People + Views > Portraits

January 30, 2013

People I Know. Ana Agolli Cela: la forza della conoscenza contro i pregiudizi

Anna Quinz

La prima cosa che colpisce di Ana Agolli Cela, 41enne albanese ormai trapiantata stabilmente a Bolzano, è la determinazione tutta femminile che traspare nelle sue parole, nei suoi gesti, nel modo deciso in cui racconta di sé e del suo percorso di vita. La seconda cosa che colpisce è la morbidezza, degli sguardi e del suo essere mamma, con cui poi addolcisce il tutto. Ana è arrivata a Bolzano quando l’Albania era un paese da cui fuggire. Laureata in matematica e in inglese, professionista nel settore del management e dell’empowerment e progettista, non ha trovato in Italia l’accoglienza che sperava. “In Albania avevamo il ‘sogno italiano’, guardavamo di nascosto la tv e pensavamo di trovare un paese all’avanguardia, soprattutto a livello di diritti umani, per noi negati”. Ma non è stato così semplice, una volta arrivata qui. “Ci sentivamo traditi” continua”, “eravamo così vicini, ma qui nessuno parlava di noi, se non per demonizzare i flussi migratori.” Insomma, un difficile percorso di inserimento contro pregiudizi e preconcetti, vinto però grazie alla tenacia di questa donna che ha poi trovato la sua strada in associazioni ed enti operanti nel sociale, dove ha potuto mettere in gioco le sue tante capacità. Ora Ana è anche manager del ristorante del Dopolavoro Ferroviario di Bolzano “Jona” e membro della Commissione Pari Opportunità e ha trovato a Bolzano la sua strada. Ma non dimenticando mai le difficoltà vissute, oggi è capace di aiutare, concretamente, chi ha problemi simili a quelli che anche lei ha vissuto. Con la determinazione e la morbidezza che la contraddistinguono, in ogni cosa che fa.

Ana, quali i primi ricordi dell’arrivo in Italia?

Nel ’97, quando in Albania sono ricominciati i problemi, ho deciso di scappare, dovevo andare a Trieste per un convegno, ho colto l’occasione per rimanere in Italia (mio marito era qui, e lui era uno di quelli arrivati nel ’90, con i famosi “barconi”) e ho potuto fare i documenti necessari grazie alla sanatoria del ’98. All’inizio è stato scioccante, ho dovuto decostruirmi molto, da laureata era dura accettare i lavori che mi venivano offerti, come ad esempio quello di donna delle pulizie. Ogni lavoro ha pari dignità, ma non ero abituata, anche fisicamente a lavori così faticosi. Il pensiero principale però era sopravvivere. Poi sono rimasta incinta. Quando ho deciso di riprendere a lavorare, ero abbastanza disperata. Cercavo lavoro assiduamente, anche sulle Pagine Gialle. Procedevo in ordine alfabetico, arrivata alla U ero scoraggiata. Ma poi, per fortuna, l’Upad mi ha proposto un posto di insegnante di inglese. Dovevo iniziare il giorno successivo alla telefonata, ma ero pronta.

A Bolzano che accoglienza ha trovato?  

Sono arrivata il 23 agosto. In Albania c’erano 40°, qui faceva un gran freddo, la città era deserta, e mi ha particolarmente colpito il fatto che i negozi – in estate – chiudessero così presto (vengo da una città turistica, da noi alle 19 il lavoro entra nel vivo). È stato tutto un po’ uno shock. E ancora oggi, devo dire, mi addolora vedere come da immigrato non puoi scegliere i tuoi amici, trovi quello che trovi, che tu voglia o no, entri a far parte di una fascia sociale debole, e la gente non sempre ti accetta con facilità. C’erano poi molti preconcetti sugli albanesi. È vero che ad arrivare qui erano molti delinquenti, ma c’erano anche gli intellettuali dissidenti rifiutati dal regime. Le migliori teste del nostro paese, insomma. Ma di certo, questi “cervelli” hanno sempre fatto meno notizia dei criminali.

Un difficile percorso, quello dell’inserimento, la lotta contro i pregiudizi.

Quando facevo le pulizie, non dicevo mai che ero laureata, oppure – dato che era un tema caldo all’epoca – mi è capitato che mi chiedessero, visto che venivo dall’Albania, se ballavo nei nightclub. Tutto è cambiato, per me, quando sono entrata in comunicazione con realtà sane, con un lavoro che mi piaceva e che era adatto alle mia competenze. Da quel punto in poi ho iniziato a credere di più nelle mie capacità, e nel mio futuro possibile in Italia. Certo questo paese è pieno di problemi, però ora sento che la mia casa, a livello emozionale, è qui a Bolzano.

Il lavoro nella ristorazione, invece, come e perché è arrivato?

Mio padre ha gestito per 15 anni un ristorante. Noi figli però non ci abbiamo mai lavorato, quindi quando ho iniziato l’avventura con Jona, ero totalmente digiuna di questo settore. È stato interessante però, anche per la specificità del posto. Ero abituata a fare lavori che avessero a che fare con le persone, e avevo anche fatto molti progetti per la terza età (il target del Dopolavoro è principalmente questo), dunque mi stuzzicava l’idea di creare un progetto che mettesse in gioco le mie competenze in ambito sociale. Anche per questo abbiamo scelto di essere cooperativa sociale di inserimento lavoro. Nella nostra “impresa familiare” (io, le mie due sorelle, mio marito e un cognato) lavorano infatti principalmente giovani problematici, ex tossicodipendenti, immigrati, persone che cerchiamo di inserire e formare per il mondo del lavoro, a Bolzano e in generale nella società contemporanea.

Vista la sua storia e la sua professionalità, come crede si possa combattere e vincere lo stato di pregiudizio verso l’immigrazione?

Servono sensibilizzazione, autocoscienza, valorizzazione e riconoscimento del migrante. Qui c’è una forma di protezionismo paternalista che non funziona. Tutti dicono “ti aiuto” e così ogni cosa diventa “un caso”. Questo non favorisce una reale crescita. Insomma, non serve dare il pesce, ma insegnare a prendere il pesce. Certo non sono processi facili, né veloci. Se penso anche in Albania, quanto dopo la caduta del comunismo (io stessa ho attivamente partecipato a manifestazioni antiregime) la libertà non abbia portato reali miglioramenti.

 Pubblicato su Corriere dell’Alto Adige del 27 gennaio 2013

Print

Like + Share

Comments

Current day month ye@r *

Discussion+

There are no comments for this article.