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December 30, 2012

Mart. 10 anni a testa alta

Aaron Ceolan

Ho un ricordo ancora molto vivo della mia prima visita al Mart, avevo pressappoco dodici anni e un interesse per l’arte ancora non del tutto sviluppato, ma provai comunque molta gioia nel poter ammirare le opere di Giovanni Segantini. L’esposizione era interamente dedicata al pittore di Arco, correva l’anno 1999 e la sede principale del Mart era situata ancora a Trento, a Palazzo delle Albere. Mi ricordo di essere rimasto affascinato dalle pitture esposte, soprattutto da una tela molto grande raffigurante un vasto paesaggio di montagna con delle pecorelle, in grado di farmi percepire l’atmosfera di quella stessa raffigurazione. Da quel giorno il Mart divenne senza dubbio un riferimento indispensabile nel mio rapporto costante con l’arte. Mancava pochissimo alla fine del secolo, e di lì a poco il Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto avrebbe cambiato la sua dimora principale, trasferendosi a Rovereto, in Corso Bettini.

Nel 2002 nasce il nuovo Mart, la cui casa madre viene ideata e realizzata da Mario Botta, il quale pensa una costruzione d’incontro, dove la diversità dei linguaggi si unisce in quel che ancora oggi è la grande ricchezza del museo, ovvero la capacità di parlare a tutti, di guidare ogni singolo visitatore, nelle avventure artistiche più variegate. Ne è l’elemento simbolico la grande cupola di vetro e acciaio che sovrasta la piazza centrale in un abbraccio collettivo, adottando chiunque desideri immergersi nel mondo dell’arte. L’architettura di Botta, non è altro che la cornice di quel che viene a crearsi al suo interno. Anzi, anche l’edificio di per sé fa parte della messa in scena, e proprio in quest’occasione diventa uno dei nodi principali dell’esposizione. La magnifica ossessione è la mostra che dal 26 ottobre di quest’anno al 6 ottobre del 2013, quindi per la durata di quasi un anno, il museo offre per presentare in primo luogo se stesso. Il Mart si guarda alle spalle, o meglio guarda dentro se stesso. Propone infatti la propria collezione come non l’avevamo mai vista, in una rassegna di ben 1200 opere circa, un percorso che attraversa praticamente l’intero secolo scorso, fino ad arrivare alle esperienze più contemporanee. “Questa è la mostra”, racconta il direttore stesso, Cristiana Collu “che il Mart ha immaginato pensando al Museo, alla sua missione e alla sua vocazione.”

La mostra, alla quale è dedicato un intero piano del museo, si apre con la gipsoteca di Andrea Malfatti. Viene presentato lo spazio principale, più intimo dell’artista, una specie di atelier, dove colui che lavora crea le sue opere. In questo caso però lo spettatore riesce attraverso i suoi sguardi a interagire con l’artista stesso. L’osservazione, lo sguardo e la conseguente presa di posizione di fronte all’opera caratterizza l’intero percorso de La magnifica ossessione. Mi viene in mente Giotto, grazie al quale l’arte d’inizio Trecento subì una violenta scossa. Penso al modo di guardare, all’organizzare sguardo e percezione dinanzi all’opera. Nella Cappella degli Scrovegni a Padova, raffigurando spazi interni dipinti nei quali non ha luogo nessuna azione narrativa, il maestro fiorentino trasforma lo spazio in forma visiva dello spazio. Nell’atto del guardare, dell’osservare, lo spettatore diventa critico, costruisce una propria opinione, fondamentale per riuscire ad orientarsi nel mondo proposto all’interno della mostra, ma anche di assoluta necessità nella vita di tutti i giorni. Proseguendo, si giunge alla sezione dedicata ai ritratti. E anche in questo caso, non può che essere lo sguardo l’elemento imprescindibile. Non deve essere la nostra però una visione egoista, concentrata solo su ciò che viene proposto a noi stessi davanti ai nostri occhi, ma va preso in considerazione anche lo sguardo di chi ci sta di fronte, il ritratto appunto. La percezione è improvvisamente capovolta in un risultato assai confuso, nel quale le parti sono invertite, trovandoci noi spettatori dalla parte opposta, ad essere osservati dai vari personaggi ritratti.

