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November 20, 2012

La complessa storia del confine “mobile” di Salorno

Luca Sticcotti

Recentemente la casa editrice Raetia ha pubblicato un interessante volume intitolato “Al confine. Sette luoghi di transito in Tirolo, Alto Adige e Trentino”. Il libro è il risultato di un progetto del gruppo di ricerca “Geschichte und Region/Storia e regione” in collaborazione con l’Università di Innsbruck, l’Università di Trento, l’Archivio Provinciale di Bolzano e la Fondazione Museo Storico del Trentino. Gli autori sono: Andrea Di Michele, Emanuela Renzetti, Ingo Schneider e Siglinde Clementi.

Negli ultimi anni gli studi sui confini hanno conosciuto un successo straordinario. Ciò è avvenuto in coincidenza con dinamiche complesse e per certi versi contraddittorie: da una parte l’Europa ha parzialmente svuotato di significato quei confini intorno ai quali si erano sviluppati i drammi del ventesimo secolo, dall’altra ha rafforzato le barriere verso lo spazio extraeuropeo e ha conosciuto fenomeni di riscoperta delle «piccole patrie» e di esasperazione delle identità regionali e locali.
Studiare i confini significa quindi oggi accostarsi a questi processi, tanto complessi e apparentemente contraddittori, quanto affascinanti. Ma studiare i confini significa anche confrontarsi con un ambito di ricerca che, più di altri, richiede un particolare sforzo d’interdisciplinarità. Questo libro nasce proprio dall’esigenza di moltiplicare e incrociare le forme di lettura: antropologi e storici di Tirolo, Alto Adige e Trentino si sono trovati d’accordo nel ritenere che solo attraverso il «doppio sguardo» delle due discipline si sarebbero colti il significato e l’evoluzione dei confini in ambito regionale, utilizzando le piccole ma significative località di confine come laboratorio in cui misurare le conseguenze delle grandi cesure storiche e delle profonde trasformazioni sociali che hanno interessato l’Europa.
Per approfondire questi argomenti siamo andati a trovare uno degli autori, lo storico Andrea Di Michele, nel suo studio presso l’archivio storico provinciale di via Diaz a Bolzano.

Andrea Di Michele, Lei ha realizzato l’introduzione del volume e, soprattutto, un interessante capitolo sul confine “mobile” di Salorno. Mi verrebbe da dire che anche per Salorno vale la regola che spinge i confini ad essere alternativamente vere e proprie “barriere” o luoghi di transito.
In realtà sono due facce della stessa medaglia. L’approccio storico è in questo caso molto importante perché a seconda dei periodi prevalgono una faccia e poi l’altra. Dopo la frattura del 1919 per lunghi anni al Brennero a prevalere è stata la chiusura, il blocco. Non a caso in questi periodo i confini sono luoghi di militarizzazione: sono state costruite caserme ed i soldati sono arrivati a controllare. Anche se il controllo in molti casi ha un significato solo simbolico: tutti sanno che non è una presenza che prelude ad un intervento, ma semplicemente un segno di una sovranità.

Un presidio, insomma.
Sì, ma anche una forma di controllo legata ai movimenti illegali del contrabbando eccetera. Le cose ad un certo punto poi sono profondamente mutate. Dopo Schenge e l’euro ora a prevalere è ora il secondo aspetto, quello del passaggio.

E’ un ritorno al passato, in realtà.
Sì e questo discorso vale soprattutto per i confini di stato. Ma nel libro ci siamo occupati anche del caso interessante legato al confine di Salorno.

