dove la luce è rimasta accesa.

La sala si riempie di giornalisti per la proiezione di Lovelace, il film di Rob Epstein e Jeffrey Friedman che ricostruisce la storia di Linda Lovelace (Amand Seyfried), protagonista del film porno cult degli anni 70 Gola profonda. Da una famiglia iperprotettiva e iperpuritana (e nel ruolo della madre tutta bigodini-casa-chiesa, in un azzeccatissimo divertissement, una pressoché irriconoscibile Sharon Stone), Linda fugge con il primo che passa di lì (Peter Sarsgaard) e che si rivela essere un farabutto: la costringerà infatti a entrare nel mondo del porno e della prostituzione, oltre a cambiarle quasi i connotati per le continue violenze. Una denuncia di un mondo e di un’epoca oltre che della mitizzazione di un’industria.

E infine The Necessary Death of Charlie Countryman, il film dello svedese Fredrik Bond con un cast internazionale molto ricco, dall’harrypotteriano Ron, Rupert Grint, in un ruolo insolito e divertente, al tedesco Til Schweiger, ingiustamente maltrattato in patria per una serie di commedie facili e per il tradimento nazionale in favore dell’industria cinematografica americana, in realtà già riabilitato da Tarantino in Inglorious Basterds e bravo anche qui nel cliché del cattivo di questa storia che dall’America atterra a Bucarest, città in cui il Transformer Shia Le Boeuf è un ragazzo perso che si innamora perdutamente della ragazza sbagliata (Evan Rachel Wood) ma che alla fine si rivelerà giusta dopo aver fatto fuori il di lei cattivissimo marito (strepitoso Mads Mikkelsen) e non poche avventure assurde che mettono in luce un’anima di primo acchito dura e impenetrabile ma sotto sotto romantica come quella romena.

Il tempo per correre da una sala all’altra è poco, le proiezioni si sovrappongono, il programma è infinito, star mondiali ti passano sotto gli occhi e in conferenza stampa potresti pure fare loro delle domande, ma chi c’ha il tempo di andare in conferenza stampa con tutti questi film?

Foto © Dale Robinette

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