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December 13, 2012

“Vengo via con te” un nuovo libro (nato da un blog) su storie d’amore e latitudini

Franz

Un libro nato da un blog, (www.tempiemodi.com). Un autore “misterioso”, Henry J. Ginsberg (pseudonimo di Marco Pontoni, giornalista di origini bolzanine). Una serie di racconti pubblicati da febbraio a luglio, uno ogni domenica. Una formula semplice per i racconti: una città (da Londra a Palermo, da Gerusalemme a Istanbul, da Parigi a Colombo, da Rio a Firenze, da New York a Riva del Garda, dall’isola greca di Itaca al… Rosengarten, unica concessione dell’autore alla sua terra) + una storia d’amore, una ogni domenica. Una performance itinerante: sei in partenza per una delle città in cui sono ambientati questi racconti? Abbandona una copia in un luogo pubblico, fai una foto dell’abbandono/dono, inviala al blog. Una presentazione pubblica che si farà in un igloo (Madonna di Campiglio il 30 dicembre, nell’ingloo della 3Tre). E poi, più di tutto, l’amore, che fa da filo rosso a queste brevi storie di viaggio, che dà speranza in tempi bui come questi, che fa sognare un po’ chiunque, che accomuna ciascuno di noi, ad ogni latitudine.

Per non farci mancare nulla, vi regaliamo uno dei tanti racconti di Henry J. Ginsberg. Poi, per scoprire tutti gli altri, comprate il libro (VENGO VIA CON TE – storie d’amore e latitudini, Valentina Trentini ed., pp.314, euro 13,5) o cercatelo in una delle città del viaggio, chissà che non troviate su una panchina la vostra copia.

LONDRA

“E perché non me l’hai detto subito?”

“Perché…come facevo? Non mi conosci, ancora?”

“Evidentemente no. Anzi, adesso, proprio no, guarda, per niente. Forse non ti ho mai conosciuta.”

“Non mancarmi di rispetto.”

“Per te questo sarebbe mancare di rispetto? Tu sei fuori di testa. Ma ti ascolti quando parli?”

“E tu?”

“Io sì, certo. Ho sempre dato importanza alle parole.”

“Sempre, mai. Come fai a ragionare così? Non ti rendi conto di quanto è astratto?”

“Siamo stati separati due mesi. Due mesi dopo due anni. E l’avevamo deciso assieme.”

“Quello non c’entra. Forse sarebbe successo lo stesso, forse doveva succedere, semplicemente.”

“Come si fa a prendere le cose con questo fatalismo. Io non so, guarda, non so con chi ho a che fare.”

“Stai avendo a che fare con me.”

“Con te e il tuo fatalismo. Dici sempre le stesse cose: doveva succedere, non ho potuto farne a meno. Parli come se non potessi prendere delle decisioni, come se fossi una foglia in balia del vento.”

“Si vede che è così.”

“Che sei una foglia in balia del vento? Una banderuola, insomma.”

“Se continui su questo tono è meglio chiuderla subito. Anzi…”

“No, aspetta, adesso. Ho bisogno di capire. Penso che me lo devi.”

“Non so. Ho paura di farti…peggio.”

“Sopravviverò. Non c’è niente di peggio che immaginarle, certe cose.”

“Non so…”

“Dove l’hai conosciuto?”

“Oddio…”

“Cosa?”

“Alla Tate Modern.”

“Ah, un cultore dell’arte. Un russo culture dell’arte. Novità!”

“Va bene, basta.”

“Scusa. Va bene. Non voglio che questa cosa mi abbruttisca. Non me lo merito e non glielo voglio concedere. Ritiro tutto. Allora? Come mai lì?”

“Aveva una piccola personale.”

“Bene. Un artista. Ma eri andata apposta a vedere la sua mostra?”

“No, figurati.”

“E allora che cosa cazzo ci sei andata a fare alla Tate? Non c’eravamo stati a Pasqua?”

“Avevo accompagnato Josephine.”

“Certo, Josephine. E quando, questo? E’ stato quando mi sono ammalato? Vero?”

“No, non…”

“Quando non ti ho scritto per una settimana. Maledetta, maledetta Nigeria, maledetta.”

“Cosa c’entra.”

“Maledetta quella volta che ho accettato. Ma era per due mesi, uno dice, guarda, ti pagano bene, metti via qualcosa per regalare una bella vacanza alla tua donna, cosa vuoi che siano due mesi, anche se è in Nigeria, due mesi dopo due anni, si possono sopportare, ci si scrive, ci sono le mail, cosa sono due fottuti mesi separati.”

“Non dire così. Mi fai sentire ancora più male.”

“Guarda, non posso preoccuparmi del tuo, di male adesso, devo pensare al mio, di male, anzi, a quello che tu hai fatto a me.”

“Non ho mai voluto farti del male, lo sai. Mi conosci. Anche se dici di no.”

“Alla Tate. Maledetta…”

“Cos’è che hai detto?”

“Non tu, la Tate. La Tate, cazzo. E quante volte vi siete visti?”

“Non chiedermelo. Sai già tutto, ti ho detto tutto.”

“Non so ancora quasi niente.”

“Sai tutto quello che è importante sapere.”

“Quante? Lo voglio sapere, prima…prima di…”

“Non so quante, tutti i giorni, va bene, adesso, sei contento?”

“Tutti i giorni. Un artista, certo. Ne ha di tempo da buttare. E non alla Tate, immagino.”

“No. Non sempre.”

“Anche dove?”

“A volte in giro, a volte a casa sua.”

“Ricco, immagino. Sono strapieni di soldi, ormai.”

“Ma no.”

“Dove abita?”

“Questo non te lo voglio dire.”

“Non lo andrò a cercare, stupida, non so neanche come si chiama. Ma voglio sapere dove.”

“A cosa ti serve?”

“Non…insomma, rispondi e basta!”

“A Brixton. Sei contento? Brixton. Dimmi adesso cosa ti cambia.”

Lui sta zitto. Ha la bocca asciutta anche se ha appena finito la sua pinta. Guarda l’andirivieni dei passanti, sul marciapiede, oltre la vetrina, oltre la scritta del pub incisa sul vetro. Fuori è Queensway, le rosticcerie, i negozi di souvernir, il ristorante cinese, quello libanese, la farmacia, tutta la vita che pulsa incessante nel cuore della metropoli. In questo momento, sotto al cielo azzurro camicia, sono solo un puntino nell’immensa mappa di Londra, meno di un puntino. Vorrebbe crederci davvero, vorrebbe essere fatalista a sua volta, vorrebbe relativizzare ciò che ha appena sentito, far sì che non sia importante. Una cosa che ci si può buttare alle spalle. A patto che i Tornado radano al suolo Brixton.

Si alza, paga, esce senza una parola. Lei non lo segue, lo lascia andare. Un po’ ne è sollevato. Un po’ gli dispiace.

 

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Comments

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There is one comment for this article.
  • Engel · 

    Bellissimo racconto. Non vedo l’ora di comprare il libro!
    Ho appena cominciato un blog… visitatelo se avete voglia:
    30dayswithoutyou.blog.com