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November 28, 2012

Dal Torino Film Festival, in anteprima i film che varrà la pena vedere prossimamente

Cristina Vezzaro

Une famille respectable – Massoud Bakhshi
Un iraniano che vive all’estero da 22 anni viene richiamato in patria per insegnare un semestre all’università del suo paese. Ritrova così la madre e, poco a poco, tutto il suo passato e il passato del suo paese, fatto di repressione e mancanza di libertà. Al termine del semestre gli viene negata la partenza fino a che un nipote apparentemente gentile e disinteressato in realtà malvagio e cinico, in concomitanza con la morte del patriarca della famiglia e con un’importante eredità, lo convincerà, con le buone o con le cattive, a mollare tutto e tornarsene da dove è venuto. Più che fiction, Une famille respectable, già presentato a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs, è un documentario, dice il regista iraniano Massoud Bakhsi. È la storia di un paese dove queste cose accadono davvero, dove la guerra Iran-Iraq degli anni 80 ha segnato inevitabilmente più generazioni di cittadini, dove la Cultura e l’Occidente rimangono un’importante forma di riscatto, dove il rispetto e la libertà hanno spesso il prezzo della violenza fisica e psicologica. Perfetto nella costruzione, tra vicenda privata e sfondo politico-sociale, tra complicati rapporti personali e censura ufficiale, tra tradizioni di repressione e necessaria espressione della libertà,Une famille respectable è un film che lascia un segno.

Ruby Sparks – Jonathan Dayton, Valery Faris
Calvin è un giovane scrittore che ha già all’attivo un libro di grande successo. E il conseguente blocco dello scrittore a cui non sembra riuscire a porre rimedio. Un giorno in sogno però gli appare una ragazza fantastica attraverso la quale riesce a riprendere a scrivere; finché a un certo punto la ragazza del sogno diventa una ragazza in carne e ossa cui non manca di certo la vitalità che sembra invece mancare a Calvin. E la commedia si sviluppa a quel punto nel gioco delle ambiguità di quell’apparizione inattesa e al tempo stesso provvidenziale che Calvin riesce a continuare a controllare con la sua scrittura. Ruby Sparks non è un film privo di divertimento, a tratti, ma non è nemmeno un film compiuto. La trama dell’attrice e sceneggiatrice Zoe Kazan, nipote del celebre Elia, lascia a desiderare con buchi (soprattutto nel finale) e una chiusura inverosimile, oltre che per il tentativo non riuscito di riportare fuori di metafora su un piano di realtà la ricerca del lato B del disco della nostra vita.

Una Noche – Lucy Mulloy
Quali sono i motivi profondi delle nostre azioni? E quali i fatti quasi marginali che determinano il nostro destino? È quello che sembra chiedersi questo film, basato su una vicenda vera, una delle tante che accadono quotidianamente a La Havana. Lila ed Elio sono due fratelli molto uniti fino al giorno in cui Elio incontra Raul, un ragazzo “dallo sguardo maledetto”, con la madre ammalata di AIDS, che conta di scappare a Miami e ricongiungersi con un padre mai conosciuto. Elio e Raul iniziano a procurarsi tutto l’occorrente per la traversata, a cui però all’ultimo si aggiunge anche Lila, che ha scoperto il loro piano. Solo allora la ragazza si renderà conto dell’amore del fratello per Raul, unica vera ragione per quell’avventura che si rivelerà tragica. Il ritorno a Cuba, il ritorno a quella spiaggia da cui si tentava di partire alla disperata di ricerca di non si sa cosa (“che senso ha andare a Miami, non parlate l’inglese e finirete per lavorare in una cucina proprio come qui”, dice Lila a un certo punto) sembra evidenziare ancora una volta quanto possa essere vana la fuga da se stessi e dalla propria realtà verso un ignoto che non farà che portarci ancora verso noi stessi e verso la nostra, stessa realtà. Oltre a mostrare una Cuba sempre intrisa di umanità e povertà, in bilico tra la legalità e la stregoneria e con la colonna sonora di ritmi caraibici, questo film, già vincitore del Tribeca Film Festival, ha il merito di interrogarsi sul filo a cui è appeso il destino di ciascuno di noi, al confine tra inconsapevolezza e libero arbitrio.

Imogene – Shari Springer Berman, Robert Pulcini
Imogene è una ragazza del New Jersey che vive nell’Upper East Side di Manhattan con il suo fidanzato molto posh e un giro di conoscenze molto posh. Ma come ci è arrivata lì? E soprattutto, quanto ci può stare? Poco, perché appena il fidanzato posh la molla per una nuova tipa molto più posh di lei, Imogene perde anche il lavoro e il passato la riassorbe senza scampo: dopo aver finto un suicidio per riconquistare il fidanzato si ritrova affidata alle cure della madre, una strepitosa Annette Bening che riesce a mettere da parte il suo stile e la sua eleganza per trasformarsi in perfetta Jersey Girl attempata con tanto di vizio del gioco. Arrivata a casa, Imogene ritrova un fratello molto impaurito dalla vita, un nuovo inquilino nella sua vecchia stanza e un nuovo fidanzato della madre, presunto agente segreto della CIA – un redivivo Matt Dillon perfetto anche lui nel ruolo ambiguo che gli è assegnato. Dal rifiuto iniziale per quella distanza tra Manhattan e il New Jersey che in chilometri non è molta ma in stile di vita è enorme, Imogene ritrova, poca o a poco, prima gli affetti, poi i valori e infine anche il talento che le farà riconquistare Manhattan, senza dimenticare questa volta le proprie origini. Imogene è una satira a tutto ciò che di superficiale c’è e può esserci a Manhattan con una rivincita finale che tanto ricorda l’orgoglio del New Jersey nelle Amateur Night dell’Apollo Theatre: dopo il successo del suo spettacolo, Imogene rinuncia infatti alle interviste con i giornalisti per raggiungere la famiglia già sistemata nella stretch limo bianca e la madre che spunta fuori dal tettuccio per ricordarle “Andiamo tesoro, l’abbiamo affittata a una tariffa oraria!”, e mentre la limousine si avvia verso un happy ending, nella targa è riassunta la morale del film: JRZFAB (Jersey is fabulous).

