Franz TV

October 11, 2012

La Lub di Lorenz: una rete europea dei saperi in continua evoluzione

Luca Sticcotti

L’università di Bolzano è un po’ la metafora del Sudtirolo del prossimo venturo: fortemente innovativa ma ancora un po’ ingessata. Una cosa è certa, però: nel caso in cui il Nordest dovesse vincere la sfida per diventare capitale europea della cultura nel 2019, per l’ateneo bolzanino si presenterebbe un’occasione unica per diventare quello che da 10 anni cerca di essere e cioè un vero e proprio di ponte tra nord e sud. Con le culture locali riunite in una sinergia divenuta finalmente punto di forza, dopo 60 anni vissuti in perenne reciproca autodifesa.
Di questi temi abbiamo avuto occasione di parlarne con il rettore dell’università Walter Lorenz, un vero europeo giunto in Italia dalla sua Germania passando per l’Irlanda.

Rettore Lorenz, qual è la Sua opinione in merito alla candidatura del Nordest d’Italia a capitale europea della cultura per il 2019?
Questa iniziativa ci dà l’occasione di allargare ulteriormente i nostri contatti con le università del nordest con le quali, per la verità, abbiamo già un contatto regolare e molto intenso. Nel campo della cultura l’università si può presentare sia come promotore di attività accademiche che come punto di riferimento per trasformazioni della società. Può fornire un importante contributo nella riflessione sui processi di trasformazione delle identità, sia culturali che politiche.

In realtà la Libera Università di Bolzano presenta ancora delle difficoltà di fondo. Su tutte l’ancora carente coinvolgimento degli studenti nella vita sociale e culturale, forse conseguenza dell’assenza in università di facoltà umanistiche.
La nostra è un’università giovane e in via di sviluppo. I tempi che viviamo sono quelli del processo di Bologna (n.d.r. processo di riforma internazionale dei sistemi di istruzione superiore) e quindi dobbiamo porre molta attenzione ad un percorso curricolare rapido degli studenti, incentrato sull’accumulo di punti di credito. I nostri studenti oggettivamente fanno fatica a dedicare tempo ad attività culturali estranee allo studio. Ma poco a poco gli studenti realizzano che studiare non significa solo superare esami ma anche partecipare ad un processo di formazione culturale personale che si svolge a contatto con la collettività. D’altronde in università abbiamo anche iniziative come Aiesec, che è un’organizzazione di studenti volta a promuovere interculturalità e scambi internazionali. Aiesec è parte integrante della nostra vita universitaria.
In merito alla dimensione strutturale posso dire che proprio in questo in momento stiamo ripensando l’organizzazione delle facoltà, non solo in seguito alla riforma Gelmini ma anche perché vogliamo promuovere un’identità particolare per ogni facoltà e attirare attirare specialisti che contribuiscano a consolidarla. Stiamo cambiando in una direzione nella quale le sinergie fra le facoltà non vengono in nessun modo percepite come una minaccia alle singole identità. Oggi i colleghi proseguono i loro sforzi nella ricerca e creando corsi particolari, ma il tutto all’interno di aree più generali viste come piattaforme. Da questo punto di vista la prospettiva umanistica viene vista come un qualcosa in più che può aiutare il radicamento dell’università nei processi culturali e sociali, sia nel territorio che nella dimensione internazionale. in quest’ambito abbiamo intenzione di promuovere un centro di studi avanzati (graduate center).
Già oggi gli studenti possono (lo fanno già a design) essere coinvolti in progetti che vanno oltre lo studio individualizzato. Per esempio attraverso il raggruppamento di tesine su tematiche non prescritte ma in grado di coagularsi per tematiche rilevanti, attuali, che attingono a processi culturali autonomi. E’ in questa dimensione che poniamo le nostre speranze e in questo senso sono molto contento che il professor Baruffi, un collega della facoltà di Design, abbia già partecipato ad alcuni incontri in preparazione della candidatura. Lui lavora proprio per coinvolgere gli studenti nella comunicazione.

Nel processo di preparazione della candidatura siete stati quindi già coinvolti.
Sì. Ai primi incontri ho partecipato anch’io personalmente ed ho già avuto occasione di incontrare sia Peter Paul Kainrath che Katia Tenti.

