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October 6, 2012
Samsara: un finto viaggio
Andrea Beggio
La filosofia indiana insegna di aspettare in riva al fiume di veder passare il cadavere del proprio nemico.
E’ da decenni che, fermo sulla riva, aspetto di veder passare il cadavere del “cinema dal sapore new age e vuoto spinto orientaleggiante in salsa occidentale” e l’unica cosa che ho guadagnato sono state delle orrende piaghe da decubito.
Mi tolgo subito la maschera dichiarando una forte insofferenza verso l’irrazionalismo e lo spiritualismo di alcuni decadenti occidentali. In questo modo chiunque ne fosse affetto potrà, leggendo queste poche righe, godersi questo documentario in programmazione al Filmclub.
Il valore antropologico di quest’opera è zero.
La decisione di far parlare le immagini appare fuori luogo, visto che i set sono pianificati come in un colossal Hollywoodiano. Anche le riprese naturalistiche sono artefatte con effetti di “time lapse” che come unica caratteristica hanno quella di essere alla moda e in notturna, con tempi di esposizione più lunghi, rivelano un cielo assolutamente irreale e fastidioso.
Il viaggio, o come ama definirla il regista Ron Fricke: “una meditazione guidata, un distaccamento da sé e dalla vita di tutti i giorni per raggiungere l’infinito” in realtà altro non è se non una serie di belle immagini stereotipate che potrebbero andare bene per un video commerciale di un’agenzia viaggi.
A livello narrativo si mostrano le contraddizioni del genere umano senza neppure tentare di spiegarle suggerendo una via d’uscita nello spiritualismo. Ma c’è veramente ancora qualcuno che crede a queste cose? ….
In ogni caso questo documentario è distante dai livelli di Koyanisquatsi di Godfrey Reggio al quale va almeno riconosciuto il merito di aver iniziato un genere nel lontano 1985.
Guarda caso Ron Fricke, che oggi si dissocia stizzito da quell’esperienza e che porterà questo modo di raccontare per immagini ai suoi minimi storici, è stato il montatore di Koyanisquatsi.
E ho detto tutto!
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