Shell – Scott Graham
In un posto sperduto delle Highlands scozzesi, una ragazza di nome Shell (“Come il gigante della benzina?” “Come quella cosa unica e preziosa che sta nel mare”) vive da sola con il padre sin dall’età di quattro anni, quando la madre li ha abbandonati. La loro pompa di benzina e la modesta casa che la accompagna sono l’unica costruzione visibile per chilometri e chilometri. Lì e sullo sfondo del paesaggio collinare selvaggio delle Highlands si svolge tutto il film. Ai ritmi lenti dettati dall’alba e dal tramonto e dal passaggio di pochi clienti, che si contano sulla punta delle dita già in estate, figuriamoci in inverno, scorre la vita appartata dei due protagonisti, rinchiusi nella loro prigione fatta di solitudine e di isolamento. La loro relazione si sviluppa con grande ambiguità, alla ricerca di un’intimità e di un affetto necessari come l’aria eppure soffocanti, entro i labili confini della loro parentela o nelle complicate e azzardate escursioni verso l’esterno, una relazione incestuosa su diversi piani, cui solo una decisione drastica potrà porre fine. Ottima interpretazione di Chloe Pirrie nel ruolo di un’adolescente alle prese con pulsioni e vita reale, con tutte le carenze di una vita affettiva e sociale anormale, e di Joseph Mawle, estremamente affascinante e credibile nel ruolo dell’uomo orso e solitario troppo segnato dalla vita per crederci ancora. Il terzo protagonista di questo film sono senza dubbio le Highlands scozzesi, potente metafora di una desolazione al tempo stesso attraente e selvaggia, proprio come le profondità dell’animo umano. Senza ancora aver visto gli altri film in gara, direi che Shell è certamente un ottimo candidato per aggiudicarsi questa 30a edizione del Torino Film Festival.

Am Himmel der Tag – Pola Beck
Nora e Lara sono due ragazze universitarie molto amiche, un po’ immature per la loro età e certamente in un rapporto simbiotico non dei più sani in cui la definizione dell’identità è ancora lontana. Una sera in discoteca incontrano un giovane professore della loro facoltà. Tra lui e Lara sembra iniziare una storia, ma nel momento in cui Lara si allontana brevemente per prendere da bere subentra Nora. Al ritorno Lara non li trova più e, arrabbiata con entrambi, si impasticca e finisce a letto con il primo tipo che capita, il barista che le aveva appena offerto da bere. Ancora una volta una sorta di “sliding doors”, una distrazione della vita (andare a prendere da bere nel momento sbagliato? andare a letto con uno?) ha conseguenze estreme: Lara rimane infatti incinta, e dopo un’iniziale esitazione, rassicurata anche dall’entusiasmo di Nora, decide di tenere il bambino. I genitori, una coppia benestante in crisi ma che mantiene le apparenze, la appoggiano, e Lara, giovane 25enne sola, inizia a costruirsi la sua fantasia di maternità. Inevitabilmente i mondi delle due ragazze divergono sempre più: Lara tutta presa a riorganizzare la propria vita attorno al bambino che verrà, Nora improvvisamente più matura e immersa nello studio insieme al fidanzato-professore, infastidita dal distacco e dal disinteresse di Lara verso il suo mondo. Finché Lara perde il bambino. Oramai al 6° mese, dovrà affrontare un parto indotto e un distacco molto doloroso prima di un inevitabile ritorno alla vita. Già premiato al Zurich Film Festival, il film non manca di toccare un argomento delicato come l’aborto con uno sguardo molto vicino a cui non si può che rispondere con commozione. Anche l’ambiguo rapporto tra le due protagoniste, il sottile confine tra amicizia inglobante e individualità, la difficoltà di avere desideri e obiettivi comuni e di riuscire poi a portare l’affetto reciproco oltre quel trampolino di lancio sono certamente tematiche interessanti. Se si possono intuire le false speranze e aspettative riposte in una maternità e la conseguente disperazione per quel sogno andato in frantumi, non manca la sorpresa per il fatto che questa fragilità sia attribuita alla più “forte” delle due ragazze, a quella che meno sembrerebbe esposta a queste virate improvvise della vita, ma Pola Beck vuole forse suggerirci proprio che nessuno, alla fine, è indenne alla vita.

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