Come andarono lì le cose?
La linea di confine che divide la provincia di Bolzano dal Trentino ha subito moltissime variazioni. E molte di queste non sono del tutto note. Dopo l’annessione del 1919 la provincia di Bolzano non esisteva separata da Trento e quindi questa linea di divisione non c’era. Nel 1927 è nata la provincia di Bolzano, ma il confine in un primo momento non era quello attuale e si trovava molto più a nord dalle parti di Bronzolo. Tutta la Bassa Atesina era stata infatti assegnata a Trento.
In realtà Salorno già prima della guerra era considerato luogo simbolico di confine. Soprattutto un confine linguistico e culturale e, per molti, già allora un possibile confine di stato. I cosiddetti “salornisti”, gli irredentisti trentini come Cesare Battisti, dicevano che in caso di vittoria nella guerra la frontiera doveva essere posta a Salorno perché sede del confine linguistico e anche del confine amministrativo del Tirolo tra una circoscrizione e l’altra.
E’ davvero paradossale che proprio questo confine che italiani e tedeschi identificano come “identitario”, proprio con il passaggio all’Italia scompaia del tutto.
Quando nel 1927 si crea la provincia di Bolzano Mussolini scrive infatti che occorre abolire l’idea stessa della stretta di Salorno, e cioè che lì inizi qualcosa che non è del tutto italiano. Ed è per questo che il confine viene posizionato a Bronzolo.
Quando ci sono le opzioni nel 1939 la provincia di Bolzano è allora ancora priva di Bassa Atesina, però curiosamente territori delle opzioni sono dichiarati l’Alto Adige, ma anche i territori mistilingui della provincia di Trento (cioè la Bassa Atesina) ed addirittura le valli ladine che sono state aggregate a Belluno. In questo modo vengono ricreati virtualmente i confini del vecchio Tirolo, riconoscendo che la stretta di Salorno non era stata abolita ma solo… nascosta.
Poi c’è l’Alpenvorland dal 1943 al 1945 e lì avviene il vero e proprio cambiamento formale dei confini: tutta la Bassa Atesina viene assegnata alla provincia di Bolzano. Nel ’45 quindi arrivano gli americani che cancellano il provvedimento di Hofer e restituiscono la Bassa Atesina a Trento, dando origine ad un contenzioso sul cosa fare di quel territorio. A Salorno ebbero luogo delle manifestazioni, e non solo lì. Fridl Volgger fece a Salorno un discorso in cui affermò che non esiste Sudtirolo senza la tomba di Noldin, il martire delle Katakombenschulen. Ancora una volta il tema religioso della sacralità della sepoltura si fa strada. E si apre allora una trattativa tra governo ed SVP che porta a diverse ipotesi.

Nel libro è infatti presente una ricca sezione cartografica che indica le diverse collocazioni dei confini e diverse possibili soluzioni che nel dopoguerra vennero ideate per cercare di risolvere la questione.
Una delle ipotesi era quella di mantenere in provincia di Trento i comuni a maggioranza italiana. Un’altra era quella di tenere in Trentino tutti i comuni sulla riva sinistra dell’Adige, perché attraverso quelli si accedeva alla val di Fiemme.
La decisione alla fine fu quella di assegnare tutto alla provincia di Bolzano e quindi con il 1 gennaio 1948 e lo statuto di autonomia si ebbe il ritorno del confine a Salorno. La questione della linea di confine rimase comunque piuttosto interessante, anche a causa delle eccezioni rappresentate dai comuni tedeschi della val di Non, da Anterivo, ecc. La linea rimane in parte mobile anche oggi… ed è un discorso che torna, con l’attuale difficoltà delle autonomie.
Poi c’è la questione delle valli Ladine. Anche lì ci sono stati diversi spostamenti della linea di confine. Come sappiamo comuni come Livinallongo o della val di Fassa periodicamente si esprimono a larga maggioranze per un eventuale passaggio all’Alto Adige.

E’ il confine del benessere…
Il richiamo è forte… E i confini comunque, anche se oggi “leggeri”, mantengono comunque una forte valenza simbolica. Quando Eva Klotz organizza le sue manifestazioni al Brennero è proprio a un metro dal “cippo” che appende il suo cartello con scritto “Il Sudtirolo non è Italia”.

 

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