Per decenni la politica altoatesina non ha voluto l’università ma in seguito, per fortuna, ha cambiato idea. Come si comporta la politica oggi? Vi sostiene o mette bastoni tra le ruote? Pesa ancora la preoccupazione della “perdita d’identità”?
Personalmente sono molto contento del fatto che abbiamo raggiunto un livello di sviluppo tale da imporci di stare sempre attenti a non essere percepiti come esecutori della politica o sottoprodotti della stessa. In questo senso l’iniziativa legata al parco tecnologico è molto significativa: gli imprenditori hanno cercato la collaborazione con l’università proprio per mantenere l’indipendenza del progetto e non diventare strumenti della politica. Questa “distanza” ha naturalmente provocato un certo elemento di conflitto tra università e politica, che però per noi è importante proprio per sottolineare che l’università è un vero ateneo indipendente dotato di una sua reputazione autonoma in diversi ambiti, sia economici che culturali.

Libera dunque vuol dire anche “libera dalla provincia”…
Esatto. E quello appena citato è stato un segnale molto forte ed importante in questo senso.
D’altro canto proprio in questi ultimi mesi siamo riusciti a concludere un contratto con Trento ed Innsbruck volto a promuovere uno scambio di personale accademico e studenti più leggero e naturale. L’idea è quella di facilitare la partecipazione dei nostri studenti a programmi equipollenti nelle altre università evitando in partenza problemi di riconoscimento dei crediti. Ma è anche un modo per superare l’invidia tra le università e la “divisione culturale” che finora ha fatto ritenere ai tedeschi che la loro università fosse Innsbruck e agli italiani Trento. Vogliamo sfruttare tutte le nostre risorse e trovare la nostra identità: non siamo in grado di competere con le università limitrofe, già stabilizzare, ma vogliamo contribuire specializzandoci in alcune aree di ricerca, ad esempio il sociale nel senso della ricerca sull’interculturalità, le diversità culturali e i conflitti che emergono in questi contesti. Inoltre il plurilinguismo va anche praticato e non solo studiato. Sono proprio questi sono i punti cruciali dei contratti con le altre due università, riconosciuti anche dai rispettivi ministeri.
Mi ha dato grande soddisfazione il fatto che il ministro Profumo, in occasione del venticinquesimo anniversario di Erasmus, ha citato i nostri contratti proprio come esempio dell’inizio di una nuova fase. Le università in futuro dovranno sviluppare un livello di collaborazione che consenta loro diventare luoghi dell’internazionalizzazione, superando i regolamenti e limiti nazionali. Il ruolo da protagonista della nostra università deve essere visto all’interno di una relazione formale, strutturale, che ha a che fare con la diversità culturale. E’ il vero impegno dell’università: non siamo in una competizione ma elementi di una trasformazione. E’ questa la nostra specifica identità.

Tornando ai temi chiave per la candidatura di Bolzano insieme al Nordest a capitale europea della cultura, come vede Lei il contrasto esistente tra la provincia e il comune del capoluogo?
C’è una tensione, è vero, ma il fatto stesso che sia emersa è un indicatore molto positivo. Grazie queste tensioni si avvia un dialogo ed abbiamo occasione di esaminare i diversi modi nei quali si può esprimere la nostra identità, le nostre visione in merito allo sviluppo della identità culturale complessiva della nostra società. E’ una dialettica, non un conflitto. Ogni città deve avere un carattere cosmopolita. Negli ultimi anni – è opinione di tutti – Bolzano è diventata una città globalizzata e l’università vuole partecipare a questo processo ed anzi avere in quest’ambito il suo “luogo” primario. Allo stesso tempo io non vorrei arrivare ad un senso dell’identità accademica che sia neutrale, come se quella di Bolzano fosse un’università che solo per caso è situata qui, offrendo un’elite internazionale di insegnanti in grado di attirare studenti da tutto di tutto il mondo senza veicolare un senso di appartenenza. In questo senso le nostre sedi satelliti di Brunico e Bressanone ci aiutano nell’osservazione delle nostre dinamiche di radicamento. Attualmente la vita studentesca a Bressanone è meno viva che a Brunico e di questo me ne dispiaccio. E’ una difficoltà che però si trasforma subito in un impegno, in una sfida attiva all’interno di una dialettica. E’ un’esperienza che in parte vivo anch’io personalmente: risiedo in un piccolo paese a 1000 metri nel quale il mio ruolo di rettore viene spesso percepito come come un tramite. Non vengo considerato un elemento estraneo ma man mano entro a far parte anche della vita locale.

L’università in futuro aprirà altre sedi?
No, è meglio non averne troppe. Per Merano stiamo pensando a modalità differenti di collaborazione.

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