Ovviamente il Futurismo occupa una parte sostanziale nel percorso espositivo. Vi è una forte concentrazione intorno al Manifesto del Futurismo di Marinetti. Impressiona la quantità di opere di questa corrente esposte in uno spazio comunque ristretto, ma sono soprattutto colpito dalla forza espressiva dei vari Boccioni, Carrà, Casorati, Sironi, solo per citarne alcuni. Inevitabile è l’intreccio di questo periodo artistico con la drammatica esperienza della Prima guerra mondiale. Risulta davvero molto interessante l’opzione scelta in questo caso, di presentare il video di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Il corpo ferito. Epilogo, con il quale si cerca di intendere, per quanto possibile, la tragicità del conflitto. Passando oltre il periodo bellico, e giungendo soprattutto agli anni Trenta e dunque nuovamente in procinto di iniziare una guerra mondiale, ampio spazio è dedicato in modo intelligente all’architettura, interessata a costruire una vera e propria nuova società. Mi riferisco all’epoca fascista, quando si volle riuscire tramite l’architettura, ad interpretare una vita sempre più moderna e in costante sviluppo. La mostra presenta importanti fotografie e progetti architettonici riguardanti svariate città italiane.

Il passaggio a mio avviso più stimolante dell’intero percorso, è quello che si concentra su due esperienze contemporanee ma contrapposte del secondo dopoguerra. Questo periodo infatti è marcato da una realtà fortemente figurativa da una parte, e da un’esperienza assolutamente astratta dall’altra. Lo scontro è rappresentato in modo sublime dagli esponenti italiani Renato Guttuso ed Emilio Vedova, che vengono messi a confronto uno contro l’altro su due pareti opposte, creando una tensione notevole facilmente avvertibile all’interno della sala espositiva.

Proseguendo ci s’imbatte nell’arte americana del secondo dopoguerra, la quale aveva all’epoca letteralmente invaso il vecchio continente. Qui va sottolineato l’apporto della collezione Ileana Sonnabend, molte delle cui opere sono finite nel museo di Rovereto. Sono soprattutto la Pop Art e il Minimalismo a dominare il sistema dell’arte di quegli anni. D’altronde avendo visto Kite di Rauschenberg già in altre occasioni, anche all’interno de La magnifica ossessione quest’opera riesce a stupirmi sempre quel qualcosa in più di tutte le altre. Il mito cinematografico americano non è altro che una logica conseguenza delle esperienze che giunsero in Europa d’oltreoceano. È la voglia di vivere un momento lontano, magari un’epoca passata, che stravolge le fantasie di tanti artisti e cineasti italiani. Uno su tutti Mimmo Rotella.

Il percorso espositivo continua con un esame della realtà effettuato attraverso modi sempre più moderni. Si passa dunque dall’Informale all’Arte Cinetica e proseguendo alla Transavanguardia, giungendo a temi che toccano razzismo, identità, multiculturalità e diseguaglianza sociale, dove giovani artisti vengono presentati accanto a opere di Alighiero Boetti e Joseph Beuys.

La magnifica ossessione propone un programma vastissimo e presenta una serie di opere dall’importanza assoluta all’interno del panorama artistico contemporaneo. Si tratta di un sistema di coordinate, nel quale lo spettatore ha la possibilità di muoversi liberamente, sapendo di trovare dei punti fermi su cui puntare, senza paura di perdersi. Può essere considerata come una sorta di timeline, ma probabilmente è meglio osservare tutto ciò come l’organizzazione ordinata di un’intera collezione, che ruota intorno a degli argomenti precisi e importantissimi, che hanno senza dubbio fatto la storia recente dell’arte. La conclusione della mostra è volutamente dedicata alla natura, forza assoluta, la quale rimanda alla riflessione sull’identità, già approfondita nelle prime sale dell’esposizione. Tocca a Richard Long con la sua Trento Ellipse, chiudere questo viaggio. Si tratta di un’opera appositamente realizzata per il Mart, utilizzando esclusivamente porfido locale. Concentrandosi praticamente su sé stesso, il Mart vuole comunque svegliare in noi, un senso di identità. Ci vuole rendere partecipe dopo dieci anni, della sua evoluzione, vuole farci capire in che modo si è orientato nel circuito dell’arte contemporanea, ma vuole soprattutto mostrarci in quale direzione andrà in un prossimo futuro.

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