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October 30, 2012

New York Stories #08. My first New York – Early adventures in the big city

Cristina Vezzaro

In queste ore in cui l’uragano Sandy mette in ginocchio New York e non resta altro che attendere impotenti, mi sono ricordata di questo bel libro chiamato “My First New York – Early Adventures in The Big City”: insieme agli attori, ai registi, agli scrittori, ai giornalisti e agli altri protagonisti che nel libro ricordano il loro primo impatto con la città che poi è diventata la loro, mi sono lasciata cullare da tutto ciò che mi fa tanto amare New York.

Jonas Mekas, regista, arrivato nel 1949

La Metropolitan Opera House era tra la 39a e Broadway. Quando distrussero il teatro ci avevo passato tanto di quel tempo che dovetti prenderne un pezzo. Ce l’ho ancora. È un pezzo di gesso duro dei decori interni. La gente pensa: Oh, è sperimentale e avant-garde, cerca sempre cose nuove. Non sempre. Questa città riesce a rendere sentimentali anche gli sperimentalisti.

Liz Smith, giornalista di cronaca rosa, arrivata nel 1949

Circa dodici anni dopo che arrivai, mia madre e mio padre tornarono a farmi visita. Mi ero fatta in quattro per portarli in giro per teatri e ristoranti, ma non vedevano l’ora di tornarsene a casa. Non avevano idea di cosa fosse la mia vita reale e non riuscivano a immaginare che qualcuno potesse desiderare di vivere in un appartamento piccolo e andare a lavorare tutti i giorni. Poi una sera li portai al Metropolitan Opera a vedere Leontyne Price in Aida. I miei rimasero a bocca aperta. Persino mio padre pensò che era fantastico; non obiettò nemmeno che fosse una donna nera a interpretare un’egiziana. Ricordo bene quella sera perché fu da favola e fu l’unica cosa di me che riuscì mai a fare colpo su di loro.

Paul Taylor, ballerino e coreografo, arrivato nel 1952

Al tempo la comunità artistica a New York era molto più piccola e ci conoscevamo tutti. Pittori, scrittori, compositori – andavamo spesso tutti insieme in un vecchio loft di qualcuno, o alla Cedar Tavern giù nel Village, a parlare e scambiarci idee. […] Una sera, alla Cedar Tavern, Jackson Pollock era molto ubriaco e iniziò a urlare “Io sono la natura”. Ricordo di aver pensato che fosse fantastico e vero.

Dan Rather, giornalista, arrivato nel 1956

Ci credo davvero alle parole di quella canzone: “If I can make it there, I’ll make it anywhere.”

Tommy Tune, regista e coreografo, arrivato nel 1957

“Senti, ci ho pensato. Qui a Houston, se balli e hai talento e sei originale ti considerano una femminuccia o un tipo strano. A New York ti considerano una star. Andiamo!”

Liza Minnelli, attrice e cantante, arrivata nel 1961

A New York hanno tutti sempre tanta passione. Adoravo tutta quella fretta. La adoro tuttora. Vuoi sempre di più e lo vuoi subito – più grande, più splendente, migliore, più amici, più passione, più amore, più e basta! È così che pensano gli adolescenti. E io la penso ancora così di questa città, così riuscirò a essere adolescente per tutta la vita. Pensa un po’! Niente male, eh?

Nora Ephron, scrittrice e produttrice, arrivata nel 1962

Sapevo dall’età di cinque anni, quando i miei genitori mi costrinsero ad andare a vivere in California, che più avanti avrei vissuto a New York e che tutto quello che ci sarebbe stato nel frattempo non era altro che un terribile intervallo. Pensavo che sarebbe stato il posto più emozionante, magico, pieno di opportunità in cui si potesse vivere; un posto in cui se davvero volevi qualcosa, lo avresti ottenuto; un posto in cui sarei stata circondata da persone con cui morivo dalla voglia di stare. E avevo ragione.

Tom Wolfe, scrittore, arrivato nel 1962

La festa era a Central Park West, in un appartamento che apparteneva al poeta Robert Lowell che aveva organizzato uno scambio estivo con certi brasiliani. C’erano questi brasiliani, la festa era bella, saremmo stati in tutto una ventina. All’improvviso il padrone di casa disse: “Gilberto, non ti va di suonarci qualcosa?” e la musica intonò le prime note di “The Girl from Ipanema.”

Andò così a pezzi la mia fantasia di arrivare a New York da solo, alla conquista della città. Volevo essere un personaggio romantico, ma Gesù Santo, il primo giorno dovevo già rinunciare all’idea: avevo incontrato un vecchio amico che mi aveva portato a una festa incredibilmente cosmopolita. Nei mesi che seguirono scoprii quanto poco romantiche fossero le cose che una volta mi erano sembrate tali. Trovarsi in metropolitane sovraffollate diventò un vero e proprio tormento. Mentre camminavo per strada capitava che una folata di vento facesse avvolgere un giornale sudicio al mio polpaccio. Ricordo di aver visto tantissime star del cinema e della musica camminare per strada. Era emozionante fino a quando mi venne in mente che questa gente doveva pur vivere da qualche parte.

Danny DeVito, attore, arrivato nel 1963

Essendo cresciuto ad Asbury Park, New Jersey, ho sempre voluto avere la targa di New York. Faceva molto figo.

André Aciman, scrittore, arrivato nel 1968

Mentre cammino sboccia un rituale improvvisato tra me e la città; dev’essere quella cosa di magia e amore.

È la tua passeggiata e il tuo momento e la tua capsula nel tempo, dice la città ogni sera mentre esco dall’ufficio ed esco fuori e ritrovo le luci di Lincoln Square. È il momento in cui mi puoi prendere e plasmarmi e formarmi nella tua immagine, e sarò ciò che desideri e somiglierò a tutti i tuoi bisogni e ai tuoi capricci, ti corteggerò se devo farlo fino a che ti abituerai a me e mi amerai. Dopodiché mi irrigidirò in ciò che vedi ora e vuoi ora e potrei non cambiar più. Edifici sorgeranno e spariranno e i cinema di oggi saranno presto demoliti, anche tu invecchierai, ma giunta la sera di ogni giorno, mi troverai come mi trovi ora, che ti aspetto per uscire nella sera e ricordarti, una volta ancora e per sempre, che tu e io siamo della stessa specie. È la tua New York.

Mary Boone, gallerista, arrivata nel 1970

Me ne stavo seduta in ufficio a piangere [perché Julian Schnabel cambiava gallerista, ndt] quando entra Jean-Michel Basquiat. È stato così dolce! Era turbato a vedermi lì a piangere. Mi abbracciò e disse, “Mary, non ti preoccupare. Sarò molto più famoso di Julian.” Quindi se ne andò e tornò con un’enorme anguria che fece cadere sulla mia scrivania e ce la mangiammo.

Diane von Furstenberg, stilista, arrivata nel 1970

Mi aspettavo che la città avesse un aspetto moderno, ma in realtà non era così. Ero una giovane principessa, per cui vivevo a Park Avenue avevo un po’ di bambini piccoli e bla bla bla.

Cindy Sherman, artista, arrivata nel 1977

C’erano un sacco di vecchi edifici deserti a New York, era solo questione di trovarne uno in cui qualcuno ti lasciasse stare e che potessi trasformare in qualcosa di abitabile.

Jann Wenner, magazine editor, arrivato nel 1977

New York ama le persone ambiziose – le divora.

Gary Shteyngart, scrittore, arrivato nel 1979

[…] persino per un bambino che non sa molte cose, alcune parti del pianeta sono istintivamente, intrinsecamente più accoglienti di altre. E dal giardino vedo, nell’appartamento lassù, mia madre che mi guarda dalla finestra, la donna che ha abbandonato la madre morente a Leningrado per portarmi in America.

Susanne Bartsch, party promoter, arrivata nel 1981

La geografia di New York è diretta e facilita le cose: aiuta la gente a incontrarsi e a fare quel che c’è da fare. È difficilissimo perdersi. E in verità è molto facile trovarsi.

Colum McCann, scrittore, arrivato nel 1982

È un grande mistero per me, come lo è per la maggior parte dei newyorchesi, come questa città sgradevole e splendida sia diventata la mia città sgradevole e splendida, quell’incredibile mucchio di rifiuti che è questo posto, questa città dell’Ora senza tempo, con un po’ dello stile di Parigi, un po’ della bellezza di Roma, un po’ della storia di Londra […].

David Rakoff, scrittore, arrivato nel 1982

Quanto alla borsa di mia madre, fu ritrovata più tardi quella stessa sera […]. Qualche buon samaritano aveva sfogliato la sua rubrica e trovato il numero di un amico di New York che riuscì a rintracciarmi in dormitorio. Questa cosa fece sembrare la città uno shtetl, cosa che, dopo ben tre decenni, mi rendo conto essere vera più di quanto non si creda.

Harold Evans, giornalista, arrivato nel 1983

Nel giro di pochissimo tempo si mise in moto il vortice newyorchese. Se ti trovi ai margini esterni puoi nuotare piuttosto tranquillo in acque calme, ma mano a mano che ti avvicini e conosci più gente vieni risucchiato in un livello di attività calcolato per farti diventare matto.

Amy Sedaris, attrice comica, arrivata nel 1993

La prima cosa che ho visto quando sono arrivata a New York è stato un uomo appoggiato a un muro che cagava. Perfetto!

Michael Lucas, pornostar, arrivato nel 1997

Non bisogna approfittarsi degli stranieri. Siamo più tosti di quelli che sono nati qui e arriviamo più lontano perché ci battiamo per questo.

David Chang, cuoco, arrivato nel 1999

In qualsiasi città io vada, la confronto con New York.

Michel Gondry, regista, arrivato nel 2002

Ho iniziato ad apprezzare il fatto che a New York, a differenza di Parigi, puoi avere un’idea al mattino e realizzarla nel pomeriggio. E se aspetti in coda puoi iniziare a parlare con persone che non conosci.

Nate Silver, analista politico, arrivato nel 2009

La promessa che mi ha fatto trasferire qui è l’idea che puoi venire a New York ed essere circondato da persone che sono il meglio in quello che fanno in molti campi diversi. […]

New York tende ad attrarre persone che vogliono partecipare alla vita della città, che in generale penso siano persone socievoli e interessate, che creano contatti e lavorano duramente ma si divertono. Qui si cerca sempre di raggiungere qualcosa – anche se non sempre si sa cosa, esattamente.

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